«All’inizio sono stati sgomento e paura: di non poter gestire il proprio corpo, sopraffatto dalla malattia. Carcinoma ovarico al terzo stadio: una diagnosi che non dava molte speranze! Avevo 47 anni e nell’aprile 2012, subito dopo Pasqua, mi è crollato il mondo addosso. Non ho neppure avuto il tempo di riflettere, di pensare. Era necessario agire subito, in modo tempestivo, per asportare il tumore che già si era esteso a tutto l’apparato genitale e aveva intaccato anche una parte di intestino. E poi sei cicli di chemioterapia che ti distruggono. L’impatto della malattia è stato tanto imprevisto, quanto drammatico! Non avevo sintomi specifici, se non gonfiore addominale e senso di sazietà, accompagnati da una grande stanchezza. Su consiglio di un amico gastroenterologo, mi sono sottoposta a un’ecografia addominale. Da lì il sospetto e poi la diagnosi, confermata dalla Tac».
Ma Emanuela Billet, bresciana, residente a Milano, non si arrende. Dopo lo sgomento iniziale, incontra nel suo percorso di malattia un “angelo”, la dottoressa Vanna Zanagnolo, chirurgo all’Istituto Europeo di Oncologia, che cura non solo il corpo, asportando la massa tumorale, ma soprattutto la mente, infondendo quell’energia che dà la forza a Emanuela di andare avanti, di essere propositiva e ottimista e fare lei stessa qualcosa di utile per tutte le donne che si trovano ad affrontare una situazione difficile come la sua.
«Dopo 14 mesi dall’intervento, ho avuto una recidiva nel peritoneo e ho dovuto sottopormi ad altri cicli di chemioterapia. Nel frattempo avevo saputo, grazie al test genetico Brca 1, di essere portatrice dell’alterazione di questo gene, che aumenta del 70% il rischio di tumore. Sono riuscita a convincere alcuni familiari, in particolare mia sorella, a fare questo test: anche lei è risultata positiva e questa scoperta le ha permesso di valutare una strada di prevenzione radicale, come l’asportazione delle ovaie, per scongiurare il rischio di ammalarsi. Avendo già tre figli, è decisamente orientata a praticare questo percorso, che può sembrare troppo aggressivo, ma in molti casi può salvare la vita. L’incontro con l’associazione ACTO Onlus è stato un altro elemento determinante: ho conosciuto donne che lottano ogni giorno per sopravvivere e convivono da anni con la malattia. E proprio per loro, per farle vivere meglio, cercando di infondere quella forza che io stessa ho ricevuto, ho intrapreso l’avventura del “Diario di Itaka”, un blog dove non si parla solo di malattia, ma si cerca di ridare senso alla vita di chi è malato, proponendo percorsi alternativi che curano la mente, con innegabili benefici anche al corpo». Nel suo blog Emanuela, con la generosa collaborazione di esperti nei vari settori, propone, oltre alle cure tradizionali, percorsi alternativi come l’agopuntura, lo yoga, la riflessologia, l’arte-terapia, le ricette di salute, Si apre così uno spiraglio di leggerezza nella vita di tutti i giorni, cercando anche di recuperare un po’ della femminilità che la malattia rischia inevitabilmente di minare, per poter affrontare con speranza e fiducia il domani. Il “Diario di Itaka” è una metafora della vita: una sorta di viaggio interiore continuo, che non ha un inizio e nemmeno una fine, perché si viaggia anche nei ricordi, per tutta la vita. E questa vita merita di essere vissuta in tutta la sua pienezza, anche quando la malattia fa di tutto per distruggerla. Il coraggio di Emanuela e di tutte le donne che combattono quotidianamente contro la malattia, non può passare inosservato e deve farci riflettere, soprattutto in una giornata come l’8 marzo che vogliamo dedicare a loro!
di Paola Trombetta
Tumore all’ovaio: mortalità in calo, ma solo il 65% accede al test
Notizie confortanti sul tumore all’ovaio, che rappresenta in Italia la quinta causa di morte per cancro nelle donne 50-69enni, arrivano dal Ministero della Salute, dove i giorni scorsi si è svolto un incontro tra specialisti, promosso da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Fondazione AIOM: la mortalità è diminuita del 3% negli ultimi due anni. Il merito è da attribuire a terapie sempre più efficaci, che permettono di controllare la malattia anche in presenza di metastasi. Tra queste, i farmaci inibitori di PARP, oggi utilizzabili sia nelle pazienti BRCA mutate che non mutate. Solo il 65% delle donne con tumore accede però al test per individuare l’alterazione dei geni BRCA 1 e 2.
«Le armi contro il tumore dell’ovaio spaziano dalla chirurgia alla chemioterapia, fino alle terapie mirate, come gli inibitori di PARP», puntualizza Fabrizio Nicolis, Presidente di Fondazione AIOM. «Conoscere la mutazione dei geni BRCA è molto importante e il test dovrebbe essere effettuato su tutte le pazienti al momento della diagnosi. È questa la via da seguire per definire le migliori terapie e iniziare il percorso familiare che potrebbe permettere l’identificazione di persone sane con mutazione BRCA, nelle quali impostare programmi di sorveglianza o di chirurgia, per la riduzione del rischio di sviluppare il tumore ovarico. Ma, ancora oggi, non tutte le pazienti accedono al test. Inoltre, il regime di rimborsabilità per questo esame varia nelle diverse Regioni, con la conseguenza che viene effettuato solo nel 65,2% delle donne che ricevono la diagnosi».
«Serve più impegno nel migliorare le strategie di prevenzione di una neoplasia che, nel 2018, ha interessato in Italia 5.200 nuovi casi, l’80% dei quali in fase avanzata», fa notare Stefania Gori, Presidente Nazionale AIOM e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar. «Se il tumore è confinato all’ovaio, la sopravvivenza a cinque anni raggiunge il 90%, mentre scende al 15-20% negli stadi avanzati. Circa il 20% delle neoplasie ovariche è ereditario, cioè causato da specifiche mutazioni genetiche, BRCA1 e BRCA2, due geni che producono proteine in grado di bloccare la proliferazione incontrollata di cellule tumorali. Queste proteine partecipano ai meccanismi di riparo del DNA, garantendo l’integrità dell’intero patrimonio genetico. Quando sono mutate, cioè difettose, il DNA non viene riparato correttamente e si determina un accumulo di alterazioni genetiche, che aumenta il rischio di cancro. L’informazione sull’eventuale presenza della mutazione BRCA va individuata al momento della diagnosi, perché può contribuire alla definizione di un corretto percorso di cura. E, nei familiari con la mutazione, devono essere avviati programmi di sorveglianza intensiva che spaziano dai controlli semestrali, fino all’asportazione chirurgica delle tube e delle ovaie (annessiectomia bilaterale). Le donne che ereditano la mutazione BRCA1 hanno una probabilità del 44% di sviluppare un tumore ovarico nel corso della vita. La percentuale è inferiore per il gene BRCA2 (17%)».
Lo studio “Every Woman”, promosso dalla World Ovarian Cancer Coalition, condotto su 1.531 pazienti di 44 Paesi, ha evidenziato che, in Italia, prima della diagnosi, il 56,5% delle donne non aveva mai sentito parlare di questa neoplasia e solo il 65,2% è stato sottoposto al test genetico. Per sensibilizzare i cittadini sulla malattia e sull’importanza di accedere al test, Fondazione AIOM ha pubblicato un “Quaderno informativo”, realizzato con il supporto non condizionato di Clovis Oncology. Questa pubblicazione, che prende spunto dalle Linee Guida AIOM sul tumore dell’ovaio, aggiornate nel 2018, si inserisce in una strategia di sensibilizzazione sulle diverse neoplasie, che include 30 “Quaderni” indirizzati ai cittadini, incluso un Opuscolo su “Test BRCA e prevenzione del carcinoma ovarico”. Già nel 2014 ACTO Onlus ha pubblicato la prima guida sul tumore ovarico per le pazienti dal titolo: “Il silenzio non è d’oro: sapere, dire, fare contro il tumore ovarico”, con il patrocinio di 8 società scientifiche tra cui la Società Italiana dei Medici di Medicina Generale. E lo scorso anno ha pubblicato sul proprio sito anche la versione italiana della Guida al tumore ovarico per le pazienti della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), versione rivista per la parte scientifica dalla professoressa Nicoletta Colombo dello IEO. Lo scopo di queste pubblicazioni è di far conoscere e riconoscere la malattia, con particolare attenzione ai sintomi iniziali, anche se spesso aspecifici. «Il trattamento delle forme precoci è chirurgico ma, di fronte a un rischio di recidiva del 25-30%, in molti casi viene prescritta una terapia chemioterapica, dopo l’intervento», conferma Domenica Lorusso, ginecologa oncologa presso la Ginecologia Oncologica, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma. «Nella malattia avanzata, è indicato un approccio chirurgico quanto più possibile radicale. In alcuni casi, può essere necessario far precedere l’intervento da alcuni cicli di chemioterapia per ridurre il tumore e rendere la successiva chirurgia meno complessa. Il 70-80% delle pazienti con neoplasia ovarica in stadio avanzato presenta una recidiva entro i primi due anni dal termine del trattamento. L’evoluzione delle terapie ha consentito di migliorare le possibilità di cura di queste pazienti. Da un lato, con i due farmaci antiangiogenici, che impediscono al tumore di sviluppare i vasi sanguigni che ne permetterebbero la crescita. Dall’altro, sono disponibili gli inibitori di PARP, efficaci sia nelle pazienti che presentano la mutazione dei geni BRCA che in quelle che ne sono prive. L’utilizzo di questi farmaci ha prolungato l’intervallo libero da progressione della malattia. Queste molecole hanno il grande vantaggio di essere disponibili in formulazione orale e sono ben tollerate. Sono in corso studi che stanno valutando l’efficacia degli inibitori di PARP anche in prima linea, dopo l’intervento chirurgico».
«Sono poche le strategie efficaci per prevenire il tumore dell’ovaio», aggiunge Valentina Sini, oncologa presso il Centro “Santo Spirito Nuovo Regina Margherita” ASL Roma 1. «I fattori protettivi sono le gravidanze, l’allattamento al seno e un prolungato impiego di contraccettivi orali. In particolare, donne con più gravidanze presentano una riduzione del rischio del 30%, rispetto a quelle che non hanno partorito. Una recente indagine ha dimostrato che l’uso prolungato di anticoncezionali riduce il rischio di incidenza di tumore ovarico nella popolazione generale, in particolare nelle donne portatrici di mutazione dei geni BRCA». Quattro società scientifiche, AIOM, SIGU (Società Italiana di Genetica Umana), SIBioC (Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica) e SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica), hanno firmato le “Raccomandazioni per l’implementazione del test BRCA” nelle pazienti con carcinoma ovarico e nei familiari a rischio neoplasia. «Come associazione chiediamo che le morti evitabili delle donne BRCA positive si avvicinino allo zero, attuando quanto suggerito dalla comunità scientifica nazionale e internazionale e ribadito nel Piano Nazionale di Prevenzione 2014-2018», conclude Ornella Campanella, Presidente di aBRCAdaBRA Onlus. «È importante che queste alterazioni genetiche siano individuate precocemente, anche attraverso provvedimenti di politica sanitaria, con accesso al test in modo uniforme sul territorio nazionale. È essenziale che la presa in carico delle persone sane e delle pazienti BRCA mutate avvenga in centri specializzati».
Paola Trombetta