Perdere i capelli è uno tra gli effetti indesiderati più temuti di alcuni trattamenti chemioterapici, che peggiora di molto la qualità di vita delle donne con tumore della mammella. E proprio per trovare soluzioni concrete ed efficaci, la SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse) ha finanziato uno studio multicentrico italiano, iniziato a gennaio 2018 e presentato al Congresso mondiale di Dermatologia di Milano, che seguirà l’evoluzione dei capelli nel tempo su un campione di 100-150 donne sottoposte a chemioterapia per cancro della mammella. Lo studio ha una durata di 2 anni e ha lo scopo di indagare le cause dell’alopecia e le possibili cure. In particolare, l’obiettivo è quello di capire come prevenire o curare la forma di alopecia permanente, che affligge il 30% delle pazienti oncologiche. Sebbene, infatti, i grandi progressi terapeutici abbiano reso il cancro una malattia curabile e l’87% dei pazienti sia vivo a 5 anni dopo la terapia, il 90% delle donne con tumore alla mammella curate con alcune tra le più usate chemioterapie è colpito da alopecia temporanea. E in un 30% dei casi i capelli non ricrescono più. «Le ricadute psicologiche per una donna costretta a indossare parrucche o foulard per tutta la vita o per un lungo periodo di tempo, sono molto pesanti», puntualizza Bianca Maria Piraccini, professore associato in Dermatologia presso il Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Bologna. «Secondo uno studio americano, il 4% delle pazienti con diagnosi di tumore della mammella sotto i 35 anni rifiuta la chemioterapia, accettando di mettere a rischio la vita, per paura di guardarsi allo specchio e vedersi calva».
Un problema molto serio che finora non è stato sufficientemente considerato. Ma oggi va rivalutato alla luce dei successi dell’oncologia. SIDeMAST ha promosso un trial denominato “Alopecia permanente da chemioterapici”. «Si tratta di uno studio interventistico sperimentale che si focalizza sulle caratteristiche epidemiologiche, cliniche, dermoscopiche, istopatologiche e sulla microscopia confocale», spiega il professor Piergiacomo Calzavara-Pinton, presidente SIDeMaST. «L’impegno dei dermatologi italiani della nostra società scientifica è fondamentale. Alla ricerca partecipano pazienti di sesso femminile, osservate prima, durante e dopo la chemioterapia. Vogliamo capire come prevedere i casi di alopecia permanente, come prevenirla e offrire le soluzioni terapeutiche più adeguate. Il Congresso Mondiale di Dermatologia ha rappresentato un’ottima occasione per un confronto produttivo tra gli esperti italiani e le eccellenze dal resto del mondo».
«Ad oggi, si sa ancora troppo poco sui fattori che possono portare all’alopecia», continua la professoressa Piraccini.«Sono in corso ricerche sui geni predisponenti e, in futuro, si potrà prevedere chi sarà colpito da alopecia dopo la somministrazione dei farmaci chemioterapici. Studi scientifici hanno fornito qualche evidenza in più sulla prevenzione di questo effetto collaterale: il raffreddamento dello scalpo durante la chemioterapia con caschi o cuffie riduce la caduta dei capelli. Per quanto riguarda la cura, per ora sappiamo che l’applicazione locale di minoxidil lozione, da anni in commercio in Italia e nel mondo per l’alopecia androgenetica, durante la chemioterapia e nei 4-5 mesi successivi facilita la ricrescita dei capelli. Dopo un anno dall’inizio del trattamento il paziente viene valutato di nuovo. Se ha ottenuto benefici, la cura viene portata avanti; in caso contrario, sospesa. Abbiamo però bisogno di incrementare ulteriormente la ricerca – conclude la professoressa Piraccini. Ed è per questo che studi come quello di SIDEMAST sono molto importanti».
di Paola Trombetta