Cento miliardi di neuroni che lavorano incessantemente per farci pensare, ricordare, camminare, sognare, amare, vivere. Poi qualcosa, in quel meccanismo perfetto, si inceppa e gli automatismi, così normali e facili, diventano una difficoltà insormontabile. La memoria si perde, i ricordi si offuscano, le parole non si trovano e si pronunciano con difficoltà, le mani o gli arti cominciano a tremare e a muoversi con rigidità, persone e cose non si riconoscono più. La capacità funzionale del cervello si perde, perché si è ammalato di qualche problematica importante: Alzheimer, Parkinson, ictus cerebrale, sclerosi multipla, epilessia, disturbi del sonno. Più in generale di una malattia neurologica o cerebrovascolare, di cui in Italia soffrono circa 5 milioni di persone. Prevenirne l’insorgenza non è possibile, ma ritardarne la comparsa o rallentarne decorso e manifestazioni, sì. Grazie all’adozione di uno stile di vita sano. Dieta mediterranea, fin dalla giovane età, attività fisica e abolizione di fattori di rischio (ipertensione, diabete, obesità e fumo) sono una strategia di contrasto efficace. «Una dieta sana ed equilibrata, come quella mediterranea – spiega Mario Zappia, segretario della Società Italiana di Neurologia (SIN), in occasione della Settimana Mondiale del Cervello (11-17 marzo), che si celebra in 80 paesi del mondo, e Direttore della Clinica Neurologica dell’A.O.U “Policlinico Vittorio Emanuele” di Catania – è in grado di fornire un costante apporto di macronutrienti e micronutrienti, utile nelle prevenzione di molte malattie neurologiche. Tra queste le malattie carenziali, come neuropatie e mielopatie, dovute a deficit di vitamina B12 in diete prive di alimenti animali. Mentre per altre malattie di tipo neurodegenerativo, cerebrovascolare e infiammatorio, studi neuroepidemiologici evidenziano il ruolo protettivo di micronutrienti come folati, vitamine del complesso B, vitamina D e E, macronutrienti, tra cui acidi grassi polinsaturi, quali omega 3 e omega 6 presenti nel pesce azzurro, nell’olio d’oliva e nei legumi, antiossidanti come il resveratrolo contenuto nel vino rosso o le antocianine che si trovano in frutta e verdura. Tutte sostanze di cui la nostra dieta è particolarmente ricca».
In particolare uno studio americano su oltre 100.000 donne ha mostrato che un’alta aderenza alla dieta mediterranea è in grado di ridurre del 18% il rischio di ictus ischemico e un altro mostra benefici per l’Alzheimer abbassandone il rischio fino al 40%, con simili risultati anche per il Parkinson. «Si stima che gli effetti della dieta mediterranea sulla neurodegenerazione – aggiunge Zappia – si associno, sia all’azione antiossidante che rimuove i radicali liberi, sia alla riduzione dell’esagerata risposta neuroinfiammatoria che potrebbe dipendere da sovralimentazione in età infantile e causa di obesità precoce. L’eccesso di peso sembrerebbe “sensibilizzare” il cervello a reagire in modo abnorme a stimoli anche di lieve entità, avviando una disfunzione di circuiti neuronali cognitivi e motori. Pertanto, una sana educazione alimentare sin dall’età infantile e l’adesione a una dieta di tipo mediterraneo rimangono, ad oggi, le migliori strategie per prevenire le malattie neurodegenerative». Ma lo stile di vita sano, si avvale anche di una attività fisica regolare e costante: anch’essa un’arma di prevenzione vincente contro questo tipo di malattie. In particolare contro l’Alzheimer, che solo in Italia conta 1 milione di casi oltre i 60 anni, uno su quattro tra gli over 80. «Alla base di questa forma di demenza – precisa il professor Carlo Ferrarese, Direttore Scientifico del Centro di Neuroscienze dell’Università di Milano-Bicocca e Direttore della Clinica Neurologica dell’Ospedale San Gerardo di Monza – vi è l’accumulo progressivo nel cervello di beta-amiloide. Studi scientifici hanno dimostrato come il deposito anomalo di questa proteina possa essere dovuto a un danno vascolare, che può essere limitato correggendo alcuni elementi di rischio quali ipertensione, diabete, obesità, fumo e scarsa attività fisica. Su quest’ultimo fattore, una revisione di circa 100 studi effettuati su oltre 100.000 anziani ha confermato che l’attività fisica aerobica moderata, pari ad almeno 3 ore alla settimana per almeno 25 settimane consecutive, è in grado di migliorare le prestazioni cognitive, sia nei soggetti in salute sia in quelli con deficit cognitivi, soprattutto per quanto riguarda le funzioni esecutive, con miglioramento dei processi di attenzione.
Inoltre, studi recenti hanno dimostrato che l’esercizio fisico è in grado di contrastare il declino cognitivo attivando diversi meccanismi, tra cui la produzione di sostanze che, liberate nel sangue, che agiscono sul cervello, come il fattore neurotrofico BDNF e la miochina irisina. Anche esperimenti su modelli animali evidenziano come il fattore neurotrofico BDNF, prodotto dai muscoli durante l’attività fisica, possa contribuire a ridurre la produzione nel cervello della proteina beta amiloide». Non solo training fisico: la mente va allenata anche con attività cognitive, quali la lettura, lo studio di una nuova lingua o di uno strumento musicale o semplicemente con un passatempo stimolante. Queste attività favoriscono, infatti, la creazione di nuove connessioni cerebrali che determinano una “riserva cognitiva” in grado di contrastare il danno di alcuni circuiti cerebrali, proteggendo così il cervello e ritardando la comparsa di demenza in soggetti con iniziale declino cognitivo. Un’ accelerazione in avanti riguardo l’Alzheimer è stata fatta anche in termine di diagnosi precoce. «Oggi sappiamo che la beta amiloide inizia ad accumularsi anche decenni prima delle manifestazioni della malattia – dichiara Ferrarese – ed è possibile evidenziarla nel cervello grazie ad una tecnica, la PET (Positron Emission Tomography), con la somministrazione endovenosa di un tracciante che lega questa proteina. Analogamente è possibile analizzare i livelli di beta amiloide nel liquido cerebrospinale, mediante una puntura lombare.
Queste tecniche permettono di stabilire il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer in soggetti con minimi deficit cognitivi, che sono quindi i migliori candidati per mettere in atto strategie preventive e ritardare l’esordio di malattia». Si attende comunque l’arrivo di nuove terapie: ad esempio alcuni studi, che fanno uso di anticorpi monoclonali per ridurre l’anomalo deposito di amiloide, sembrano indicare che una terapia eziologica sia possibile e ormai vicina, anche se efficace solo nelle fasi molto iniziali di malattia. Oltre allo stile di vita sano, risulta quindi fondamentale una diagnosi precoce, quale arma potente per mettere in atto un intervento terapeutico tempestivo e limitare quanto più possibile importanti conseguenze: «E’ fondamentale non sottovalutare sintomi e manifestazioni – conclude il professor Gianluigi Mancardi, Presidente SIN – che possono far sospettare un disturbo neurologico rivolgendosi al neurologo, figura chiave ed esperta per la valutazione e il trattamento delle patologie neurologie e cerebrovascolari». Come sottolinea anche lo spot “Conosci il Neurologo, Proteggi il Tuo Cervello” che la SIN ha realizzato in occasione della Settimana Mondiale del Cervello e che verrà trasmesso sulle principali reti nazionali dalla RAI a LA7, da Sky a Mediaset.
Il video è scaricabile al link: https://we.tl/t-BWKmd61HgH
di Francesca Morelli