“Conoscere e curare il cuore”: cardiologi italiani a confronto

Aumento di infarti “a domicilio” e riduzione dei ricoveri durante il lockdown; correlazione tra malattia cardiovascolare, demenza, BPCO, parodontopatie e persino insonnia. Sono alcuni spunti emersi al 37° Congresso nazionale “Conoscere e curare il cuore” (2-4 ottobre), da poco concluso a Firenze, organizzato dalla Fondazione Onlus “Centro per la Lotta contro l’Infarto”.
In apertura del Congresso non potevano mancare i dati relativi all’infezione da Covid, che ha aumentato la mortalità per infarto “a domicilio”, causata dal mancato accesso alle strutture ospedaliere in tempi rapidi, per timore di contrarre l’infezione. Nello stesso periodo si è rilevato un aumento dei casi di infarto a coronarie indenni nei soggetti Covid positivi, probabilmente causati dal rilascio di citochine infiammatorie in seguito all’infezione, che non colpisce solo i polmoni, ma anche altri distretti, come quello cardiaco. Diversi studi hanno infatti documentato, nei pazienti positivi al Covid, la presenza di trombosi nelle arterie polmonari e anche nelle carotidi. In particolare uno studio anatomo-patologico, condotto dal gruppo della professoressa Eloisa Arbustini del Policlinico San Matteo di Pavia, ha dimostrato la presenza di cellule virali di Covid-19 nel distretto cardiaco, analogamente ad altri organi come rene, fegato, apparato gastro-intestinale, strutture nervose. Sono stati documentati anche casi di ischemia cerebrale in giovani colpiti da Covid-19, senza pregressi fattori di rischio. Per questo tra i farmaci contro il Covid-19 è stata introdotta l’eparina, un potente antiaggregante. Dal Congresso è emersa, in ogni caso, l’importanza di personalizzare la terapia, non solo nei pazienti positivi al Covid, e di avere diagnosi appropriate in tutte le persone con problematiche cardiovascolari.

«Grazie alle innovative strategie di imaging intracoronarico ad alta risoluzione – commenta Francesco Prati, Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto e direttore del Dipartimento Cardiovascolare dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma – è possibile pianificare interventi terapeutici sempre più mirati e personalizzati per la cura delle patologie cardiovascolari. Numerosi studi hanno documentato che la maggioranza delle placche responsabili di eventi coronarici acuti sono di grado lieve alla valutazione angiografica basale. Pertanto, la sola coronarografia non è uno strumento affidabile per l’identificazione delle stenosi a rischio di instabilità. Studi recenti hanno dimostrato che l’occlusione trombotica, dopo la rottura di un coagulo ricco di lipidi, sia la più comune causa di infarto e morte per cause cardiache. Conseguentemente sono stati condotti numerosi studi con tecniche di imaging intravascolare, al fine di rilevare le caratteristiche delle placche coronariche ad alto rischio. Tra questi, lo studio CLIMA, condotto su un migliaio di pazienti, che ha evidenziato l’importanza clinica dell’infiammazione locale, valutata dalla presenza di macrofagi e dallo spessore fibroso dell’endotelio, come caratteristica aggiuntiva di alto rischio, oltre alla presenza e all’estensione dei componenti lipidici». Al Congresso si è parlato anche di fattori di rischio e connessioni tra malattie cardiovascolari e altre patologie. Tra queste, BPCO e demenza.
Il progressivo invecchiamento della popolazione ha determinato, nel corso degli ultimi decenni, un profondo cambiamento, caratterizzato dalla progressiva diffusione di alcune problematiche cliniche frequenti nell’età geriatrica, tra cui la demenza, una condizione la cui prevalenza è destinata a triplicare nel corso dei prossimi 30 anni.«Lo studio Coronary Artery Risk Development in Young Adults (CARDIA) ha dimostrato come l’esposizione ai diversi fattori di rischio cardiovascolare, a partire dall’età adolescenziale, si associ a peggiori performance cognitive, con una prevalente compromissione delle funzioni esecutive e della memoria verbale», puntualizza il professor Michele Senni, direttore della Cardiologia I all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «Più di recente, si è riscontrata una significativa associazione tra l’aumento dei valori pressori in età giovanile e un maggior danno a livello della sostanza bianca cerebrale nelle decadi successive. Il paziente iperteso, ad esempio, presenta performance cognitive inferiori rispetto al normoteso. Numerosi studi, condotti nel corso degli ultimi anni, hanno ipotizzato che il trattamento antipertensivo possa rappresentare un prezioso strumento per prevenire la comparsa del deterioramento cognitivo».

Anche il legame tra BPCO e malattia coronarica ha un riscontro concreto: la prevalenza di cardiopatia ischemica è più elevata, tra il 20% e il 60% dei pazienti con BPCO. Numerose evidenze scientifiche indicano che nella fase “stabile” di BPCO il rischio di infarto miocardico acuto è aumentato di circa 2-3 volte rispetto alla popolazione senza patologia polmonare, un dato tale da suggerire che la BPCO sia da considerare un fattore di rischio alla stessa stregua del diabete o della dislipidemia.

Rischio cardiovascolare, microbiota e abitudini alimentari

Dal Congresso è emersa anche una significativa correlazione tra microbiota intestinale e rischio cardiovascolare. «Alcuni tipi di microbiota influenzano il metabolismo di specifici componenti alimentari (come la carnitina e la colina), sintetizzando il precursore della TMAO, una molecola con documentata attività lesiva sulla parete vascolare», conferma il professor Prati. «Altri ceppi metabolizzano la fibra alimentare, sintetizzando acidi grassi a corta catena, dotati di una significativa attività antinfiammatoria, oppure producono metaboliti secondari originati da molecole presenti negli alimenti (come l’enterodiolo), caratterizzati da un’attività di protezione vascolare. Sono anche documentati effetti di natura prebiotica da parte di composti vegetali (come la berberina o il resveratrolo), che indurrebbero favorevoli modificazioni della composizione del microbiota. La possibilità di influenzare la composizione e l’attività del microbiota intestinale rappresenterà, in futuro, un componente importante delle strategie di prevenzione cardiovascolare».
Recenti studi scientifici hanno indagato altri “enigmi” della cardiopatia ischemica, rilevando come chi dorme poco, non si lava i denti e non fa colazione abbia un rischio aumentato di infarto. Studi epidemiologici e dati sperimentali indicano una forte associazione della deprivazione di sonno con lo sviluppo di fattori di rischio cardiometabolici, aterosclerosi e coronaropatia. «Nello specifico, la deprivazione di sonno è associata a disfunzione endoteliale, aumento della funzione coagulante, insulino-resistenza e stato infiammatorio», conferma il professor Prati. «L’iperattivazione adrenergica è la principale responsabile dello sviluppo di ipertensione arteriosa attraverso fenomeni di vasocostrizione, tachicardia e ritenzione di sale. La disregolazione del sistema nervoso autonomo inoltre è stata associata allo sviluppo di insulino-resistenza, iperglicemia e diabete. In aggiunta a ciò, la deprivazione di sonno facilita lo sviluppo di obesità attraverso un alterato rilascio di grelina e di leptina, principali responsabili dell’aumentato senso di fame».

Nelle ultime due decadi, un interesse crescente è stato rivolto al possibile legame tra parodontopatia e malattie cardiovascolari. I primi studi epidemiologici osservazionali che esaminavano l’associazione tra igiene orale e malattie cardiovascolari avevano dimostrato che la scarsa salute periodontale era associata ad un aumentato rischio di queste malattie. È stato esaminato un campione della Scottish Health Survey su più di 11.800 soggetti senza malattia cardiovascolare: in un sottogruppo di 4.830 pazienti, i ricercatori valutavano l’esistenza di un’associazione tra il lavare poche volte i denti e il riscontro di aumentati livelli ematici di Proteina C Reattiva (PCR) e fibrinogeno, marcatori di infiammazione e di aumentato rischio cardiovascolare. Il pattern dietetico è cambiato significativamente negli ultimi decenni, e si stima che dal 20 al 30% degli adulti oggi salti la colazione. Ad oggi ci sono evidenze sul fatto che saltare la colazione possa essere associato allo sviluppo di aterosclerosi, con conseguente aumento di morbilità e mortalità cardiovascolare. Più recentemente uno studio pubblicato da Uzhova ha evidenziato come il gruppo di soggetti che saltava la colazione rispetto a chi l’assumeva regolarmente, aveva un più alto carico aterosclerotico. Il messaggio importante dello studio resta che l’abitudine a saltare la colazione è un importante marcatore per individuare categorie ad aumentato profilo di rischio cardiovascolare su cui indirizzare misure preventive e terapeutiche più efficaci.

di Paola Trombetta

La Dissezione Coronarica Spontanea: una malattia che “veste rosa”

Colpisce nel 90% dei casi le donne. La Dissezione Coronarica Spontanea (SCAD) è la causa emergente di sindrome coronarica acuta, infarto miocardico e morte improvvisa nel sesso femminile. «Le persone maggiormente colpite hanno pochi fattori di rischio cardiovascolare, in particolar modo le giovani donne, cosa che suggerisce una fisiopatologia nettamente diversa rispetto alla più comune causa aterosclerotica», conferma Eloisa Arbustini, direttore del Dipartimento Cardiotoracovascolare del Policlinico San Matteo di Pavia. «Le attuali evidenze indicano che non solo la patologia è più diffusa di quanto si pensava, ma che la gestione clinica può essere nettamente differente rispetto alle sindromi coronariche acute di origine aterosclerotica. La patogenesi della SCAD è multifattoriale, legata a cause genetiche, squilibri ormonali, sottostanti arteriopatie o altri fattori precipitanti che possono fungere da trigger per l’insorgenza della dissezione (infiammazione sistemica, intenso esercizio fisico). Nello specifico, la SCAD si associa a due condizioni quali il peripartum e la displasia fibromuscolare. La dissezione coronarica è infatti la causa più comune di Infarto Miocardico Acuto (IMA) associato alla gravidanza (43%) e insorge più spesso nell’ultimo trimestre o nell’immediato peripartum. Gli squilibri ormonali legati alla gestazione sembrerebbero rappresentarne la causa principale, portando ad alterazioni del connettivo vascolare. Gli estrogeni potrebbero infatti favorire alterazioni strutturali all’interno della parete del vaso, causandone il progressivo indebolimento. La SCAD, che rappresenta tra l’1 e il 4% delle cause di Sindrome Coronarica Acuta, è più diffusa nelle donne con meno di 60 anni, che spesso non presentano fattori di rischio cardiovascolare. Nel corso dell’ultimo decennio, l’imaging intracoronarico ha rappresentato una svolta decisiva per diagnosi di SCAD, soprattutto nei casi dubbi. Sia l’ultrasonografia intravascolare (Intra-Vascular UltraSound, IVUS) che l’OCT (Tomografia a Coerenza Ottica) possono essere utilizzate per visualizzare la parete vasale, consentendo di identificare alterazioni del lume vasale».  P.T.

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