Dalla nascita della prima “bambina in provetta” sono passati più di 40 anni e, come Louise Brown, sono otto milioni i bambini nel mondo nati grazie alle tecniche di procreazione assistita. In Italia, proprio in questi giorni, compie 15 anni la legge n° 40/2004 sulla Fecondazione assistita, che è stata più volte rivista e modificata a suon di sentenze dei Tribunali. Come quella che proprio a marzo di quattro anni fa ha consentito la nascita di Martina, la figlia di una coppia fertile con malattia genetica, alla quale è stato garantito il diritto di avere una diagnosi preimpianto. Per celebrare queste ricorrenze è stata presentata in Senato la “La campagna del… cavolo”, nell’ambito del Convegno “La scelta di essere mamma” organizzato dalla Fondazione PMA Italia, la prima organizzazione di centri nazionali pubblici e privati nel campo della procreazione medicalmente assistita (PMA). La campagna si propone di informare i cittadini sulla possibilità di preservare la fertilità: è infatti possibile conservare i propri gameti, con spese a carico del Sistema Sanitario Nazionale, per poi utilizzarli quando la coppia potrà realizzare un progetto genitoriale. La campagna si svilupperà nei prossimi mesi sul web e attraverso i canali televisivi nazionali, coinvolgendo, su tutto il territorio nazionale, i centri aderenti alla Fondazione PMA Italia.
«Il cavolo è simbolo della fecondità», spiega l’avvocato Gianni Baldini, docente di Biodiritto all’Università di Firenze, direttore della Fondazione PMA Italia e legale delle coppie che sono ricorse alla Corte Costituzionale. «Basti pensare ad elementi simbolici, come il fatto che il cavolo viene raccolto dopo 9 mesi o che le donne che lo raccolgono sono chiamate “levatrici”. In questo contesto, il cavolo ha la funzione di sdrammatizzare una vicenda seria: 15 mila bambini in Italia nascono ogni anno con la procreazione medicalmente assistita, 2 su 10 nati».
In occasione del Convegno internazionale che si svolge a Firenze il 21 e 22 marzo, abbiamo anticipato alcune dichiarazioni del professor Luca Mencaglia, presidente di Fondazione PMA: «Sempre più coppie oggi lamentano problemi di sterilità/infertilità», conferma il professore. «Le stime più recenti parlano di percentuali sopra il 20%. Ciò è dovuto a stili di vita sbagliati, scelte procreative in età sempre più avanzata, fattori ambientali di vario tipo. Ma soprattutto mancanza di prevenzione, che significa mancanza di educazione e informazione sui temi della fertilità. Molto importante e incisiva sui risultati della PMA è l’età della donna: le percentuali di successo a 30-35 anni raggiungono il 40%, mentre si abbassano fino al 10-15% sopra i 38 anni. Dopo i 40 anni non si consiglia la fecondazione omologa e si suggerisce l’eterologa, che in Italia è stata approvata solo da 4 anni, con una modifica della legge 40. Prima di allora erano circa 30-35 mila all’anno le coppie che intraprendevano i “viaggi della speranza” in Spagna o nei Paesi dell’Est per la fecondazione eterologa. Oggi i numeri sono decisamente diminuiti, ma ancora 10 mila coppie all’anno vanno all’estero perché in Italia sono insufficienti le donazioni di gameti, soprattutto ovociti. Una strategia potrebbe essere la conservazione dei gameti non solo nelle coppie che hanno problemi oncologici o di patologie che potrebbero colpire la fertilità futura, come oggi avviene con rimborsi da parte del Sistema Sanitario, ma consentire a tutte le coppie che lo richiedono di congelare i propri gameti e, dopo averne utilizzati magari solo una parte per procreare, donarle alle coppie che ne hanno necessità. Questa procedura viene rimborsata oggi in alcune regioni, come Friuli Venezia Giulia e Toscana». Ma ancora tanta strada rimane da fare, tenendo presente che l’Italia è l’unico Paese europeo che importa gameti per la fecondazione eterologa. «La Consulta è intervenuta finora abrogando il divieto di accesso per coppie fertili alla diagnosi preimpianto, il divieto di fecondare solo tre gameti e il divieto della eterologa». dichiara l’avvocato Filomena Gallo (Associazione Luca Coscioni), protagonista di tante battaglie vinte nei tribunali. «E ancora non è possibile la donazione alla ricerca di embrioni non idonei alla gravidanza, la diagnosi preimpianto è esclusa dai LEA e non sono previste tariffe di rimborso per le donne che decidono di donare ovociti. Chiediamo al Parlamento di intervenire su questi punti e sull’accesso alla Pma anche per coppie dello stesso sesso, tema su cui si esprimerà a maggio la Corte Costituzionale». In totale sono stati avviati 38 procedimenti nei tribunali, tra cui nel 2012 un’ordinanza che affermò il diritto di effettuare un esame diagnostico per prevenire la talassemia. Per la prima volta la decisione giudiziaria affermava che l’indagine andava fornita direttamente dall’ospedale o tramite una struttura convenzionata, imponendo all’azienda sanitaria di eseguire la diagnosi preimpianto. «Un primo procedimento, con incidente di costituzionalità sul divieto della legge 40 di diagnosi preimpianto, è stato avviato dal Tribunale di Firenze, seguito da altri due procedimenti a Milano e Catania e poi nel 2014 la dichiarazione di incostituzionalità del divieto». La legge 40 oggi è diversa, ma per assicurare il diritto di poter avere un figlio a molte altre mamme in futuro, l’accesso alle tecniche di Fecondazione Assistita deve essere garantito a tutti dal Sistema Sanitario Nazionale ed essere inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), inclusa la Diagnosi preimpianto; il limite di età per accedervi dovrebbe essere stabilito dal medico per ogni singolo caso; la proposta nel servizio pubblico di tariffe idonee, con inclusione dei rimborsi per i donatori gameti; la stesura, nel settore privato, di un tariffario unico, con la possibilità di beneficiare di convenzioni, dove il pubblico non riesce a coprire il fabbisogno.
di Paola Trombetta
Diagnosi preimpianto: un’opportunità per nascite sane
La diagnosi preimpianto protegge la salute di tanti futuri bambini dal rischio di nascere con anomalie cromosomiche o malattie genetiche importanti come l’emofilia A e B, la beta-Talassemia, la distrofia muscolare di Duchenne e Becker, la fibrosi cistica, la sindrome X fragile, l’atrofia muscolare spinale. «Sono circa 4 mila coppie in Italia a rischio di concepire figli con anomalie, da geni e cromosomi alterati, per le quali in oltre il 90% dei casi non esiste una cura specifica, ma che si possono diagnosticare prima di avviare un percorso di PMA», ha dichiarato Claudia Livi, responsabile del Centro Demetra di Firenze in occasione del recente convegno “Diagnosi Preimpianto Istruzioni per l’uso” a Roma. «La diagnosi genetica preimpianto permette di identificare malattie ereditarie o alterazioni cromosomiche in fasi molto precoci dello sviluppo, ovvero prima dell’impianto in utero dell’embrione, con un’accuratezza diagnostica del 99%, evitando così di dover ricorrere all’aborto terapeutico. Una scelta che può avere conseguenze serie, sia dal punto di vista clinico, che dal punto di vista psicologico per la coppia, non solo per la donna». La procedura consiste nel prelievo e l’analisi di alcune cellule dell’embrione, con l’obiettivo di identificare quello sano da trasferire ed evitare l’impianto di quelli potenzialmente affetti da malattie, ma anche di embrioni che non attecchirebbero, verrebbero abortiti o darebbero luogo a nascite di bambini con gravi alterazioni cromosomiche. La diagnosi preimpianto contribuisce a ridurre le interruzioni terapeutiche di gravidanza, grazie alla possibilità di scegliere embrioni da impiantare non affetti da malattie, laddove fossero presenti in famiglia, ma anche di diminuire le probabilità di aborti spontanei possibili nel 35% di donne di oltre 40 anni, a seguito dell’impianto di embrioni non idonei. Rischio che invece, con la diagnosi preimpianto, si abbasserebbe all’8%. La tecnica è consigliata a coloro nella cui famiglia è presente una malattia genetica grave, che può dare disabilità importanti o la morte nei primi anni di vita, a donne che hanno effettuato cicli di trattamento con transfer negativi o aborti spontanei e infine a donne con più di 38 anni in cui ridurre complicanze di aborti spontanei o transfer falliti». La diagnosi preimpianto in Italia è resa possibile dalla legge 40 e dal 2015 è stata “garantita” anche a coppie fertili e portatrici di malattie genetiche: tuttavia non sempre è rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale. «Su questo fronte – aggiunge l’esperta – i tribunali stanno imponendo alle Regioni di inserire la prestazione nei LEA regionali, “mozione” appoggiata da associazioni di pazienti e dell’Associazione Luca Coscioni con la raccolta di oltre 2 mila firme». C’è però ancora un altro limite: oggi non tutte le strutture pubbliche eseguono questi test preimpianto. Per questo è importante scegliere un centro specializzato che possa indirizzare la coppia verso il percorso più adatto, sostenendo un colloquio con il genetista, il ginecologo ed eseguendo esami mirati. Per maggiori informazioni è possibile scaricare la guida: “Diagnosi Preimpianto – Istruzioni per l’uso” dal sito www.centrodemetra.com
Francesca Morelli