Sono oltre 2 mila i giovanissimi che ogni anno in Italia di ammalano di tumore: il 2% hanno tra 0 e 14 anni, lo 0,2% sono adolescenti tra 15 e 19 anni; sono in prevalenza maschi, colpiti principalmente da forme di leucemie e linfomi (54%), tumori ossei (5%), sarcomi dei tessuti molli (6%), tumori del sistema nervoso centrale (neuroblastoma, 5% e retinoblastoma, 3%). Sono i dati diffusi in occasione della Giornata Internazionale contro il Cancro Infantile (15 febbraio) che ha voluto sensibilizzare sulla necessità di studiare terapie mirate ai giovani, spesso ancora inesistenti, soprattutto per le forme di tumore più rare e aggressive. Un messaggio condiviso anche dall’Oms impegnata in un’iniziativa globale contro il cancro infantile, per migliorare la sopravvivenza di queste giovani vite (oggi comunque salita all’82% per i ragazzi con meno di 14 anni e all’86% nell’adolescenza). Secondo l’OMS occorre aumentare la capacità e l’attenzione dei Paesi nel fornire le migliori cure e assistenza alla malattia oncologica “giovane”, dedicare maggiori fondi alla ricerca e alle cure oncologiche, sia a livello nazionale che globale, puntando al miglioramento della qualità di vita, perché il tumore, oltre che sulla sfera fisica, impatta sensibilmente anche su quella psico-emotiva.
«L’adolescenza, a metà strada tra l’infanzia e l’età adulta è un periodo di cambiamenti, in ogni sfera dell’esistenza», fa notare Amedeo (nome di fantasia) curato presso il reparto di Oncoematologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. «E’ un’età di transizione in cui i ragazzi amano seguire le mode, imitare stili, comportamenti e modi di essere, seguire i propri modelli di riferimento. Invece a un certo punto capita di dover affrontare una malattia, tanto importante e difficile da mettere a soqquadro tutto il tuo mondo: dalle relazioni sociali, alla scuola, alla famiglia, agli amici, a se stessi. E la vita “libera” da adolescente, di qualche giorno prima, diventa improvvisamente motivo di privazione, di divieto, di proibizione e imposizione. Condizionata dalla malattia e dalla cura».
Non c’è mai il momento giusto per ammalarsi. Tanto meno di tumore. Soprattutto se si è giovani o adolescenti. «Non c’è un perché se ci si ammala di cancro, ma purtroppo succede», aggiunge il dottor Andrea Ferrari, oncologo e ideatore del Progetto Giovani, nato nel reparto di Pediatria Oncologica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, con il supporto dell’Associazione Bianca Garavaglia ONLUS, e coordinatore di SIAMO (Società Scientifiche italiane insieme per gli Adolescenti con Malattie Onco-ematologiche). «E mentre i ragazzi sono magari in attesa di ricevere una carezza, si trovano invece ad attendere una visita nell’ambulatorio di oncologia. Così gli esami di scuola vengono sostituiti da quelli del sangue, prima del ciclo di chemioterapia».
Per superare il drammatico impatto con la malattia in giovane età, non bastano le cure come la chemioterapia: servono anche vie di fuga “terapeutiche” come il sogno, la fantasia, l’amore e la speranza. Opportunità di evasione interiore e mentale che aiutano in qualche misura ad accettare e a lottare contro un tumore, che, tuttavia, continua a restare un incubo che si oppone al sogno di un ragazzo. «Un tumore in età evolutiva – spiega la dottoressa Laura Veneroni, specialista in Psicologia clinica presso la divisione di Pediatria dell’Istituto Nazionale dei Tumori – mette alla prova l’adattamento psichico del giovane in una fase cruciale per la costruzione dell’identità, delle relazioni e dell’autonomia. L’evasione nel sogno, a distanza di quasi 120 anni dall’interpretazione che ne fece Sigmund Freud, rappresenta ancor oggi per il medico uno strumento per conoscere meglio lo stato interiore dell’adolescente sul quale strutturare un adeguato supporto psicologico. Mentre per il ragazzo il sogno, tanto più quando è raccontato, diventa il mezzo per preservare se stesso, allontanando (in)consapevolmente dal reale le proprie paure, ma è anche lo strumento per non sentirsi emotivamente solo. Raccontare il sogno è, infatti, una sorta di “dimensione sospesa” in cui è possibile parlare indirettamente delle paure mediate dalla distanza onirica». Il delicato compito del medico è imparare a restare in sospeso, assieme al ragazzo, co-abitando la sua dimensione fragile con pensieri positivi, sostenendo sempre la sua speranza. Che non deve mai venire meno nei ragazzi, nel medico e nei genitori.
In questo percorso è fondamentale anche la messa a frutto delle proprie passioni, per la musica, il canto, il disegno e l’arte, dove “l’esternazione creativa” della malattia diventa metafora della difficoltà della vita, ma anche ricerca e creazione di una bellezza nuova, che si concretizza nell’impegno in un progetto, nell’aiuto del compagno, in una sfida da vincere con gli altri. «Ci sono tante emozioni e tante reazioni che segnano la diagnosi e il vissuto di un tumore da parte dei ragazzi, aggiunge Ferrari: dobbiamo saper cogliere le espressioni del loro dolore, rabbia, paura, forza, coraggio. Dobbiamo imparare a parlare ai nostri ragazzi di fantasia, amore e di speranza. Il nostro impegno di medici (o di genitori) deve essere quello di insegnare loro a non demandare ad altri gesti, come stringere una mano, stare in silenzio, cercare la leggerezza, affrontare la pesantezza, piangere o arrabbiarsi quando serve, non mollare quando si vorrebbe, credere nel potere dei sorrisi, essere veri. Noi medici, oltre al nostro sapere, dobbiamo mettere in gioco tutta la nostra forza per aiutare i ragazzi». Vivere la malattia insieme, con questa “umanità”, è uno degli obiettivi del Progetto SIAMO: un movimento culturale che si occupa delle peculiarità degli adolescenti malati, dell’accesso alle terapie, prendendosi cura soprattutto della vita dei giovani colpiti da malattia. E che si fa interprete di un importante messaggio: nessuno di noi è mai veramente pronto ad affrontare un tumore! Ma, insieme, ce la si può fare!
di Francesca Morelli