Malati reumatologici: più protetti dal Covid-19?

Molte malattie reumatologiche sono di origine autoimmune: scatenano una forte infiammazione e colpiscono soprattutto le donne (70%). Dei 5 milioni di italiani con malattie reumatologiche, solo 150 casi di infezione da Covid-19 sono stati segnalati all’Osservatorio della Società Italiana di Reumatologia (SIR). L’85% delle segnalazioni proviene dal Nord: sono i dati del Registro Nazionale istituito all’inizio di marzo dalla SIR, confermati anche dai numeri esigui (circa 650) a livello europeo. A proteggere questi malati dall’infezione sono forse i farmaci antinfiammatori, alcuni dei quali sono utilizzati come terapia efficace per queste malattie? «Non ci sono conferme scientifiche definitive di questa correlazione», puntualizza il professor Luigi Sinigaglia, Presidente Nazionale della Società Italiana di Reumatologia (SIR). «Abbiamo raccolto dati su oltre 150 pazienti, provenienti soprattutto dalle Regioni settentrionali, quelle più colpite dalla pandemia. Da una prima analisi sembra che non vi sia una particolare predisposizione, da parte dei malati reumatologici, al contagio da Covid-19. E soprattutto abbiamo avuto informazioni importanti circa il fatto che i farmaci somministrati per curare queste malattie non rappresentano un particolare fattore di rischio per l’infezione. Di fatto alcuni di questi farmaci vengono impiegati per combattere proprio il Coronavirus. Diverse malattie reumatologiche sono trattate con terapie che bloccano il processo infiammatorio: una scelta terapeutica che è stata riproposta anche per ridurre l’infiammazione scatenata dal nuovo virus. Farmaci come tocilizumab, sarilumab, canakinumab, anakinra, la stessa Colchicina e le piccole molecole hanno una potente azione antinfiammatoria e vengono impiegati in studi controllati per la terapia dell’infezione da Covid-19. Anche altri principi attivi come clorochina e idrossiclorochina, somministrati abitualmente per sindromi reumatologiche come il Lupus eritematoso o altre malattie autoimmuni, sembrano avere un effetto importante nel bloccare la replicazione del Coronavirus». Esistono quindi analogie tra alcune sindromi reumatologiche e l’infezione da Covid-19. «Va quindi sfatato il fatto che le terapie usate per curare le malattie reumatologiche, che in taluni casi provocano una riduzione delle difese immunitarie, possano favorire l’infezione da Covid-19. Una falsa credenza che ha indotto diversi pazienti a sospenderle arbitrariamente in questi mesi», fa notare il Presidente SIR. «Si tratta di soggetti che devono invece essere particolarmente seguiti nel percorso terapeutico per evitare il riacutizzarsi della malattia e devono essere maggiormente protetti, in quanto presentano delle fragilità rispetto al resto della popolazione. Per questo mascherine e guanti sono per loro indispensabili, così come il rispetto delle norme per il distanziamento sociale. Finito lo tsunami iniziale della pandemia da Coronavirus, bisogna ora ricominciare a gestire in modo adeguato la cronicità del paziente con malattia reumatologica».

Per questo è necessario riavviare e implementare il dialogo e l’interazione tra malati, reumatologi e medici di medicina generale. Per farlo si possono utilizzare anche gli strumenti e le nuove opportunità offerte dalla telemedicina, promuovendo percorsi istituzionalizzati, uguali per tutti, che dovranno poi essere applicati nei diversi contesti regionali. È questa una delle proposte avanzate da ANMAR Onlus (Associazione Nazionale Malati Reumatici). «L’emergenza non può essere eterna anche perché molto probabilmente, già a partire da settembre e ottobre, la curva dei contagi risalirà», sottolinea la dottoressa Silvia Tonolo, Presidente Nazionale ANMAR. «Ora è il momento più opportuno per pianificare interventi rivolti agli oltre 5 milioni d’italiani colpiti da malattie reumatologiche. Sono patologie caratterizzate da un decorso cronico, che richiedono un rapporto costante e diretto tra il paziente e il personale medico. Abbiamo bisogno di risposte certe e vogliamo sapere se (e come) possiamo recarci nelle strutture sanitarie per cure ed esami. Lo stesso vale per le attività lavorative per le quali servono Linee Guida a livello nazionale. Un numero sempre crescente di pazienti immunodepressi tornerà al lavoro, nei prossimi giorni, magari in esercizi pubblici come ristoranti e negozi. La Conferenza Stato-Regioni può avere un ruolo fondamentale e come Associazione siamo pronti a collaborare per avanzare proposte concrete che rispondano a queste nuove esigenze».

«Una delle priorità della cosiddetta “Fase Due” è rappresentata dai test sierologici che potrebbero tornare utili nella popolazione in generale e nei malati reumatologici in particolare», aggiunge il professor Mauro Galeazzi, Past President SIR. «Questi test potranno consentire di individuare i pazienti entrati in contatto con il Coronavirus, che presentano nel sangue anticorpi specifici. In questo modo potremmo dare risposte a diversi quesiti, come quello relativo al maggiore o minore rischio del malato reumatologico di contrarre l’infezione. Sarà anche interessante valutare il rapporto dell’infezione con le terapie che il paziente reumatologico sta assumendo. Si sta ipotizzando infatti che alcuni farmaci, già utilizzati per le malattie reumatologiche infiammatorie croniche, possano essere utili nella prevenzione o nella cura dell’infezione. Tra questi ci sono anche alcuni farmaci biotecnologici, inibitori della interleuchina 6, della interleuchina 1 e anti TNF alfa. In molte regioni, pur non diminuendo significativamente le infezioni, con questi farmaci stanno aumentano le guarigioni e si riducono i ricoveri, anche in terapia intensiva. Tuttavia è ancora da dimostrare se il virus, con queste terapie, sia diventato meno aggressivo. È certo che in poche settimane sono state meglio individuate alcune acquisizioni scientifiche circa la patogenesi dei danni che causa il virus. Di conseguenza la scelta e la somministrazione delle terapie sono state modificate e rese più efficaci».

di Paola Trombetta

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