Un vero “rompicapo”: forte mal di testa, nausea, vomito, disturbi visivi, sensibilità alla luce e ai suoni che perdurano per 15 giorni o più al mese, presentandosi in modo ricorrente e almeno da tre mesi. Sono i sintomi tipici dell’emicrania cronica che impattano sensibilmente sulla qualità della vita: dal punto di vista fisico, per il dolore provato; emotivo, per lo stato di ansia, mista a depressione e sensi di colpa per essere limitati nel portare avanti quanto si ha in mente; relazionale, per la rinuncia a una vita di società normale. Lo riferiscono almeno 115 italiani, di cui una parte donne, su circa 800 mila affetti da emicrania, intervistati in un’indagine pilota condotta da Allergan in collaborazione con European Migraine and Headache Alliance (EMHA), dalla quale emerge che l’emicrania cronica è un fardello, spesso invisibile, che in un solo mese causa sofferenza per oltre la metà dei giorni. «Chi convive con l’emicrania cronica – dichiara Elena Ruiz de la Torre, Direttore Esecutivo di EMHA – è “invalidato” nel poter condurre una vita serena, che viene invece vissuta a metà. Oltre al dolore, soprattutto le donne, sentono il peso stressante della problematica associato all’incapacità di prendersi cura dei propri cari e di rendere meno a casa e sul lavoro».
Ad aggravare questo stato di prostrazione ci sono altri due elementi: l’ansia, nel 75% dei casi, di non sapere quando potrà sopraggiungere un nuovo attacco e l’impossibilità di poterne parlare liberamente, fino alla demoralizzazione generalizzata, percepita dal 72% degli emicranici, per la rinuncia a passare tempo libero di qualità con amici, in famiglia o allo spettro di vacanze (60%) rovinate da un attacco improvviso. Eppure questo disturbo si ritiene risolvibile con una migliore gestione dello stress (54%) o cambiando alimentazione: è noto infatti che esistono cibi che “infiammano” l’emicrania, come le spezie e le pietanze piccanti, i formaggi stagionati, il cioccolato.
Dunque l’emicrania è un problema serio, sottovalutato e sotto diagnosticato, tanto che il 41% degli emicranici cronici non ha ricevuto un corretto inquadramento della propria condizione. «Per troppo tempo l’emicrania cronica – spiega Cristina Tassorelli, Professore Ordinario di Neurologia all’Università degli Studi di Pavia e Direttore dell’Headache Science Center della Fondazione Mondino – non è stata considerata come una malattia invalidante, mentre è importante che l’intera comunità medica e la ricerca diano priorità a cure, gestione e trattamento dell’emicranico cronico per alleviarne le sofferenze e ridurre il numero di giorni, pari a circa metà mese, persi a causa delle dolorose implicazioni della problematica». È quanto chiedono anche i pazienti: cure migliori, una “comprensione” delle proprie necessità, da parte del neurologo, al quale si rivolge il 65% dei casi, chiedendo adeguate terapie. Tra quelle più innovative c’è la tossina botulinica di tipo A, una proteina naturale che, iniettata sottocute nelle zone comprese tra fronte, testa e collo, ha dimostrato efficacia nel ridurre la percezione del dolore. Agisce sui neurotrasmettitori infiammatori, limitandone l’azione e dunque inibendo anche la trasmissione dello stimolo doloroso. Inserita nelle linee guida dell’American Academy of Neurology, la tossina botulinica A è raccomandata per sicurezza ed efficacia nel trattamento dell’emicrania cronica ma anche della distonia cervicale, blefarospasmo e spasticità negli adulti. Studi recenti, ma anche l’impiego della terapia in alcuni centri italiani, dimostrano che la tossina botulinica è più benefica se viene impiegata in fase precoce,cioè fin dai primi episodi.
L’emicrania ha comunque diversi tipi di sintomi, anche giovanili. Nel 25% dei ragazzi in età scolare o negli adolescenti, può manifestarsi con forme di cefalea (il classico mal di testa) con episodi più o meno sporadici, dovuti a varie cause: familiarità, insonnia, abuso di strumenti tecnologici come smartphone e tablet, permanenza in ambienti poco illuminati, con un conseguente sforzo oculare, l’assunzione di posizioni scorrette o un’alimentazione poco equilibrata. «Il primo approccio alla cefalea non è quasi mai farmacologico ma correttivo – precisa Giovanni Corsello, Professore ordinario di pediatria all’Università degli Studi di Palermo – con la modifica delle abitudini, soprattutto alimentari, ed evitando la pressione di stress o tensioni psicologiche di qualsiasi tipo».
Tra gli strumenti che possono aiutare i ragazzi a prendere coscienza del problema e a tenere sotto controllo gli episodi c’è “Il Diario delle Cefalee”, uno strumento di monitoraggio mensile scaricabile gratuitamente per gli utenti registrati nell’area “La mia prevenzione” del FSDp “Family Health” (familyhealth.it). Riportando su un prospetto mensile i giorni degli attacchi, i sintomi nelle 24 ore successive ad ogni episodio, la durata della cefalea per ogni ora, è possibile seguire l’andamento del mal di testa, da condividere con il proprio medico con un semplice clic. «Il Diario delle Cefalee – conclude Corsello – aumenta la consapevolezza e il coinvolgimento del bambino, della famiglia e del pediatra nel monitorare la frequenza del sintomo. Se ciò non bastasse, anche se il primo approccio alla cefalea non è mai farmacologico, in caso di persistenza è possibile ricorrere ad analgesici non aggressivi, oppure a principi attivi, indicati anche in età evolutiva, che agiscono da neuro-mediatori tra le cellule del sistema nervoso centrale coinvolte nel meccanismo della cefalea e del dolore, soprattutto nelle cefalee emicraniche accompagnate da “aura”». Le soluzioni per dare scacco all’emicrania ci sono, a qualunque età: l’importante è parlarne con il proprio medico.
di Francesca Morelli
Una questione soprattutto “di genere”
Quattro milioni contro due milioni: sono le percentuali dell’emicrania che “rompe la testa” a un maggior numero di donne rispetto agli uomini, con un impatto importante sulla qualità della vita e i costi diretti e indiretti. Tanto che perdono più giorni di lavoro (16,8 l’anno contro i 13,6 dei maschi), più giornate di vita sociale (26,4 contro 20) ma, nonostante le condizioni di malessere, presenziano con più responsabilità al lavoro (51,6 giorni contro 35,6). Lo attesta uno studio Gema (Gender&Migraine) del Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas), condotto nel giugno scorso, su un campione di 607 pazienti adulti con almeno 4 giorni di emicrania. La ricerca evidenzia che le donne, a causa del reddito inferiore a quello maschile, spendono meno per diagnosi e cura (1.132 euro l’anno contro 1.824), che costano comunque care: oltre 4.300 euro annui di cui il 25% per prestazioni sanitarie, il 36% per perdite di produttività, il 5% per assistenza formale e il 34% per assistenza informale. Di questi, circa 500 euro sono a carico del paziente per farmaci o trattamenti non rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale. «Partendo dalle evidenze emerse sul costo della patologia e il differente impatto che l’emicrania produce sulle donne – conclude Rosanna Tarricone, associata della SDA Bocconi e responsabile scientifico del progetto – lo studio si propone di supportare lo sviluppo di politiche sanitarie e socio-sanitarie differenziate rispetto al genere, con l’obiettivo di colmare il gap esistente in una logica di equità distributiva». Un obiettivo giustificato anche dal fatto che l’emicrania ha una prevalenza del 27% fra le donne, più concentrata nel periodo compreso tra la pubertà e la menopausa, raggiungendo il culmine nella quarta e quinta decade, quella di maggiore produttività lavorativa e socio-relazionale. Secondo l’Oms, l’emicrania rappresenta la terza patologia più frequente e la seconda più disabilitante del genere umano.
F. M.