«I primi sintomi sono comparsi a sei mesi: la mia testa non reggeva e non riuscivo nemmeno a gattonare. Avendo un fratello di poco maggiore, mia mamma aveva notato il mio differente comportamento. E sono cominciate diverse visite mediche per capire la causa. Da subito ho dovuto usare la sedia a rotelle, che rappresenta per me la “normalità”, non avendo mai potuto camminare. Devo riconoscere di essere stata sempre accettata dai compagni di scuola che non mi hanno mai fatta sentire “diversa”. Purtroppo ai miei tempi non esistevano farmaci per questa malattia, diagnosticata come SMA (Atrofia Muscolare Spinale) che comporta una progressiva atrofia dei muscoli. Oggi sono in sperimentazione alcune terapie e un farmaco in particolare è già utilizzato nella clinica: prima viene assunto e maggiore è l’efficacia. Purtroppo nel mio caso non è stata possibile l’assunzione, in quanto viene somministrato con un’iniezione nella colonna vertebrale: avendo subito un intervento alla colonna per stabilizzare una scoliosi, non ho la possibilità di usare questo farmaco». A raccontare la sua storia è Simona Spinoglio, da 36 anni affetta da SMA di tipo 2, atrofia muscolare spinale, oggi educatrice e promotrice di iniziative per le persone nelle sue stesse condizioni. Lavora come counselor nel suo studio a Casale Monferrato, la città dove vive. Riceve persone con varie problematiche, utilizzando tecniche come il rilassamento, il training autogeno, le arti creative. È impegnata attivamente per l’Associazione Famiglie SMA che ha da poco ricevuto un importante riconoscimento dalla Fondazione Roche per un progetto di formazione di assistenti personali per questi malati, che partirà dalla Lombardia e si estenderà ad altre Regioni.
In occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare (29 febbraio), Simona è una preziosa testimone di come la volontà possa vincere la malattia e trasformare una situazione di grave disabilità in una condizione di “normalità a quattro ruote”, come lei la definisce. Grazie all’informazione, soprattutto nelle scuole, anche i bambini vivono oggi con maggiore naturalezza questa loro condizione, avvalendosi senza problemi della “panterina” elettrica che consente loro di muoversi come gli altri bambini. La SMA è una delle tante malattie rare e interessa circa un soggetto su 10 mila nati. Esistono diversi tipi: il tipo 1 è più grave; le forme 2-3 sono meno severe. Prima viene diagnosticata e più efficace è la cura. Per questo si è proposto di estendere lo screening neonatale, che comprende oggi circa 40 malattie, anche alla SMA: in alcune Regioni, come Lazio e Toscana, è partito un progetto pilota.
Per valutare come vivono oggi i Malati rari e quali difficoltà incontrano, abbiamo intervistato la dottoressa Domenica Taruscio, direttore del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità.
Oggi lo screening neonatale è esteso a circa 40 malattie rare: quali altre malattie dovrebbe includere e cosa vuol dire avere una diagnosi precoce, per il malato, i familiari, la società?
«Lo screening neonatale è uno dei più importanti programmi di medicina preventiva in salute pubblica. Lo scopo è individuare alla nascita, prima della comparsa dei sintomi, alcune malattie metaboliche rare e quindi prevenirne o limitarne i danni e assicurare ai bambini affetti una buona qualità di vita con il rapido avvio di terapie. In Italia lo screening neonatale è stato istituito a carico del Sistema Nazionale Sanitario (SSN), mediante la legge 104/1992, sin dal 1992 per 3 patologie: fenilchetonuria, ipotiroidismo congenito e fibrosi cistica. Dal 2016, con la legge 167/2016, lo screening è stato esteso a oltre 40 malattie metaboliche ereditarie ed è stato inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e pertanto a carico del SSN. Nel 2018 lo screening è stato ampliato anche alle malattie neuromuscolari di origine genetica, alle immunodeficienze congenite severe e a malattie da accumulo lisosomiale. Sempre a carico del SSN, sono lo screening audiologico, per individuare precocemente la sordità congenita, e lo screening visivo per le malattie dell’apparato visivo».
Quali difficoltà incontrano oggi i malati rari, sia come qualità di vita, che come opportunità terapeutiche?
«Negli ultimi 20 anni molte cose sono cambiate per le malattie rare, grazie al lavoro di tutti, istituzioni, associazioni, professionisti, che ha permesso di raggiungere importanti risultati, tra cui lo screening neonatale esteso. Ancora molto resta da fare, perché la sfida delle malattie rare è complessa e riguarda migliaia di patologie, circa un milione di persone nel nostro Paese e molti milioni nel mondo, con costi economici, sociali ed emotivi importanti. Tra i principali problemi c’è la mancanza di equità per i malati rari, che accedono in modo disomogeneo ai trattamenti e alle cure, ma anche all’esenzione dal ticket. Questo dipende da diverse cause: differente organizzazione dei servizi a livello regionale, per cui alcune malattie rare non sono incluse nei LEA e non hanno diritto al codice di esenzione, con un conseguente carico economico delle famiglie; spesso inoltre mancano politiche socio-sanitarie adeguate; si rilevano ancora difficoltà nel seguire un corretto orientamento verso percorsi della rete nazionale per la diagnosi e il trattamento delle malattie rare. Si segnalano alcune iniziative per migliorare la qualità di vita delle persone con malattia rara, come l’aggiornamento del Piano nazionale sulle malattie rare in fase di elaborazione e quello dei LEA, che potrebbe prevedere un ampliamento della lista delle malattie esenti».
Quali risultati si sono raggiunti nelle cure di alcune malattie rare e quali gli obiettivi prossimi?
«Esistono diverse iniziative per aumentare le opportunità terapeutiche (non solo in termini di terapie farmacologiche, ma anche geniche e innovative) e per stimolare lo studio di trattamenti dedicati a queste patologie. Ad esempio, l’Agenzia Italiana del Farmaco promuove da anni la ricerca indipendente nell’ambito delle malattie rare, che si rivolge a tutti i ricercatori italiani di istituzioni pubbliche e no profit, ed è finanziata da una quota del contributo pari al 5% delle spese promozionali sostenute annualmente dalle Aziende farmaceutiche. In generale, il numero dei farmaci orfani registra un buon incremento: sono passati dai 95 del 2017 ai 106 del 2018. I trial per i quali si attende la valutazione entro il 2020 individuano 18 farmaci distribuiti in 8 aree terapeutiche. Il decreto ministeriale del 2017 disciplina l’uso terapeutico di medicinali sottoposti a sperimentazione clinica e regolamenta l’attivazione di programmi di uso compassionevole, dove non vi sono valide alternative terapeutiche».
E sul fronte delle sperimentazioni cliniche, si sono fatti passi avanti?
«Sì, in questo campo emergono risultati incoraggianti. Il Rapporto Nazionale sulla Sperimentazione Clinica, pubblicato da AIFA, conferma un aumento consistente delle sperimentazioni in malattie rare che passano dal 25,5% del 2017 al 31,5% del 2018. Un nuovo dato interessante è quello relativo alle sperimentazioni pediatriche, che salgono all’11,4% del totale rispetto al 9% dello scorso anno. Grande rilevanza stanno acquisendo le terapie avanzate (distinte in terapia genica, cellulare e tissutale). La terapia genica, che si realizza attraverso il trasferimento di materiale genetico all’interno della cellula “malata” per sostituire copie di geni difettosi con copie sane, è stata una delle prime ad essere pensata per il trattamento delle malattie genetiche rare, e continua a rappresentare un importante traguardo per la cura delle malattie rare. Nel 2016, in Europa, è stata approvata la prima terapia genica per il trattamento dell’immunodeficienza combinata grave (ADA-SCID). Potrebbero beneficiarne anche i pazienti affetti da beta talassemia, atrofia muscolare spinale (SMA), o le persone con distrofia retinica ereditaria legata al gene RPE65. Molto c’è ancora da fare, ma uno degli obiettivi da perseguire è quello di investire in test genetici sempre più accurati, per arrivare a una diagnosi precoce per un numero più ampio di malattie, in alcune delle quali lo screening neonatale può fare la differenza».
Si stima che i malati rari in Italia siano più di un milione, ma solo 300 mila sono censiti dal Registro Nazionale Malattie Rare: perché questa discrepanza?
«Il Registro Nazionale Malattie Rare, istituito dall’Istituto Superiore di Sanità da Decreto Ministeriale (D.M.) 279 del 2001, rappresenta lo strumento epidemiologico delle malattie rare sul territorio nazionale ed è alimentato dai Registri regionali. Al 2018 censisce circa 325mila diagnosi di malattia rara, eppure le stime indicano che i malati rari rappresentano circa il 5% della popolazione, circa un milione in Italia. Tale discrepanza è dovuta a una serie di fattori. Anzitutto il Registro nazionale riceve un set di dati, proveniente da tutti i registri regionali, relativo alle malattie rare che hanno diritto a un codice di esenzione. Ciò comporta il mancato censimento di migliaia di malattie che, seppure rare, non sono ancora incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Ciò comporta una disomogeneità a livello regionale e territoriale, che penalizza il flusso di sorveglianza epidemiologica nazionale. L’auspicio è che il Registro nazionale possa essere alimentato in modo più completo e divenire uno strumento di sorveglianza, in linea con le casistiche reali della popolazione, per restituire un’informazione epidemiologica completa».
Perché è stato creato il nuovo portale www.malattierare.gov.it e a chi è rivolto?
«Il nuovo Portale interistituzionale sulle malattie rare (www.malattierare.gov.it) è frutto di un accordo di collaborazione tra il Ministero della Salute e il Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), con il sostegno del Ministero dell’Economia e delle Finanze e il supporto del Poligrafico e Zecca dello Stato (IPZS). Primo nel suo genere, il portale governativo, vuole offrire una raccolta di tutti i riferimenti sul territorio per i malati rari, dai centri di cura ai punti di informazione regionali, alle associazioni di pazienti, con l’intenzione di diffondere l’informazione on line sul tema delle malattie rare in modo integrato con le attività del Telefono verde (800.89.69.49) gestito dal Centro Nazionale Malattie Rare, e in accordo con gli obiettivi del Piano nazionale per le malattie rare. Si rivolge in particolare ai cittadini con malattia rara e alle loro famiglie, ma l’auspicio è quello di divenire un utile strumento per tutti gli operatori del SSN e in generale per quanti sono coinvolti nel mondo delle malattie rare. Lo sforzo è stato quello di mettere a disposizione una mole importante di informazioni, costruendo una banca dati integrata (elenchi di patologie, codici di esenzioni, ospedali, associazioni…), partendo dalla digitalizzazione del patrimonio informativo del Centro Nazionale Malattie Rare. Questo lungo lavoro rappresenta un segno tangibile di attenzione da parte delle istituzioni, ma anche un’opportunità per accogliere i contributi di tutti gli attori coinvolti, a partire dalle associazioni di pazienti, le cui concrete azioni sono fondamentali per le comunità di persone con malattia rara».
Qual è il significato di una giornata, come quella dedicata ai Malati Rari?
«Lanciata da EURORDIS – Rare Diseases Europe (www.eurordis.org) nel 2008 nel giorno più “raro dell’anno” (29 febbraio), la Giornata delle Malattie Rare è l’occasione per sensibilizzare la popolazione sulle malattie rare. In particolare ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza sull’impatto che tali malattie hanno su circa 300 milioni di persone al mondo. L’edizione di quest’anno, a differenza delle precedenti che si focalizzavano su un unico argomento, intende affrontare una prospettiva più ampia. A partire dal 2020 e per i prossimi 10 anni la Giornata avrà come obiettivo l’equità, che si traduce nell’esigere un accesso equo alla diagnosi, al trattamento e alle cure, ma che intende dare alle persone con malattia rara l’opportunità di sviluppare al meglio il proprio potenziale, le proprie qualità e le proprie aspirazioni. Attorno a questo obiettivo saranno costruite nuove azioni e avviate iniziative in linea con il programma Rare 2030 (https://www.rare2030.eu/) per il miglioramento della qualità di vita dei malati rari. “Ridefiniamo la rarità” (Reframe Rare) è la call to action che EURORDIS e la comunità dei soggetti con malattie rare stanno promuovendo, per realizzare il cambiamento, iniziando dalle azioni quotidiane. Lo slogan è: “Rari vuol dire essere tanti. Rari vuol dire essere forti. Rari vuol dire essere orgogliosi”. L’invito a dimostrare il proprio sostegno alla comunità delle malattie rare si rivolge a tutti i pazienti e le famiglie colpiti da una malattia rara, caregiver, medici, politici, aziende, ricercatori e popolazione generale».
di Paola Trombetta