Solo l’11% degli italiani sopra i 54 anni conosce la Degenerazione maculare senile, che nei Paesi industrializzati rappresenta la principale causa di cecità, interessando circa un milione di persone, con 80 mila nuovi casi all’anno, il 30% dei quali sopra i 70 anni. Lo rivela un’indagine demoscopica nazionale commissionata dal Centro Ambrosiano Oftalmico (CAMO). È considerata la malattia della terza età perché colpisce una popolazione la cui attesa di vita si prolunga sempre più, ma si tratta di una vita senza qualità, compromessa dalla perdita progressiva e inarrestabile della vista: non si riconoscono più le facce, non si distinguono i colori, le righe del giornale appaiono storte, guidare la macchina diventa un pericolo per sé e per gli altri. L’Oms nella sessione plenaria di fine anno 2019, elencando le priorità medico-sociali che devono essere affrontate e i rischi maggiori che insidiano la salute, ha stimato che nei prossimi 30 anni la cecità causata dalla Degenerazione Maculare legata all’età passerà dai 40 milioni attuali ai 120 milioni: cioè triplicherà, come è stato anche confermato da Lancet Pubblic Health. Il 45% dei casi di perdita irreversibile della visione centrale è causato dalla maculopatia senile, una malattia che colpisce la parte centrale della retina, detta appunto macula, determinando un processo degenerativo progressivo e inesorabile.
L’indagine di CAMO evidenzia in Italia una grave disinformazione e la mancanza di una qualsiasi forma di prevenzione. «Qualcosa bisogna fare per arginare una situazione che sta diventando sempre più un problema sociale», puntualizza Lucio Buratto, Direttore Scientifico del Centro Ambrosiano Oftalmico (CAMO). «Per questo abbiamo avviato una grande campagna di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale, che spiegasse alla maggioranza dei cinquantenni italiani i gravi rischi della maculopatia, per renderli consapevoli della necessità di sottoporsi agli esami che permettono di rilevare la presenza della maculopatia».
CAMO dedica il mese di febbraio alla prevenzione della Maculopatia: i migliori specialisti oculisti sono a disposizione gratuitamente in decine di centri d’eccellenza ospedalieri, universitari e privati, su tutto il territorio per fornire una visita accurata e le indicazioni terapeutiche necessarie. Un’iniziativa di grande impegno sociale e medico, che si ripete per il quarto anno, e ha ormai realizzato un grande screening su migliaia di pazienti: per l’alta missione sociale esercitata ha ricevuto il patrocinio del Ministero della Salute e della Società Oftalmologica Italiana. Per conoscere i centri e prenotare le visite, per tutto febbraio, consultare il sito: www.curagliocchi.it
L’esame salva vista. «Queste campagne di prevenzione, oltre a dare ai pazienti un’informazione esauriente, promuovono e accelerano l’iter diagnostico», aggiunge il professor Francesco Bandello, Direttore della Clinica Oculistica dell’Università Vita-Salute del San Raffaele, che assieme al dottor Buratto collabora a queste iniziative. «Arrivare rapidamente alla diagnosi nelle malattie croniche degenerative oculistiche è il passo più importante. In media, dal momento in cui compaiono i primi disturbi visivi alla diagnosi vera e propria, passano circa 100 gironi, tra visite dal medico di famiglia, dall’oculista ed esami diagnostici di vario genere. Durante la Campagna di prevenzione viene effettuato un esame non invasivo, Tomografia Ottica Computerizzata (OTC), che è una specie di tac della retina, indolore e che dura pochi attimi e fornisce una diagnosi veloce. E questa permette di adottare al più presto le terapie più adeguate che possono rallentare la progressione della malattia e limitare il rischio della disabilità visiva».
Farmaci efficaci. Quali le novità terapeutiche in questo campo? Due sono le forme di questa patologia: una “secca” che ha una progressione lenta, ma inarrestabile. Diversa la forma cosiddetta umida (o essudativa) che ha una minore frequenza (circa il 20% dei casi) e contro la quale la ricerca ha raggiunto obiettivi terapeutici efficaci. La forma umida è causata da un’eccessiva proliferazione dei vasi sanguigni, che si riproducono in modo anomalo, a causa di un’iperproduzione dalla molecola VEGF cioè Fattore di crescita vascolare, e compromettono la funzione visiva della retina.
«Il gold standard terapeutico per la malattia, nella sua forma umida, è rappresentato da un trattamento continuativo a base di iniezioni intravitreali di farmaci anti-VEGF, una classe di molecole che agisce inibendo la proliferazione dei nuovi vasi sanguigni all’interno della retina e limitando la perdita di fluido retinico», spiega il professor Giovanni Staurenghi, Direttore della Struttura Complessa di Oculistica dell’Ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano.«Ci sono diversi farmaci registrati per questa malattia. Altri invece, tra cui bevacizumab, non hanno l’indicazione specifica, ma gli effetti sono analoghi, perché rallentano la proliferazione dei vasi sanguigni. Per questo farmaco, il Sistema Sanitario rimborsa 55,60 euro a fiala. Di recente è stato approvato da AIFA un nuovo farmaco, brolucizumab, a somministrazione intravitreale: ha il vantaggio di essere una molecola piccola, che penetra bene all’interno della retina, e sembra avere una maggiore durata d’azione nel controllare e inibire il fluido retinico. Questo significa – conclude il professore – che l’intervallo tra una iniezione intravitreale e l’altra potrebbe allungarsi e garantire, a parità di risultato, un numero inferiore di iniezioni annuali. Inoltre la riduzione delle somministrazioni renderebbe più facile per il paziente aderire alla prescrizione del medico e, per il medico e le strutture sanitarie, gestire un maggior numero di pazienti».
di Paola Trombetta