«Ho scoperto casualmente di avere un nodulo al seno, che poi si è rivelato un tumore. Era l’aprile 2013. Due giorni dopo ero dal radiologo, il dottor Enrico Cassano dello IEO, che mi ha diagnosticato un tumore in fase avanzata. Nel giro di una settimana sono stata operata: ho subito una quadrantectomia e l’asportazione di tutti e 23 i linfonodi del braccio destro. E poi radioterapia e chemioterapia a dosi massicce. Con tutte le sofferenze e i disagi che hanno comportato, non da ultimo la perdita dei miei lunghi capelli biondi. Ma dovevo lottare per sopravvivere: avevo tre figli, di cui la piccola di 10 anni. La frase di Sant’Agostino, che fin dai tempi del liceo ho amato, mi ha aiutato: “La speranza ha due figli bellissimi: lo sdegno e il coraggio”. In questa mia esperienza li ho sperimentati entrambi! Fondamentale, quando stai lottando, è anche l’aiuto psicologico del medico. “Il suo tumore signora – mi disse il radiologo – è come un corridore che ha un numero sul pettorale. E grazie a questo numero noi lo prenderemo. Oggi, infatti, esistono terapie mirate che fino a 5 anni fa non c’erano. E nella sua malattia ha la fortuna di avere a disposizione queste nuove terapie”. E così è stato. Oggi, dopo cinque anni, sto bene e il tumore sembra essere sconfitto. Da questa brutta esperienza è nato però un bellissimo progetto. Ho chiesto infatti al dottor Cassano di aiutarmi a fare qualcosa per le donne che vivevano in una parte meno fortunata del mondo, Haiti, uno dei paesi più poveri del pianeta, dove di cancro al seno si continua a morire. La Fondazione Francesca Rava ha fatto il resto».
A raccontare la sua esperienza di malattia e di vita, che diventerà presto anche un libro, è Donatella Di Paolo, giornalista di Rete 4, oggi volontaria della Fondazione Francesca Rava che opera soprattutto ad Haiti, dove ha costruito l’ospedale di St. Luc, nella zona periferica della capitale Port-au-Prince. Il progetto a cui Donatella si è dedicata si chiama “Breast Cancer Task Force” ed è un’unità di diagnosi e cura del tumore al seno, costituita nel 2015 presso l’ospedale di St. Luc. Questo tumore è la seconda causa di mortalità nelle donne haitiane. Con l’ambulatorio, dotato di un ecografo e di una sala operatoria grazie a donazioni di un gruppo straordinario di donne, le “Women for Haiti”, si riesce oggi a diagnosticare precocemente questo tumore in molte persone che prima sarebbero morte. E grazie a una capillare informazione nei villaggi e nelle scuole, con appositi manifesti e incontri, i volontari cercano di diffondere il concetto di prevenzione con l’autopalpazione: in questo modo, molte arrivano precocemente alla diagnosi. E non rischiano di giungere quando il tumore è già avanzato. Come ha fatto Amina, una giovane haitiana che viene dalle montagne: ha impiegato un intero giorno di cammino per arrivare all’ambulatorio, su suggerimento del prete della chiesa che frequentava. Aveva una massa al seno destro che non la faceva dormire. Si trattava di un tumore di otto centimetri che ora è stato asportato. Un intervento che le ha salvato la vita. E ora Amina sta bene e potrà ritornare sulle montagne ad accudire i suoi cinque bambini! Molte donne operate si dedicano a fare informazione nei loro villaggi e nelle scuole. Ai volontari spetta il compito di prepararle con corsi e dimostrazioni.
«E’ un progetto che mi sta molto a cuore, a cui dedico parte del tempo che trascorro in Haiti, dove vado almeno due volte l’anno. Lì mi aspettano i bambini che vivono negli orfanotrofi di NPH- Nuestros Pequenos Hermanos, che hanno un grandissimo bisogno di affetto. E’ un modo per restituire il bene che io stessa ho ricevuto. Il mio primo viaggio ad Haiti è stato sconvolgente . Volevo ritornare a casa perché pensavo di non farcela: miseria, povertà, disperazione sono realtà dure, a cui difficilmente ci si abitua. Ma poi ho conosciuto persone eccezionali come Padre Rick, il cuore pulsante della Fondazione Rava ad Haiti; come Roselyn, orfana lei stessa che, ora adulta, dedica la sua vita ai bambini abbandonati. E poi io non posso più fare a meno delle braccia dei bimbi che mi stringono, dei loro sorrisi, delle loro manine. Sono tutti alla ricerca di una carezza, di un attimo di felicità! E mai dimenticherò la mia prima visita alla “stanza dei pesci”, uno spazio dell’ospedale Saint Damien dove si trovano i bambini abbandonati, perché gravemente malati o disabili… Davanti a tutto questo il cuore ti batte forte, le lacrime si sciolgono in tanti abbracci! E il sorriso di questi bambini ti riempie di felicità. Tre anni fa ho deciso di adottare a distanza due bimbi: Tony di 7 anni e Raphael Jean di 12. Tutte le volte che li rivedo è una gioia che si rinnova! Ed è questo per me il vero senso del Natale!».
di Paola Trombetta