L’inverno è un periodo “caldo” per la psoriasi e l’artrite psoriasica. Un’alimentazione più grassa tipica della stagione fredda, lo stress da superlavoro, le temperature rigide, la scarsa umidità dell’aria e l’utilizzo di impianti di riscaldamento, la ridotta esposizione alla luce solare, accrescono i problemi di secchezza della cute, aggravano entrambe le malattie e aumentano il rischio di virus infettivi che possono peggiorarle. Colpiscono in eguale misura uomini e donne, in prevalenza tra i 30 e i 50 anni, l’età più produttiva a livello personale e professionale. Più grave della psoriasi è l’artrite psoriasica, una malattia infiammatoria cronica che colpisce l’apparato locomotore e la pelle, ma che viene spesso sottostimata in termine di numeri (interessa oltre i 250 mila italiani dichiarati). «L’artrite psoriasica non è un’unica malattia, bensì sei malattie in una», spiega il professor Antonio Marchesoni, responsabile dell’UO Artriti Croniche Sieronegative del Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Gaetano Pini, CTO di Milano. «Può includere infatti sei diverse manifestazioni, anche simultanee, in diverse sedi dei due distretti coinvolti: a livello articolare può colpire qualsiasi articolazione, sebbene le prevalenti siano piedi e mani, seguite da ginocchia, polsi caviglie e spalle che appaiono gonfie, rigide e dolorose (artrite periferica); la colonna vertebrale, infiammata a livello sacro-iliaco, cervicale, lombare, con rigidità e dolore soprattutto al mattino (coinvolgimento assiale, presente nel 2-4% dei casi); un’infiammazione dei legamenti o dei tendini (entesite, riscontrabile nel 25-78% dei casi), ma anche delle articolazioni, guaine e tessuti molli (dattilite, possibile nel 48% dei casi e per il 30% all’esordio della malattia). Invece le manifestazioni dermatologiche possono riguardare la pelle, con forme di psoriasi a placche, cioè chiazze rosate o rossastre, di dimensioni e spessore variabili, anche associate a prurito e bruciore, seguite da altre forme di malattia tra cui la psoriasi fessurale o palmo-plantare, oppure può verificarsi un coinvolgimento delle unghie».
A determinare la complessità della malattia non sono solo le differenti manifestazioni, difficili da diagnosticare e curare, o la loro variabilità, tanto che nel 70% dei pazienti con artrite psoriasica le manifestazioni cutanee precedono quelle articolari, contro il 15% dei casi in cui l’artrite è la prima a comparire rispetto alle lesioni sulla cute, mentre solo nel 15% dei casi le sintomatologie evolvono simultaneamente. Anche le cause di insorgenza non sono ancora del tutto note; si pensa, infatti, che l’artrite psoriasica sia una malattia multifattoriale influenzata da diversi aspetti: una componente ambientale, una forte prevalenza genetica (la malattia è spesso ereditata, fino al 40% dei casi, da un familiare affetto da psoriasi o artrite psoriasica), o un’infezione che attiva il sistema immunitario, di cui l’ipotesi più accreditata propende per un’infezione della gola causata da streptococco.
L’artrite psoriasica in un caso su due insorge in maniera soft con la forma oligoarticolare, limitata cioè a un numero ristretto di articolazioni, non sempre sintomatica: fatti che portano, a torto, a considerare questa manifestazione meno grave, con conseguenti ritardi diagnostici che abbassano la qualità della vita ed espongono a un maggiore rischio di complicazioni. «Possono emergere problemi cardiovascolari – aggiunge il professor Roberto Caporali, responsabile dell’Early Arthritis Clinic della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia – come un più alto rischio di sviluppare un infarto o ipertensione arteriosa, a causa dell’infiammazione cronica, o problemi sistemici, tra cui obesità e sindrome metabolica, presente nel 58% di pazienti con artrite psoriasica. Il ritardo diagnostico può causare inoltre danni maggiori alle articolazioni e compromissione della cute, anche in zone molto esposte come volto e mani, con significative conseguenze a livello emotivo e sociale, oltre che fisico. A ciò si aggiungono affaticabilità che impatta sulla capacità lavorativa o di svolgere qualsiasi attività, possibile sviluppo di depressione e uveite, una particolare infiammazione oculare».
La raccomandazione degli esperti è di non sottovalutare la “prima comparsa” di dolore ed effettuare una visita specialistica per escludere la presenza di artrite psoriasica, perché la tempestività fa la differenza sulla gestione e controllo della malattia. «In presenza di dolore e gonfiore alle articolazioni – precisa Caporali – è bene rivolgersi al proprio medico che potrà indirizzare a un reumatologo, mentre se compaiono manifestazioni sulla cute, il primo referente è il dermatologo, che coadiuvato da appositi questionari, potrà identificare precocemente la componente articolare, avviando poi il paziente al reumatologo. L’approccio multidisciplinare è fondamentale per consentire una diagnosi precoce e una gestione efficace della patologia in tutto il suo decorso». È stato infatti dimostrato che un ritardo nella diagnosi di 6-12 mesi influisce sul danno articolare e sulla disabilità funzionale a lungo termine. Al contrario, una remissione e una riduzione delle complicanze è possibile se si interviene prima: infatti uno dei principali obiettivi nel trattamento dell’artrite psoriasica è di ottenere il minor livello possibile di attività di malattia in tutte le sue manifestazioni cliniche.
«Oggi disponiamo di differenti opportunità di cura – commenta Marchesoni – tra cui farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), utilizzati in prima linea per alleviare rapidamente dolore e rigidità, sebbene non offrano un sollievo completo e non agiscano sulle manifestazioni cutanee; farmaci anti-reumatici, i cosiddetti DMARD (disease-modifying anti-rheumatic drugs), indicati nell’artrite psoriasica moderata-grave o refrattaria; farmaci biologici, ovvero proteine che agiscono bloccando l’attività di un messaggero chimico nell’organismo, colpendo parti specifiche del sistema immunitario associate alla malattia. «Fra questi ultimi – conclude Caporali – gli studi finora condotti dimostrano che Apremilast, una “small molecule” che si somministra per via orale (a differenza delle altre terapie che sono iniettabili), potrebbe essere efficace su più manifestazioni cliniche, in particolare l’artrite periferica, la psoriasi a placche, l’entesite, la dattilite e la psoriasi ungueale». Con sensibili vantaggi quindi sulla qualità della vita e il miglioramento delle manifestazioni. «Abbiamo anche una nuova molecola, Guselkumab, per la psoriasi a placche, che si è dimostrata in grado di ridurre, dopo 48 settimane di trattamento in circa l’85% dei pazienti, le manifestazioni della malattia, con miglioramento del 90%, rispetto al 70% ottenuto con altre terapie (studio ECLIPSE)», dichiara il professor Antonio Costanzo, responsabile dell’Unità Operativa di Dermatologia dell’Istituto Humanitas di Milano e membro del consiglio direttivo della Società Scientifica SiDeMast.
di Francesca Morelli