Si pensa al tumore al polmone o a malattie respiratorie di altra natura, all’ictus no. Invece il fumo di sigaretta può raddoppiare il rischio di sviluppare problematiche cardio-cerebrovascolari, con prevalenza di ictus cerebrale o emorragico, in chi abitualmente accende una bionda più volte al giorno. E sono in moltissimi: più di 12 milioni di fumatori solo nel 2017, secondo i dati diffusi dal Centro Nazionale Dipendenza e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, in occasione del Mese della prevenzione all’Ictus Cerebrale (Aprile), con maggiore diffusione fra gli uomini rispetto alle donne, sebbene questa differenza di genere stia diminuendo, e nelle persone con bassa scolarità.
Il fumo è nemico delle arterie, cioè dei vasi che portano il sangue ai tessuti – spiega la dottoressa Nicoletta Reale, presidente di A.L.I.Ce. Italia Onlus (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale). La nicotina, assorbita dai polmoni, passa nel sangue provocando la riduzione del lume delle arterie e di conseguenza della circolazione del sangue. Un evento che fa aumentare la pressione arteriosa e provoca tachicardia, favorendo la formazione di placche aterosclerotiche e di coaguli che entrano in circolo, causando seri danni per il cuore, cervello, reni e altri organi». Quando un trombo ostruisce un’arteria cerebrale, provoca un ictus: un evento improvviso, inatteso e traumatico, spesso responsabile di disabilità, e dunque di riduzione della qualità della vita, facilitando anche lo sviluppo di disturbi cognitivi, e di demenza. Le sigarette, dunque, oltre a problematiche note, “accendono” anche questo rischio.
«I fumatori – aggiunge la dottoressa – hanno probabilità due volte maggiori di essere colpiti da ictus ischemico e ben quattro volte superiori di sviluppare un ictus emorragico. Eppure, nonostante le azioni di sensibilizzazione e informazioni a riguardo, più della metà dei fumatori reduci da un ictus riprende il vizio, una volta lasciato l’ospedale, con un rischio triplicato di mortalità, quintuplicato se la sigaretta è consumata una settimana dopo la dimissione». Per ridurre l’abitudine al tabagismo nella popolazione generale, in questi anni è stato fatto molto: dalla restrizione del fumo nei locali pubblici, alle campagne di sensibilizzazione riguardo i danni provocati dalla sigaretta, all’abolizione della pubblicità video e su giornali, fino all’aumento del costo delle sigarette. Ma i risultati sono stati inferiori alle attese: in Italia, ancora oggi, circa il 20% della popolazione adulta fuma. Abitudine che è in crescita nei giovanissimi, soprattutto fra le ragazze inconsapevoli (forse) di mettere doppiamente a repentaglio la qualità della loro vita. «Associare la “dipendenza” dalla sigaretta – fa notare l’esperta – all’uso della pillola anticoncezionale può provocare eventi acuti cardio-cerebrovascolari, ictus compreso, in età giovane». Smettere di fumare, indipendentemente da quando si sia iniziato e dal numero di sigarette accese, diminuisce invece sensibilmente il rischio di questo evento già dopo poche settimane dall’astensione, fino a equiparare il rischio cerebro-cardiovascolare a quello di un non-fumatore assoluto dopo cinque anni. Mentre permangono le probabilità di sviluppare un tumore. «Per questo è importante non fumare – raccomanda la dottoressa Reale – e aiutare chiunque, ma soprattutto i giovani, a non iniziarsi a questa abitudine».
Più che un consiglio è una necessità: infatti, secondo l’indagine Health Behaviour in School-aged Children, fuma all’incirca il 14% degli under 15enni, con conseguenze immediate e a lungo termine per la salute. Oltre ad aumentare il rischio di manifestare in età adulta malattie cardiovascolari, tumori e problematiche respiratorie, il fumo adolescenziale e giovane riduce fin da subito le performance fisiche e atletiche, aumenta frequenza cardiaca, ansia e disturbi del comportamento, tra cui la predisposizione all’uso/abuso di alcolici, droghe e altre sostanze. «Tra gli effetti più evidenti dell’abitudine al fumo – precisa ancora la dottoressa – c’è la dipendenza da nicotina, che induce i giovani a fumare più a lungo nel corso della vita e, quindi, ad aumentare il rischio di un evento cardio-cerebrovascolare.
È dunque fondamentale prevenire e informare i cittadini di qualunque età che bastano anche poche o una sola sigaretta al giorno per produrre un rischio di malattia superiore rispetto a quello di chi non fuma e che si tratta di un rischio continuo, vale a dire che più si fuma più questo aumenta. Mentre smettere di fumare, o non cominciare affatto, riduce la mortalità totale, i problemi respiratori e circolatori, migliora l’aspetto della pelle, dei denti e della bocca, abbassa la probabilità di incorrere in un ictus». Non va infine dimenticato che l’ictus, come tutte le malattie cardiovascolari e i tumori, è una malattia dovuta alla concomitante azione di più fattori: ipertensione arteriosa, obesità, diabete, fumo, sedentarietà e alcune anomalie cardiache e vascolari. «Le terapie della fase acuta, la trombolisi e la trombectomia meccanica, attualmente disponibili – conclude la dottoressa Reale – possono evitare del tutto o migliorare in modo sensibile gli esiti dell’ictus, ma la loro applicazione rimane ancora molto limitata per una serie di motivi. Tra questi la scarsa consapevolezza dei sintomi dell’ictus da parte della popolazione, e dunque il conseguente ritardo con cui si chiama il 112 e l’accesso a ospedali idonei, ma soprattutto la mancanza di reti ospedaliere organizzate ad attuare questi interventi specifici che possono salvare la vita o evitare un danno importante».
di Francesca Morelli