È stato presentato in anteprima, in occasione del MIDO Eyewear Show 2019 (23-25 febbraio, Fiera MilanoRho), il progetto pilota di screening oculistico “Occhi Preziosi”, dedicato a bambini dai 3 ai 4 anni. «Il periodo “critico” e quindi il momento più efficace in cui si può e si deve fare prevenzione per correggere i difetti visivi è tra 1 e 6 anni di età del bambino», spiega Sebastiano Accetta, Primario dell’U.O. Oculistica dell’Istituto Clinico Sant’Ambrogio, segretario del Comitato Scientifico di Vision + Onlus. In questa fase si possono infatti identificare, rimuovere o correggere precocemente alterazioni organiche come la cataratta, anomalie motorie come gli strabismi o gravi difetti refrattivi, che possono interferire con lo sviluppo dell’apparato visivo. Invece l’attenzione prestata agli occhi dei più piccoli è spesso trascurata e la sua importanza sottovalutata: secondo i dati del Piano nazionale Prevenzione 2014-2018, i problemi della vista non diagnosticati in bambini in età (pre)scolare raggiungono il 5%: tra i più frequenti (25%), l’ambliopia, l’occhio pigro e lo strabismo che potrebbero essere risolti tempestivamente con un trattamento riabilitativo adeguato.
Il problema non riguarda solo i piccoli: il 70% dei ragazzi al di sotto dei 18 anni sembra vedere male per colpa di smartphone e affini. Dati confermati anche da una indagine di Vision + Onlus condotta tra studenti di 18-23 anni di vari Atenei lombardi (Università Bocconi, Università degli Studi di Milano, Università Carlo Cattaneo LIUC di Castellanza – Varese), in cui su 3000 test di screening effettuati, il 53% ha evidenziato problematiche visive, non note ai ragazzi. Tra queste c’è ad esempio il cheratocono: un’alterazione “degenerativa” della cornea che si assottiglia, si indebolisce, assume la forma di cono fino a causare, se non adeguatamente trattata e monitorata, un progressivo peggioramento della vista. Di norma è una malattia giovane, compare nell’infanzia o nella pubertà, e può progredire in molti casi fino ai 35-40 anni, in taluni altri evolvere anche oltre. Sebbene le cause non siano del tutto note, l’ipotesi più accreditata è che possa essere ereditata da un familiare. Oppure può insorgere in età più adulta come complicanza della chirurgia refrattiva o essere peggiorata da allergie e microtraumi da sfregamento. Nello sviluppo della malattia sono implicati alcuni enzimi: «In particolare – precisa Pasquale Troiano, direttore dell’Unità Operativa complessa di Oculistica dell’Ospedale Fatebenefratelli di Erba, consigliere e presidente del Comitato Tecnico Scientifico SOI (Società Italiana di Oftalmologia) – si assiste all’aumento delle proteasi e alla diminuzione dei loro inibitori. Questo disequilibrio fa lavorare male i cheratociti, specifiche cellule della cornea, che non sono più in grado di rinnovare efficacemente il tessuto cornale, che va incontro a una riduzione dello spessore e a una deformazione strutturale». Con implicazioni sulla “buona” vista: «La visione diviene sempre più sfuocata e scarsamente migliorabile con occhiali – aggiunge Troiano – fino agli stati più avanzati in cui il deficit è difficilmente correggibile, anche con lenti a contatto». Non essendo possibile la prevenzione (per una questione di ereditarietà), è fondamentale la tempestività diagnostica. «Sono raccomandate sempre,soprattutto quando esiste familiarità con la malattia, visite oculistiche a 3, 6 e 12 anni, senza sottovalutare la visione sfuocata che non viene corretta con gli occhiali. Le visite, laddove necessario, possono essere completate con esami specialistici per la diagnosi precoce, come la topografia e/o tomografia corneale che “mappano” la curvatura della cornea e/o la pachimetria che invece ne misura lo spessore».
Una volta conclamata la malattia, tra le soluzioni più innovative per trattare il cheratocono, c’è il cross-linking: «Obiettivo della tecnica – aggiunge l’oculista – è stringere più tenacemente le maglie che tengono insieme il tessuto della cornea per rendere più difficile la sua deformazione. Dapprima si imbeve la cornea di una particolare sostanza (riboflavina), che ha lo scopo di proteggere la cornea e catturare meglio la luce, in particolare ultravioletta, con cui la cornea viene irradiata per renderla più dura e rigida». La tecnica del cross-linking nel corso degli anni è sensibilmente migliorata con vantaggi indiscussi per il paziente: «All’esordio la procedura era aggressiva – ha dichiarato ancora Troiano – e prevedeva l’asportazione chirurgica dell’epitelio corneale. Oggi, grazie alle nuove metodiche di produzione della riboflavina e all’impiego di particolari sistemi illuminanti, è possibile praticare il cross-linking senza rimuovere l’epitelio. Questo significa senza dolore, senza anestesia e con riduzione al minimo delle probabilità di infezione: dunque più sicurezza e tollerabilità per il paziente». Rimane però l’ostacolo della rimborsabilità della prestazione: «Nell’attuale normativa riguardante i costi sostenuti dal Sistema Sanitario Nazionale nelle sue varie declinazioni regionali – conclude Troiano – sono ammesse le prestazioni di cross-linking solo se viene accertata la progressione della malattia, ma non c’è cheratocono che non evolva. Dunque, l’indicazione è iniziare il trattamento non appena viene posta la diagnosi di cheratocono, poiché l’attesa di 3-6 mesi per ripetere gli esami strumentali e dimostrare la progressione di malattia come vogliono le norme per il rimborso, può essere causa di peggioramento, anche grave». Fino a casi estremi in cui arrivare tardi può significare anche dover ricorrere al trapianto di cornea, eventi invece evitabili, ricordando che l’uso di occhiali e lenti a contatto non rappresenta un’ opzione terapeutica per il cheratocono, ma solo un mezzo per aumentare la capacità visiva.
di Francesca Morelli