«Lea è stata operata di un tumore al seno molto aggressivo. A sua insaputa, durante l’intervento, le hanno prelevato ben 23 linfonodi! E dopo le dimissioni, ancor più drammatico è stato l’incontro con l’oncologo, una persona fredda, di poche parole che, in dieci minuti, ha prospettato tre possibilità: radioterapia, chemioterapia leggera, chemioterapia pesante, senza aggiungere altre spiegazioni. Alla domanda di Lea di quale delle tre alternative le avrebbe dato maggior probabilità di sopravvivenza, la risposta è stata lapidaria: ovviamente la terza, senza aggiungere alcuna considerazione su eventuali conseguenze… La risposta è stata altrettanto rapida: ho 42 anni, una figlia di 12 e voglio vivere!».
La testimonianza di Lea e di altre donne che hanno vissuto lo stesso dramma sono riportate nel libro “La speranza è un farmaco. Come le parole possono vincere la malattia” (Mondadori Editore), di Fabrizio Benedetti, professore ordinario di Neurofisiologia e Fisiologia Umana all’Università di Torino. Anche le parole possono curare: nell’era della medicina tecnologica, dove i medici hanno sempre meno tempo da dedicare ai pazienti, sembra che i percorsi di cura non possano fare a meno del supporto del dialogo e della comunicazione tra medico e paziente. Questo è ancora più evidente nel caso di patologie come il tumore al seno che richiedono un approccio multidisciplinare, da condividere con altri specialisti.
L’importanza della comunicazione e del rapporto medico-paziente sono i motivi che hanno ispirato il “Riconoscimento U.V. al Laudato Medico”, istituito nel 2017 da Europa Donna Italia per conservare l’eredità umana di Umberto Veronesi: un modo semplice e diretto per dire “grazie” ai medici che nei Centri di senologia hanno dimostrato particolare empatia, umanità e vicinanza alle pazienti con tumore al seno. Quest’anno la Fondazione MSD supporta in modo incondizionato il progetto, sposandone in pieno la filosofia di attenzione alla persona nel percorso di cura.
Dopo la raccolta di oltre 6 mila segnalazioni di pazienti e caregiver sul web, è stato assegnato il Riconoscimento ai cinque medici che, nelle diverse categorie – chirurgo, oncologo, radiologo, radioterapista e patologo – hanno ricevuto il maggior numero di segnalazioni per l’umanità dimostrata: Pietro Caldarella, Divisione di Senologia Chirurgica, Istituto Europeo di Oncologia di Milano; Antonio Cusmai, Dirigente Dipartimento Oncologia Ospedale San Paolo di Bari; Angela Vestito, Unità Operativa Complessa di Radiodiagnostica-RMN, Senologia San Paolo di Bari; Alessia Surgo, Divisione di Radioterapia Istituto Europeo di Oncologia di Milano; Rosa Giannatiempo, Responsabile Unità Operativa di Anatomia Patologica “Ospedale Evengelico Betania” di Napoli.
Ascoltare i pazienti, infondere loro fiducia e speranza, mette in atto reazioni positive, che addirittura, come dimostrano numerosi studi scientifici, potrebbero potenziare gli effetti delle terapie e favorire la guarigione. Umberto Veronesi ha lasciato questo messaggio in eredità al nostro Paese, ai medici che hanno lavorato con lui e alle nuove generazioni, e per questo Europa Donna Italia ha deciso di intitolare alla sua memoria il Riconoscimento al Laudato Medico.
«Umberto Veronesi è stato il primo oncologo a umanizzare la medicina: prima di lui si pensava che fosse più urgente curare l’organo piuttosto che la persona», dichiara Rosanna D’Antona, Presidente Europa Donna Italia. «Aveva capito che preoccuparsi della sensibilità delle pazienti accelera la guarigione e lo insegnava ogni giorno a colleghi e allievi. Questo Riconoscimento vuole valorizzare il modo di concepire la relazione medico-paziente introdotto dal professor Veronesi affinché sia d’esempio per tutta la classe medica».
«E’ fondamentale creare da subito un buon rapporto con il paziente, entrando in empatia con lui per poterlo meglio ascoltare», afferma Paolo Veronesi, Presidente Fondazione Umberto Veronesi. «Il medico deve trovare un equilibrio tra il tempo che ha a disposizione, effettivamente troppo limitato, e la capacità di accontentare i pazienti. In ogni caso, la regola che vale per noi medici è quella di non chiudere mai la porta di fronte a un paziente che ti vuole parlare».
La malattia, e il cancro in particolare, quando irrompe nella vita di una persona segna una rottura che va ricostruita. Da ciò deriva la necessità di intervenire con un supporto emotivo, la cui rilevanza ed efficacia sono state dimostrate da diverse ricerche sin dagli anni Novanta. Le parole positive, il comportamento empatico e di vicinanza al paziente da parte di medici e infermieri, sembra infatti attivare meccanismi benefici. «L’approccio neuroscientifico che oggi possiamo applicare ci permette di scandagliare le diverse aree del cervello umano, al punto che tante ricerche scientifiche dimostrano una correlazione tra le emozioni e i sentimenti scatenati da parole come fiducia, speranza e guarigione a livello di produzione cerebrale di una gran quantità di sostanze chimiche, che costituiscono una vera e propria “farmacia endogena”: non sostituisce i farmaci, ma ne potenzia gli effetti curativi», spiega Fabrizio Benedetti, professore ordinario di Neurofisiologia e Fisiologia Umana all’Università di Torino.
«Il supporto psicologico comporta la diminuzione dello stress, dell’ansia e della depressione», sottolinea Gabriella Pravettoni, Direttore di Psiconcologia all’Istituto Europeo Oncologico, IEO, di Milano. «Numerose ricerche scientifiche hanno evidenziato come il benessere psico-emotivo influenzi il sistema immunitario, riducendo il rischio di sviluppare neoplasie, ma favorendo anche una migliore risposta alle terapie e aumentando la probabilità di guarigione. Tutto ciò è più importante nei pazienti oncologici, nei quali il sostegno emotivo permette di raggiungere obiettivi nel percorso di cura, come la maggiore aderenza ai trattamenti e una migliore gestione degli effetti collaterali. Ovviamente, la formazione del personale sanitario è un momento altrettanto cruciale».
In questo senso l’istituzione della Breast Unit negli anni Settanta, ideata proprio da Umberto Veronesi, ha contribuito a facilitare e aumentare la comunicazione medico-paziente e la partecipazione delle donne con tumore al seno al percorso di cura. Un ulteriore contributo viene anche dalla tecnologia.
«Personalmente utilizzo Internet e le altre opportunità offerte dalle nuove tecnologie – sottolinea Alberto Costa, Segretario Generale della European School of Oncology – perché trovo in esse un aiuto importante, sia per semplificare le spiegazioni alle pazienti riguardo la loro malattia, sia perché le tecnologie digitali e il web valorizzano la comunicazione e ci consentono di interagire con la paziente, soprattutto nella fase acuta di malattia. Tutto ciò avvicina anche umanamente il medico alla sua assistita. Ovviamente bisogna usare questi strumenti con buon senso anche se è difficile a volte porre dei limiti e trovare il giusto equilibrio».
Paola Trombetta