«Sì in questi giorni la paura è tanta e l’angoscia ci opprime! Ci arrivano decine di pazienti che devono essere intubati per gravi difficoltà respiratorie e ti chiedono di aiutarli. Ogni giorno incontriamo sguardi che implorano il nostro aiuto e che non potremo mai dimenticare. E quella notte, ricordo, è stata tremenda: ricoveri in continuazione, corse e ansia per salvarli. Alle prime ore del giorno ero stremata e, disperata, ho reclinato la testa sulla tastiera del computer». A ricordare questo episodio, in occasione della trasmissione di Rai 1 “Pandemia”, condotta da Francesco Giorgino, è Elena Paglierini, l’infermiera della Terapia Intensiva dell’Ospedale di Cremona che è stata immortalata in una fotografia che in questi giorni è diventata virale. A scattarla, la dottoressa Francesca Mangiatordi, anestesista-rianimatore all’Ospedale di Cremona. «Non pensavo certo che questa foto diventasse virale. Sono appassionata di fotografia e quando ho visto Elena con la testa reclinata sul computer, stremata dalla fatica, mi è sembrato naturale scattare la foto. Sarei ben lieta se questa mia testimonianza potrà servire a far riflettere le persone che devono stare a casa e cercare di risollevare gli animi di chi invece deve lavorare per salvare i malati. Dal 22 febbraio lavoriamo a tempo pieno, anche 12 ore al giorno. Siamo allo stremo delle forze, sia fisiche che mentali! Ma resistiamo e chiediamo alle persone di “stare a casa” per evitare la diffusione dei contagi. Aiutateci: siamo in una situazione di maxiemergenza! E se arriveranno altri malati, non so come faremo a curarli. Oggi ho vissuto un’esperienza veramente angosciante: ho dovuto intubare un ragazzo di 23 anni, con una bruttissima polmonite! E questa sera un mio collega e amico è stato ricoverato in terapia intensiva con una polmonite da Coronavirus. Per lui e per tutte le persone che hanno bisogno delle nostre cure, noi siamo qui! Con mascherina, berretto, camicione e … si va avanti!».
#noirestiamoincorsia, #voirestateacasa: è la Campagna social che è partita in questi giorni, su iniziativa di un gruppo di operatrici sanitarie del Policlinico di Bari, nella speranza che tante persone condividano questo appello, rimanendo a casa. «Solo così è possibile limitare i contagi e frenare la diffusione di questo “nemico insidioso”», conferma la dottoressa Daniela Lomazzo, anestesista presso la Terapia Semintensiva del Policlinico di Bari. «Ci proponiamo di far capire che noi ci siamo, siamo sempre in corsia, ma abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti per evitare ulteriori contagi che potrebbero davvero creare un sovraccarico alle strutture sanitarie. Soprattutto in questi giorni di aumento esponenziale dei casi di contagio».
Non a caso è di ieri il riconoscimento ufficiale da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che conferma la “pandemia”. Come mai solo ora questa epidemia viene riconosciuta come tale?
«L’Oms ha dei parametri particolari per definire una pandemia», risponde la professoressa Ilaria Capua, virologa di fama mondiale, che nel 2006 decise di rendere di dominio pubblico la sequenza del virus dell’influenza aviaria, oggi direttrice dell’One Health Center of Excellence dell’Università della Florida. «Fino ad oggi, secondo i criteri dell’Oms, l’epidemia in corso non ricadeva in questi parametri. Oggi i contagi si sono molto diffusi e soprattutto interessano tutti i continenti. Si è verificato uno “sciame virale” che è entrato in Europa attraverso i viaggiatori provenienti dalla Cina e dall’Asia, tra metà dicembre e metà gennaio. La circolazione virale è oggi in tutt’ Europa, in America e in Australia: l’Italia è stato semplicemente il primo Paese ad essere colpito e si è mossa subito, con risorse e competenza, identificando velocemente i focolai, con una capillare e tempestiva diagnosi. L’Italia sta facendo scuola: non solo perché sta salvando la vita di tante persone italiane, ma anche di tutti quelli che nel mondo faranno tesoro dell’esperienza italiana. Con alcuni collaboratori italiani qui in Florida stiamo lavorando con banche dati per confrontare i virus provenienti dai diversi continenti. È fondamentale mettere in rete queste conoscenze per evitare di stigmatizzare i singoli Paesi. Se in Italia circola lo stesso tipo di virus che c’è in Europa, non c’è motivo di bloccare le nostre esportazioni. E soprattutto tutti i ricercatori europei dovrebbero collaborare e aiutare quelli italiani in questo momento di difficoltà!».
di Paola Trombetta