Pestaggi, abusi, atti di violenza estrema, perpetrati da giovani ad altri coetanei, uomini, donne, anziani. Come il drammatico episodio di Manduria: un anziano massacrato di botte da otto giovani, sei dei quali ancora minorenni. Per non parlare dell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, a fine luglio, colpito con 11 fendenti da un 19 enne. Eventi, sempre più frequenti, che scrivono la cronaca dell’età dell’adolescenza e della giovinezza senza freni e redini, insoddisfatta, condotta oltre ogni limite. Senza soppesare le conseguenze, senza farsi una morale. «Seppure siano comportamenti che appartengono a una minoranza di giovani, sono l’ennesimo indicatore della grande sofferenza relazionale e del pesante disagio esistenziale dei giovani», afferma Fulvio Giardina, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi. «Questi giovani sono e si sentono “terra di nessuno”, padroni di loro stessi. Ragazzi e ragazze hanno perso interesse verso modelli reali: genitori e figure referenziali non più avvertiti come guida, attenta e silenziosa, tuttavia vigile e autorevole. Sostituti invece da profili virtuali: chat, social network, tecnologie in genere che abituano a una “comunicazione non comunicazione”, portando a aderire a comportamenti di massa, talvolta lontani dalla qualità e dallo stile di vita sano e corretto». E così accade che per oltre 2 milioni di adolescenti, tra i 14 e i 17 anni, i bicchieri di alcol e superalcolici (15%) bevuti fuori casa o fuori dai pasti, il fumo acceso per la prima volta tra amici (6%), la pigrizia che spinge a spalarsi su un divano, l’uso di internet navigato su ogni rotta da quasi il 94% di giovani, quotidianamente per l’82% di essi, si trasformino da abitudine a regola fino a diventare dipendenza, isolamento. «Nonostante i dati allarmistici sui comportamenti devianti degli adolescenti – spiega Katia Vignoli, psicoterapeuta esperta di adolescenti – non c’è in realtà nulla di particolarmente nuovo nell’attuale generazione di giovani “ribelli” rispetto al passato. La novità è, invece, il veicolo del disagio giovanile, l’abuso nell’utilizzo di internet e dei social network in particolare, che rendono il ragazzo sempre più solo. Strumenti che fanno comunicare senza scambiare, fanno mostrare senza svelarsi, fanno cercare visibilità per sparire nella serialità e nell’omologazione delle immagini. Come un selfie, visibilità autistica che non produce valore, conoscenza e interscambio, ma che sviluppa una solitudine sempre più cristallizzata». La scelta di una vita e comunicazione “virtuale” ha un lato ancora più temibile: comportamenti “autodistruttivi” che celano un rifiuto della società e di ciò che essa rappresenta.
«Il disagio adolescenziale – interviene Alessandro Albizzati, direttore della Neuropsichiatria dell’Infanzia e Adolescenza all’Ospedale San Paolo di Milano – è testimoniato da problematiche psico-sociali importanti: disturbi alimentari, dipendenza da internet, cyberbullismo, binge-drinking, l’uso di sostanze (oggi ne esistono oltre 120 che non sono rilevabili nel sangue) o neurolettici ad altissimo dosaggio che danno lo stesso effetto degli stupefacenti, il tentato suicidio che occupa oggi il terzo posto fra le cause di disagio giovanile, con il 20-30% di accessi ai reparti di neuropsichiatria infantile. Disagi spesso non diagnosticati, intercettati tardi». Una problematica, quella delle psicopatologie, in crescita del 10% anche in Lombardia, che può denunciare l’incapacità degli adulti di gestire con competenza i minori. «I genitori – aggiunge Vignoli – sono più perspicaci, ma alla prima difficoltà temono di non essere all’altezza della situazione e avviano il ragazzo allo specialista». «Per tutelare il futuro e non distruggere la speranza – conferma Giardina – servono psicologi da impegnare in maniera capillare nella prevenzione e nel sostegno». Perché gli adolescenti, in questa fase delicata della crescita, sono “abbandonati” anche da figure professionali sanitarie referenziate, a causa di un vuoto assistenziale che invece il pediatra di famiglia potrebbe colmare. «Le visite ad età filtro sono uno strumento prezioso e consueto nella pratica della pediatria di famiglia e dovrebbero continuare a rappresentare un valido mezzo per accompagnare in continuità il ragazzo fino all’età adulta», chiarisce Rinaldo Missaglia, Segretario Nazionale SiMPeF-Sindacato Medici Pediatri di Famiglia. «Un prolungamento di attenzione e assistenza che consentirebbe di rilevare eventuali situazioni di criticità meritevoli di un intervento professionalmente adeguato. Supportando così la denuncia di un recente rapporto pubblicato su Lancet, tra il 1990 e il 2016, secondo cui lo stato di salute delle generazioni più giovani è in netto peggioramento in tutto il mondo, con sovrappeso e obesità che la fanno da padrone. È tempo che le Istituzioni preposte all’organizzazione del Sistema Sanitario Nazionale e Regionale si attivino per valutare l’adeguamento delle norme alle nuove esigenze sanitarie dei giovani assistiti prima che queste sfocino in emergenze sociosanitarie. O individuando situazioni borderline che, se non affrontate, potrebbero solo peggiorare».
Il ruolo del pediatra non si dovrebbe limitare a quello di “sentinella” e primo osservatore di un comportamento anomalo, ma dovrebbe essere “educatore” del giovane nei riguardi di altre problematiche altrettanto importanti in età adolescenziale. «Tra queste – dichiara Monica de’ Angelis, pediatra di famiglia e responsabile scientifico Dipartimento Formazione SiMPeF – i disturbi alimentari o legati alla sfera sessuale, argomenti considerati “imbarazzanti” di cui i giovani hanno timore di parlare con i genitori o gli adulti in genere, come pure i problemi dermatologici, alcuni dei quali minano l‘autostima dei ragazzi in questa delicata fascia di età in cui l’attenzione e l’importanza data al corpo è prioritaria». Aspetti sui quali i giovani vanno, informati, sensibilizzati, tutelati, rassicurati. «I pediatri di famiglia – conclude Missaglia – ribadiscono il loro impegno a eleggersi tutori del benessere familiare, disponibili a suddividere gli orari di ricevimento ambulatoriale secondo le fasce di età, con accoglienze e percorsi dedicati, con costi di realizzazione irrisori, per una migliore attenzione differenziata a giovani e/o bambini. Eppure le Istituzioni sembrano ancora poco sensibilizzate alla necessità di ampliare l’assistenza pediatrica fino alla maggiore età: opportunità che garantirebbe invece cure adeguate in questa età critica, sia da un punto di vista sanitario sia sociale». Arrestando il trend in crescita di diversi disagi, malattie e comportamenti a rischio, che invece si potrebbero intercettare prima, essendo prevenibili, controllabili, evitabili.
di Francesca Morelli