Mamma e medico: contro il Coronavirus e la Fibrosi cistica

In questi due mesi Margherita Lambertini è riuscita a gestire una doppia emergenza: quella come medico al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Salvatore di Pesaro, una città tra le più colpite dall’infezione di Covid-19. E quella come mamma di Emma, una bambina di 11 anni affetta da fibrosi cistica. Il suo volto, ritratto con i segni profondi lasciati non solo dalla mascherina, ma anche da tanta stanchezza e sofferenza, ha fatto il giro del mondo, assieme ai volti dei colleghi dell’Ospedale San Salvatore di Pesaro, protagonisti del reportage fotografico di Alberto Giuliani, che ha ispirato la Campagna internazionale “Courage is beautiful”di un noto brand. Margherita inoltre è stata anche protagonista dell’iniziativa di raccolta fondi “Fibrosi cistica, urgenza nell’emergenza”, promossa dalla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica (www.fibrosicisticaricerca.it/donate-full-ffc-emergenza-2020).

La storia di Margherita è diversa dalle altre: come detto la sua battaglia non si ferma in corsia, ma prosegue tra le mura domestiche. Margherita è infatti anche mamma di Emma, una bambina di 11 anni affetta da fibrosi cistica, la malattia genetica grave più diffusa, che ogni settimana registra quattro nuovi malati. Una patologia multiorgano degenerativa, ancora orfana di una cura risolutiva e che ha molti punti in comune con il Covid-19. La fibrosi cistica, come il virus che da oltre cinquanta giorni ci costringe all’isolamento forzato, colpisce prevalentemente i bronchi e i polmoni, costringe chi ne soffre a indossare la mascherina nei luoghi pubblici e mantenere la distanza di sicurezza di un metro e mezzo, per non correre il rischio di contrarre infezioni polmonari, che nel tempo possono degenerare fino all’insufficienza respiratoria. Questi soggetti sono abituati al concetto di distanziamento sociale: non ci possono essere due malati nello stesso luogo di lavoro, nella stessa classe di scuola, nello stesso ambiente di gioco; quando emerge il bisogno di scambiare sentimenti e vissuti di malattia, i contatti avvengono via web o social.

Cosa si sente di dire a chi legge la sua storia di medico in prima linea contro il Covid-19 e mamma di una bambina con una malattia che con il Coronavirus ha molti punti in comune?
«Credo che questa emergenza rappresenti un’opportunità per tutti: perché ci fa sperimentare un modo di vivere che, fino ad oggi, ha rappresentato ai nostri occhi solo una curiosità, una realtà sommersa. Penso a chi indossava mascherine nei luoghi affollati o si lavava spesso le mani, come i malati di fibrosi cistica, oggetto degli sguardi stupiti di molti. Forse è un’occasione per comprendere che esistono altre realtà che non conosciamo e di cui a volte capita di sorridere, perché non riusciamo a comprenderle fino in fondo. Ora possiamo essere tutti più consapevoli, perché quella che rappresentava solo l’esperienza di pochi, è diventata un’esperienza comune a molti».

Da mamma, in che modo ha tutelato sua figlia in questo periodo? E lei come ha reagito?
«Non è stato semplice, è stata una decisione combattuta. All’inizio come madre non volevo andare al lavoro per timore di esporre mia figlia al rischio di contagio, ma era assolutamente impossibile non farlo, proprio per me stessa, perché questa è la professione che ho scelto ed è un mio dovere. Ho prima dovuto capire perché volessi farlo, se per me, se per gli altri, se era giusto che fosse così; e dall’altra parte ho dovuto fare i conti con il mio essere madre e con il desiderio di proteggere mia figlia da questo virus ad altissimo rischio. Ho scelto quindi l’auto-isolamento. Ho la fortuna di avere una casa grande, dove ho potuto ricavare uno spazio per me. Da circa un mese e mezzo non tolgo mai la mascherina, passo da quella ad alta protezione in ospedale a quella chirurgica in casa. E poi c’è l’iter della pulizia quotidiana: si comincia al mattino con la pulitura delle superfici, delle mani e degli oggetti che utilizziamo in comune. Devo dire che mia figlia ha subito compreso la situazione, non c’è stato nemmeno bisogno di spiegare. Ha dimostrato una grande maturità, sia per sé stessa che per me. Una sera in cui sono rientrata tardi dal lavoro, mi ha lasciato una lettera per dirmi che le ero mancata, ma che apprezzava il mio lavoro ed era orgogliosa di quello che stavo facendo. Era molto contenta che svolgessi questa professione per aiutare gli altri. In queste settimane ha anche imparato a fare gli origami e me ne ha regalato uno a forma di carpa, simbolo della perseveranza».

Come vede la vita oggi, rispetto a prima del Covid-19? Molti dicono che dopo questa pandemia saremo migliori…
«Penso che quella che stiamo vivendo sia un’esistenza “sospesa”, come se ci trovassimo tutti all’interno di una grande bolla. Non so come potrà essere la vita dopo tutto questo, non sono in grado di immaginarlo. Certo, sarà diverso, ma sono ancora tante le incertezze che riguardano il nostro modo di comportarci nella quotidianità. Per fare un esempio, in questi giorni si sta parlando della riapertura delle scuole e come madre confesso di avere molta paura e difficoltà nel pensare di dover mandare in aula mia figlia, che in questo momento è tra le persone più fragili, senza avere la certezza che si trovi in un ambiente sicuro e non possa essere in alcun modo colpita dal virus. Passate l’emozione e l’emotività legate al momento drammatico che abbiamo vissuto e che continueremo a vivere, non sono però sicura che ce ne ricorderemo. Si tende sempre a rimuovere e poi a ricadere negli stessi comportamenti. Può essere che alcuni colgano questa opportunità per affrontare la vita diversamente, ma per la gran parte temo non succederà».

Oltre al suo faticoso lavoro in Ospedale e ai suoi impegni come mamma, ha pure trovato il tempo di farsi portavoce di una Campagna a sostegno della Fondazione FFC che da oltre 20 anni promuove e finanzia progetti scientifici che hanno contribuito a migliorare la qualità e allungare la vita dei malati. Quanto è importante la ricerca per trovare nuove terapie e poter curare malattie, come la fibrosi cistica, ma anche il Coronavirus, che possano salvare la vita di molte persone?
«Mai come oggi appare evidente quanto la ricerca scientifica sia importante: pensiamo solo ai farmaci che si stanno utilizzando in sperimentazione per il Covid-19 e che derivano dalla cura di altre malattie. E noi dal Covid-19, che ha molti punti in comune con la fibrosi cistica sia come organo bersaglio (i polmoni e l’insufficienza respiratoria), sia come meccanismi patogenetici (la cascata infiammatoria), possiamo trarre spunti di ricerca che vanno sostenuti. Per questo non dobbiamo mollare! Avanti tutta ancora di più con la raccolta fondi, facendo tesoro di questa esperienza e della solidarietà che ne è derivata. In queste settimane ho vissuto tante esperienze di volontariato nelle corsie dell’ospedale, tra gli operatori, che si sono sottoposti a turni massacranti senza che ci fosse bisogno di chiederlo, perché chi era lì rimaneva perché rimanevano gli altri. Ci si guardava intorno e nessuno andava via: era una forza reciproca a sostenerci. Mi auguro che tutto questo ci dia tanta forza anche per il futuro».

di Paola Trombetta

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