L’epatite C si vinCe insieme. Si vinCe facendo il test, semplice e poco invasivo, un prelievo di sangue o di saliva. Si vinCe con farmaci antivirali di ultima generazione (DAA), senza o con lievissimi effetti collaterali, di facile assunzione, poche pillole giornaliere per bocca, in grado di eradicare il virus definitivamente dall’organismo, nell’arco di poche settimane, con una probabilità di successo del 95-98%. È questo il “concept” della campagna di sensibilizzazione alla conoscenza dell’epatite C, malattia oggi curabile, promossa da Gilead in collaborazione con SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), AISF (Associazione Italiana Studio del Fegato), Fondazione The Bridge e Federazione LiverPool (Associazioni di Volontariato per le Malattie Epatiche ed il Trapianto di Fegato), legata anche a un concorso che ha coinvolto la più grande community di video-maker al mondo (Userfarm), con l’intento di dare “una nuova visione per vincere l’epatite C”.
«Il virus HCV che causa l’epatite C, malattia subdola e silente per lunghi anni – spiega Salvatore Petta, Segretario AISF – si trasmette principalmente col contatto di sangue infetto attraverso una lesione della cute, la condivisione di oggetti appuntiti o taglienti come rasoi, lamette o forbici, aghi, strumenti chirurgici non adeguatamente sterilizzati, tatuaggi e piercing, trasfusioni di sangue. Mentre la trasmissione per via sessuale è virtualmente nulla se pelle e mucose sono integre e altrettanto bassa è la trasmissione da madre a figlio durante il parto (3-5%), sebbene possa salire al 10-55% in caso di donne con HIV (AIDS)».
In Italia i portatori di infezioni da HCV sono all’incirca 600 mila, con una prevalenza dell’1-2% sulla popolazione generale tra le più alte in Europa, di cui 196 mila trattati con i nuovi farmaci. Da ottobre, in seguito all’approvazione del “Criterio 12” da parte di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), è possibile somministrare la terapia anche a detenuti e tossicodipendenti nei SerD, i servizi pubblici per le dipendenze patologiche del Sistema Sanitario Nazionale, che per motivi socio-assistenziali non possono sottoporsi a biopsia epatica o al fibroscan, esami finora richiesti per accedere al trattamento. Una prima capillarizzazione importante, ma ancora insufficiente. «Circa 200 mila persone con HCV nel nostro Paese non ricevono i farmaci – afferma Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT – a cui si aggiungono altri 70 mila sommersi che non sanno di aver contratto il virus, prevalentemente tra gli over 60. Siamo dunque in una situazione paradossale: abbiamo una terapia che funziona, ma non mettiamo le persone che ne possono beneficiare nella condizione di saperlo». Dunque, nonostante i traguardi raggiunti, l’informazione resta un obiettivo mancato. «Ed è anche uno degli ostacoli principali all’eradicazione dell’HCV –sottolinea Giampiero Maccioni, Presidente di Liver-Pool che riunisce 14 associazioni sul territorio – che come Federazione, insieme ad altre associazioni, stiamo cercando di compensare, organizzando giornate di sensibilizzazione sul territorio: nelle piazze italiane o negli ospedali team di specialisti eseguono gratuitamente i test e fanno counseling. Occasioni importanti dove poter scoprire di essere positivi per epatite C, ma anche sapere che la malattia è curabile».
L’informazione non è il solo bisogno insoddisfatto: «Mancano numeri esatti che profilino la portata dell’infezione, in particolare nei gruppi a rischio – precisa Rosaria Iardino, Presidente di Fondazione The Bridge – e un cambio di prospettiva sull’eliminazione del virus che deve essere considerato un investimento e non solo una spesa in funzione delle ricadute positive sulla salute pubblica. Inoltre va posta più attenzione al fatto che le percentuali di persone curate in Italia variano molto da Regione a Regione e da centro a centro, senza modelli programmatori in grado di assicurare la necessaria omogeneità nell’offerta di cura». A queste misure di valutazione politico-sanitaria devono però poi seguire azioni pratiche come rendere il test per l’epatite C gratuito per tutti e farne un test “di prossimità”, ossia attuabile in qualsiasi check-point o laboratorio di analisi e non eseguibile soltanto in ospedale o strutture lontane, disincentivando le persone. Perché il ritardo diagnostico, la presa in carico tardiva del problema o il mancato trattamento dell’HCV, dopo una lunga fase di cronicizzazione (20-30 anni), nel 20% dei casi sviluppa cirrosi epatica e nel 5% tumori.
«In caso di positività al test, ne seguirà un secondo di conferma e poi l’avvio alla terapia con i nuovi farmaci – aggiunge Andreoni – che oltre a essere molto efficaci, non hanno controindicazioni sia in caso di fallimento a precedenti terapie, sia in fase di malattia cirrotica avanzata o con gravi problematiche extra-epatiche, sia in caso di trapianto di fegato già subito o in attesa. C’è solo una condizione d’obbligo per il successo del trattamento e l’eliminazione dell’infezione radicale dall’organismo: l’aderenza alla terapia nel rispetto delle indicazioni, dosi e tempi di assunzione dei farmaci dati dallo specialista». L’Italia è uno dei 9 Paesi in lizza per riuscire a eradicare il virus dell’epatite C entro il 2030, come (pro)posto dall’Oms, e quindi ridurre del 90% i nuovi contagi e del 65% le morti, che oggi contano all’incirca 6 mila decessi annui per complicanze della malattia.
Allora, non bisogna abbassare la guardia. «Molto ancora resta da fare e iniziative come “Insieme si vinCe” – conclude Petta – aiutano a combattere lo stigma intorno a questa infezione e che fa tacere la malattia in famiglia o sul lavoro, ma soprattutto contribuiscono ad aumentare la consapevolezza sull’HCV e sull’esistenza di famaci che la curano». Come sottolinea in 45 secondi il video vincitore della campagna, Breaking not so Bad di Valerio Fea, https://youtu.be/ePwwFOzAb40 che ha sbaragliato oltre 20 videomaker da 5 paesi del mondo (Russia, Olanda, Italia, Gran Bretagna e Francia), contendendosi il podio con Il Primo passo di Timothy Emanuele Costa https://youtu.be/VVBr2qaRbIQ, piazzatosi al secondo posto e ll coach di Mirko Bonanno, https://youtu.be/r3Z3JerxZNs, arrivato terzo, dopo un attento vaglio da parte della Giuria composta dai membri promotori della campagna e di La Pina, speaker di Radio Deejay.
di Francesca Morelli
“In rete” contro questa infezione virale
Per contrastare l’epatite C occorre fare una “rete di alleanza”: lo chiedono le massime istituzioni, lo chiedono i medici, soprattutto epatologi e infettivologi, sottolineando la necessità di istituire un piano nazionale, ancora inesistente, dotato di fondi autonomi per eliminare il virus e le infezioni da epatiti virali, e percorsi dedicati (PDTA). Lo chiedono i pazienti per avere accesso più rapido agli screening e alle terapie, superando le difficoltà ancora presenti. «Un’organizzazione di Rete – dichiara Salvatore Petta – è fondamentale per mettere in contatto i centri abilitati all’erogazione dei trattamenti e quelli ancora non autorizzati e per creare un network attivo con i Medici di Medicina Generale a cui dovrebbe essere consentito l’uso diretto di test salivari su pazienti a rischio. Inoltre occorre trasformare le farmacie in luoghi di informazione, stante che le persone con infezioni da HCV sono in prevalenza over 60, tra i più assidui frequentatori, e introdurre nelle carceri e nei SerD personale specializzato in grado di fare il test in loco». Soprattutto serve far emergere il sommerso, selezionando sia le “popolazioni speciali” – tossicodipendenti, detenuti e immigrati che in Italia superano i 5 milioni, spesso provenienti da paesi d’origine in cui l’epatite C è più o meno presente – sia intercettando chi, nella popolazione generale, non sa di convivere con HCV (o di esserne portatori). «Ci sono ancora migliaia di pazienti diagnosticati e viremici al di fuori delle strutture autorizzate – conclude Massimo Galli, Presidente SIMIT – che rappresentano vite umane da salvare, situazione verso la quale i decisori politici devono fare di più, come un rapido accordo tra Governo e Conferenza Stato-Regioni per avviare strategie di eliminazione con risorse adeguate, omogenee ma declinabili alle realtà regionali». Una richiesta che è anche una necessità visto che, ad oggi, un paziente su 3 arriva in una struttura autorizzata alla cura con una malattia del fegato avanzata, in oltre la metà dei casi già evoluta in cirrosi. Di questi ultimi, circa 5 mila casi sono stati registrati solo nel corso dell’ultimo anno, con danni per la persona e il sistema salute: il non agire tempestivamente può comportare tutto questo. F. M.