«Li ricordo con infinita nostalgia! E rivedo ancora quelle splendide e gigantesche stelle natalizie che crescevano spontanee e rigogliose nel terreno intorno all’Ospedale. I sette Natali che ho trascorso al Lacor Hospital, immerso nella savana ugandese, sono un ricordo indelebile nella memoria! E ancora oggi mi fanno venire la voglia di ritornare… Dopo la Messa di mezzanotte, con le suore e i medici locali, che intonavano canti pieni di gioia e di speranza, portavo le mie due bambine, Elena e Matilde, allora di pochi anni, nelle stanze dell’Ospedale a distribuire i regali ai bimbi ricoverati, la maggior parte dei quali in condizioni molto critiche. Ma la gioia di questi volti, pur sofferenti, appagava dei tanti sacrifici che dovevano sopportare a causa delle malattie. E ricordo ancora la cucina attrezzata dove preparavamo un piatto caldo e un dolce natalizio, che le mie bimbe distribuivano con grande attenzione e dolcezza ai loro coetanei meno fortunati. Questo Ospedale è stata la nostra casa per sette anni. Abbiamo condiviso gioie e dolori di questi bambini malati, alcuni dei quali purtroppo non ce l’hanno fatta. Ma quando uno di loro guariva e poteva essere dimesso e tornare a casa, era festa grande. A coronare questi momenti, c’era sempre un’atmosfera di gioia e serenità che ci dava carica ed energia per continuare. A dire il vero, mi mancano tanto queste sensazioni forti, ma vitali, che forse solo in un contesto di grande sofferenza e disagio possono venire davvero apprezzate».
È il racconto pieno di entusiasmo, velato di nostalgia, di Valeria Calbi, ematologa all’Ospedale San Raffaele di Milano. La sua “avventura africana” inizia nel 2008 dall’incontro con Consuelo, cugina di Dominique Corti, presidente della Fondazione che porta il nome dei genitori Piero e Lucille Corti, che nel lontano 1961 fondarono il St. Mary’s Hospital di Lacor, nel distretto di Gulu, divenuto oggi uno dei più importanti poli ospedalieri e universitari dell’Uganda, con 250 mila pazienti accolti ogni anno, 10 mila nascite e 80 mila bambini curati. «La proposta iniziale riguardava la mia tesi di specializzazione in Ematologia su una malattia rara da noi, ma molto diffusa nei Paesi dove la malaria è endemica: il Linfoma di Burkitt, quasi sempre associato alla presenza del virus di Epstein Barr, causa della mononucleosi», racconta la stessa Valeria. «La disponibilità e apertura del mio primario del San Raffaele, Fabio Ciceri, verso progetti di cooperazione internazionale, mi spronarono a partire con una borsa di studio di sei mesi per il Lacor Hospital, dove venivano ricoverati con questa malattia dagli 80 ai 120 bambini all’anno. Alloggiavo in una Guest House vicina all’Ospedale, dove ho incontrato medici e biologi di altre nazioni che, come me, stavano facendo studi di specialità in differenti settori. Ero affascinata da questa nuova esperienza che mi ha arricchito professionalmente, ma soprattutto umanamente. L’applicazione di protocolli terapeutici, utilizzati abitualmente nei nostri ospedali per questo linfoma, laggiù era problematica, per la difficoltà a reperire i farmaci e mantenere la continuità terapeutica. La malattia era molto aggressiva e l’evoluzione rapida: in poche settimane tanti bambini morivano, con devastanti lesioni agli organi interni. Per fortuna, anche grazie al nostro progetto, siamo riusciti a procurarci i farmaci necessari (soprattutto metotrexate e antracicline): con le cure giuste abbiamo ottenuto buone percentuali di guarigioni: la nostra soddisfazione era indescrivibile. A quel punto, l’Ospedale di Lacor mi ha proposto di rimanere a lavorare come responsabile del reparto Pediatrico: un incarico che ho accettato senza esitazione. Il mio cuore ormai era in quell’Ospedale… in tutti i sensi! Avevo infatti conosciuto Thomas, un consulente amministrativo italiano che lavorava per sei mesi all’anno al Lacor Hospital: ci siamo innamorati e dopo breve tempo sposati. Abbiamo avuto due bambine, Elena e Matilde, che ora hanno 7 e 6 anni, e hanno condiviso con noi questa entusiasmante “avventura africana”. Oggi siamo rientrati in Italia, ma la nostalgia per l’Africa non ci abbandonerà mai».
di Paola Trombetta
Un “fratello” di nome Lacor
«Mi chiamo Dominique Atim Corti: sono nata al Lacor Hospital di Gulu, nel Nord dell’Uganda. Quando nel 1961 i miei genitori, Lucille e Piero Corti, entrambi medici, ne assunsero la direzione, era un piccolo presidio sanitario di una trentina di letti, nel mezzo della savana. Per loro è stata la ragione di vita, per me un “fratello”». E’ con queste parole che Dominique ricorda la nascita del St. Mary’s Hospital di Lacor, oggi il maggior ospedale non profit nel Nord dell’Uganda: cura ogni anno 250 mila pazienti, 2,7 milioni negli ultimi 10 anni. Offre cure mediche a circa mille persone al giorno: donne e bambini, le fasce più vulnerabili, rappresentano l’80% dei pazienti. Con i suoi tre centri periferici, raggiunge 550 letti: 10 mila bambini sono nati in quest’ultimo anno. E’ uno dei pochi centri di riferimento in tutto il Nord dell’Uganda per servizi come la chirurgia ortopedica, l’anatomia patologica, la cura del linfoma di Burkitt, frequente nei bambini. È diventato sede universitaria per la formazione di professionisti sanitari. Ma le vicende che l’ospedale ha dovuto affrontare in questi 60 anni sono rimaste indelebili nella memoria di Dominique.
«Non potrò mai dimenticare i 30 anni di guerre tribali, dall’epoca di Idi Amin a quella di Milton Obote, in cui l’ospedale veniva ripetutamente saccheggiato. Ma era anche diventato un rifugio dei “pendolari della notte”: donne e bambini che scappavano terrorizzati dai loro villaggi e si rifugiavano da noi. Ricordo in particolare una notte di Natale in cui non è stata celebrata neppure la Messa di mezzanotte, per evitare di far notare la presenza di tanta gente, col rischio di possibili rappresaglie. E i tanti feriti di qualunque etnia che venivano operati al Lacor Hospital in condizioni disperate. Sia i miei genitori che il resto del personale non hanno mai abbandonato il posto di lavoro! E sono rimasti anche quando mia mamma, a causa di questi ripetuti interventi chirurgici in condizioni estreme, si è infettata con il virus dell’HIV, quando ancora non si conosceva. Ma questo non le ha impedito di lavorare fino a pochi mesi prima di morire, nel 1996. Mio papà le sopravvive per sette anni e affronta nel 2000, col personale locale, la terribile epidemia del virus Ebola, che costa la vita a 13 dipendenti, compreso l’amatissimo direttore medico del Lacor Hospital, il dottor Matthew Lukwiya. Ma il Lacor non si arrende: si attrezza per affrontare le febbri emorragiche che, ancora oggi, minacciano queste Regioni, avvalendosi di progetti di collaborazione, come quello con l’ospedale Sacco di Milano. Ora la guerra è finita; Ebola è un brutto ricordo, ma mio “fratello” ed io, con la Fondazione Corti, abbiamo una nuova sfida: continuare a garantire salute e sviluppo, anche in tempo di pace.».
Per queste Festività, è partita la Campagna: #faiunadonazionechegeneravalore. Protagonista lo spot, cartone animato, Soldino, che spiega l’impatto socio-economico di ogni euro donato al Lacor Hospital. Per ulteriori informazioni: www.fondazionecorti.it.
Paola Trombetta