Complice lo “stress da vacanza”, il cambio del ritmo sonno-veglia, degli orari dei pasti e delle normali abitudini quotidiane, al rientro dalla villeggiatura i piccoli potrebbero “reagire” con un classico sintomo: la febbre. Problematica da sempre, prima fonte di preoccupazione dei genitori e fra le principali cause di accesso al Pronto Soccorso o agli ambulatori pediatrici, oggi risente anch’essa le conseguenze della pandemia. I timori del contagio e del sovraffollamento sociale hanno “educato” mamme e papà a una diversa modalità di gestione della febbre, preferendo dapprima un triage telefonico con gli esperti per valutare la reale necessità di una presa in carico più incisiva del problema, recandosi nei luoghi di emergenza solo su consiglio medico. «Il triage telefonico, ovvero il teleconsulto – spiega Maria Antonietta Barbieri, responsabile del Pronto Soccorso Pediatrico Palidoro dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma – esiste da sempre ed è fondamentale per valutare la modalità di accoglienza migliore del bambino e del paziente attraverso una prima diagnosi, l’identificazione della priorità e della tipologia di intervento da attuare, a seconda dei sintomi e delle manifestazioni della febbre riferite. In tempi di Covid, il triage telefonico è stato determinante per evitare ingressi impropri presso le strutture deputate all’assistenza emergenziale, e dunque il sovraffollamento, così da fornire ai pazienti realmente bisognosi cure e prestazioni di maggiore qualità, indirizzando verso terapie domiciliari o invitando a recarsi al Pronto Soccorso». Anche nei momenti più caldi delle giornate, infatti, le chiamate o richieste di aiuto dei genitori ricorrono maggiormente durante il week-end (15%), in tarda sera, tra le 20:30 e le 22:00 (14%) o nelle ore notturne tra le 22:30 e le 7:30 del mattino (8%), per i motivi i più svariati. Primi fra tutti la febbre, soprattutto se elevata, che potrebbe essere motivata da cause diverse, da problemi gastrointestinali, a infezioni, a colpi di calore in estate, a traumi, fino a problematiche molto serie come i tumori. «In gran parte dei casi, il 44% dei genitori – aggiunge la dottoressa – ascolta i consigli del medico e riesce a gestire la febbre senza aggravamento dei sintomi e senza necessità di accedere al Pronto Soccorso. Nella nostra esperienza, dunque, il triage telefonico si è dimostrato in ogni occasione una pre-valutazione sicura, in funzione di una attenta anamnesi e delle informazioni avute dai genitori, tanto più efficace se il medico mostra empatia, comprendendo le preoccupazioni e lo stress psicologico di mamme e papà, comunicando con un linguaggio semplice, diretto e chiaro».
Occorre inoltre sensibilizzare i genitori, ricordano gli esperti, a non considerare la febbre una malattia, ma un sintomo che segnala una risposta dell’organiamo nel controllare e contrastare fenomeni anomali, nella maggior parte dei casi di natura infettiva. «Nei bambini molto piccoli – dichiara la pediatra Anna Maria Musolino – la febbre va misurata per via ascellare con un termometro digitale (da contatto) e anche quando supera i 37,5°C potrebbe non richiedere un trattamento specifico. Ad esempio se il piccolo ha la febbre alta, ma è tranquillo e gioca senza lamentarsi, non occorre nessuna terapia che si rende invece necessaria se il bambino diviene sofferente e irritabile, non dorme o non mangia normalmente. In questi casi è corretto l’uso dei due farmaci antipiretici autorizzati nei bambini sotto i sei anni, paracetamolo e ibuprofene, impiegati più per contrastare il malessere e limitatamente al periodo di durata del disconfort del bambino, piuttosto che per gestire la febbre in sé». Sono raccomandate con febbre molto alta anche le spugnature e i bagnetti che aiutano ad abbassare la temperatura corporea.
Ci sono casi in cui la febbre deve preoccupare? «Certamente sì – aggiunge Elena Boccuzzi, pediatra all’Ospedale Bambino Gesù di Roma – quando, indipendentemente dall’età dei bambini, perdura a livelli elevati oltre tre giorni, soprattutto se si manifesta in bambini molto piccoli o in neonati in cui le elevate temperature possono portare anche a gravi conseguenze. Occorre inoltre fare attenzione ad alcuni segnali, quali ad esempio il colorito, la respirazione, l’idratazione, i disturbi gastrointestinali, la reattività del bambino che possono essere indicatori della gravità più o meno importante del “sintomo” febbre e meritevoli di una valutazione da parte del pediatra di famiglia per una più attenta diagnosi». Le linee guida classificano questi indicatori in tre livelli di emergenza:
- Massima attenzione, livello rosso. Colorito pallido, a chiazze, livido o cianotico, assenza di reattività agli stimoli, stato di generale sofferenza, difficoltà respiratorie come rantoli o gemiti, ridotto turgore della cute, eritema che non scompare alla digitopressione, protrusione della fontanella, stato epilettico, pianto debole o acuto e continuato. Questi sintomi devono destare maggiore attenzione se si manifestano in bambini con meno di tre anni, con una temperatura uguale o superiore ai 38°C. In presenza di qualunque indicatore “rosso”, in piccoli non in pericolo di vita, la valutazione da parte dell’esperto o del pediatra è meritevole entro 2 ore, mentre bambini con uno o più indicatori esposti a un condizioni di altissimo rischio, richiedono un trasferimento tempestivo in ambito ospedaliero tramite il 112.
- Attenzione media, livello giallo. Pallore, assenza di risposta normale agli stimoli, ridotta attività, risveglio dopo una perdurata stimolazione, secchezza delle mucose, scarsa alimentazione nei più piccoli, temperatura superiore a 39°C in bambini dai 3 ai 6 mesi che persiste da almeno 5 giorni, brividi, gonfiore a un arto. Sono indicatori “gialli” per i quali il bambino va valutato dal medico nei tempi ritenuti a suo giudizio dopo il colloquio con il genitore e una prevalutazione telefonica.
- Attenzione controllata, livello verde. Colorito normale, attività e risposta ai sintomi come d’abitudine (ride e sorride, sveglio e attivo), pianto forte normale o assenza di pianto ingiustificato, mucose umide, nessun sintomo del livello rosso o giallo. Il bambino può essere curato a casa, secondo le indicazioni e le terapie ricevute dal pediatra, con un attento monitoraggio, nel caso in cui le condizioni dovessero cambiare, richiedendo il ricorso a servizi più specialistici.
di Francesca Morelli