Disporre di una terapia efficace e allo stesso tempo maneggevole in termini di gestione e conservazione, di piccole dimensioni, adatta cioè a essere tenuta nella borsa o portata con sé agevolmente, idonea soprattutto a una profilassi “dinamica”, rimodulabile in funzione delle necessità della persona e della malattia. Sono queste le principali richieste dei pazienti affetti da Emofilia A: una malattia rara del sangue, di origine genetica, dovuta a un deficit del fattore VIII della coagulazione che si eredita attraverso il cromosoma X, ovvero trasmessa dalla donna di norma portatrice sana alla progenie. Evento biologico che spiega perché si tratti di una patologia a prevalenza maschile che in Italia interessa 5 mila persone, di cui 4 mila affette da forma grave.
«La gravità dell’emofilia A – spiega Renato Marino, Responsabile del Centro emofilia di Bari, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico – si associa all’entità del deficit del fattore VIII: se la sua attività biologica è inferiore all’1%, l’emofilia è grave, con emorragie spontanee frequenti e sanguinamenti anomali, anche causati da piccoli traumi, mentre se l’attività è compresa tra 1 e 5%, l’emofilia è moderata; se infine è compresa tra i 5 e 40% è lieve». Il carattere distintivo dell’emofilia A è rappresentato dalle emorragie, spontanee e frequenti, che si localizzano a livello dei muscoli, delle articolazioni o di altri tessuti che, se non adeguatamente trattate, impattano nel tempo sulla buona funzionalità delle articolazioni stesse, con danni importanti e permanenti. Fondamentale è dunque proteggerle con terapie adeguate, mirate a mantenere la circolazione nel sangue del fattore VIII. Obiettivo che due nuovissime terapie sembrano in grado di soddisfare, disponibili anche in Italia, che uniscono efficacia sul controllo della malattia e risposta alle esigenze, e qualità di vita dei pazienti.
La prima molecola si chiama Damoctocog alfa pegol e ha molteplici valori aggiunti: è a lunga emivita, ovvero la sua efficacia perdura nel tempo; può essere infusa a pazienti a partire dai 12 anni di età; consente – ed è questa la sua peculiarità – di personalizzare la terapia in maniera “dinamica” o in regime di profilassi, con infusioni somministrabili ogni 5 giorni, 2 volte alla settimana, oppure una volta a settimana, a seconda della frequenza e intensità delle emorragie, della risposta alla terapia e delle esigenze dei pazienti, a favore di una migliore aderenza terapeutica. O, in alternativa, “on demand”, da somministrarsi cioè al bisogno, in seguito all’evento emorragico. Sebbene i maggiori benefici di efficacia e protettivi siano osservabili in regime continuativo, di profilassi come attestano anche i risultati di alcuni studi scientifici.
«PROTECT VIII, uno studio durato 7 anni – dichiara Maria Elisa Mancuso, ematologa presso il Centro Trombosi e Malattie Emorragiche dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano) – ha evidenziato che nel 90% dei pazienti in terapia con Damoctocog alfa pegol è possibile ridurre il numero, ovvero la frequenza di infusioni, senza perdere in sicurezza ed efficacia Inoltre, due studi di confronto, nei quali allo stesso paziente veniva somministrata sia la nuova molecola e sia due competitor (Rurioctocog alfa pegol e Efmoroctocog alfa), confermano la superiorità di Damoctocog alfa pegol in termini di protezione, ovvero con alti livelli di fattore VIII, mantenuti nel sangue molto più a lungo nel tempo rispetto alle altre due molecole». Vantaggio che si traduce per il paziente in una migliore qualità di vita: «Ottimizzando la frequenza delle infusioni, fino a poterle portare in alcuni casi anche a una sola a settimana, autosomministrabile – precisa Raimondo De Cristofaro, del Servizio Malattie Emorragiche e Trombotiche – Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli, Roma – con la sensibile riduzione del dolore articolare, i pazienti possono riprendere in mano la propria vita, ritornando a svolgere attività che prima pensavano impossibili. Compreso l’esercizio fisico, una passione sportiva a livello amatoriale, come il ciclismo o un hobby come la pesca. il trattamento “dinamico” permette dunque si seguire la vita in movimento del paziente». Il passaggio (switch) dalla vecchia terapia alla nuova molecola, dicono i clinici, è consigliabile in pazienti con scarsa aderenza terapeutica o in senior che devono essere assistiti nella somministrazione da un care-giver.
Attualmente la molecola è disponibile e in grado di soddisfare le richieste di gran parte delle Regioni: si stima una copertura su tutto il territorio nazionale entro la fine dell’anno. La seconda opzione di cura è rappresentata da Turoctocog alfa pegol (Esperoct): anch’essa attualmente in commercio, vanta sensibili vantaggi rispetto alle attuali terapie: «A lunga emivita – aggiunge Angiola Rocino, Responsabile del Centro emofilia dell’Ospedale del Mare di Napoli, Presidente Reggente dell’Associazione italiana centri emofilia (Aice) – questo fattore VIII ricombinante di nuova generazione si è dimostrato in grado di raggiungere livelli di attività del fattore VIII sino al 3-5% più elevati rispetto alle terapie disponibili, con una somministrazione di 50 UI/kg ogni 4 giorni, estendibile su valutazione del medico sino a 1 volta a settimana. I benefici più evidenti riguardano la prevenzione, almeno in un certo numero di pazienti, di episodi emorragici e dei versamenti all’interno delle articolazioni. Non ultimo, è agevole nella conservazione: il farmaco si preserva sino a 40 gradi, consentendo il facile trasporto, senza necessità di mantenerlo refrigerato».
I benefici evidenti sono soprattutto nel miglioramento del controllo della malattia e della qualità della vita in termini di stato di salute fisica, sfera emotiva, percezione di sé, attività professionale, confermati dai risultati del più ampio studio ad oggi condotto, interessando 270 pazienti (ricordiamo che si tratta di una malattia rara, con 750 mila casi nel mondo e questi numeri sono dunque importanti) con emofilia A grave, già in trattamento. Siamo a una prima rivoluzione terapeutica, ma molto ci si attende in un prossimo futuro da terapie geniche, in grado cioè di sostituire il gene difettoso con un gene sano e funzionale, ad oggi in sperimentazione in studi di fase 1 e 2, in pazienti con emofilia A dai 18 anni e oltre. Con un chiaro obiettivo: rispondere in maniera sempre più efficace e fattiva al bisogno di semplificare la vita dei pazienti affetti questa rara malattia. Rendendola sempre più curabile e vivibile.
di Francesca Morelli
Fondamentale per l’aderenza alla cura
L’approvvigionamento e la fornitura di farmaci ai pazienti emofiliaci non è mai mancata: lo conferma la dottoressa Chiara Biasioli, responsabile del Centro Emofilia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Cesena, neppure nel periodo più critico dell’epidemia Covid-19. Anzi la Regione si è attivata con le farmacie del territorio per consegnare a domicilio le terapie, laddove necessario. Obiettivo che sarà mantenuto anche nel corso della seconda ondata. Perché la guardia non va abbassata, non soltanto in merito alle misure di sicurezza, ma anche terapeutiche. Il trattamento salvavita, non va mai sospeso, eventualmente corretto. «Potrà essere ri-modulato su necessità– precisa l’esperta – e in funzione del cambiamento dello stile di vita, ad esempio alla maggiore sedentarietà. Ecco perché è importante prestare fede ai follow-up prescritti o restare in contatto, anche attraverso gli strumenti digitali, con il proprio ematologo o centro di riferimento. Tanto più che oggi, grazie all’introduzione di nuove terapie con emivita più lunga o meglio maneggiabili, sia in termine di facilità somministrazione che di numero di inoculazioni, è possibile “personalizzare” la cura sul fenotipo di malattia, sull’aspetto caratteriale del paziente, come anche sul dispendio energetico quotidiano, facilitando così l’aderenza al trattamento». Con altre ricadute positive, come poter condurre una normale vita lavorativa e anche sportiva: la corretta somministrazione del fattore VII, nell’emofilia A, permette infatti di “mantenere alte” le performance professionali, ma essere attivi, “a domicilio” seguendo dei tutorial di allenamento o facendo attività fisica all’aperto. Non ci sono rischi neppure per i bambini in profilassi, che possono dare sfogo a tutto il loro argento vivo, continuando a correre, giocare, divertirsi con i compagni in sicurezza. La corretta terapia è dunque in grado di sopperire anche a eventuali sanguinamenti che possono verificarsi in maniera sporadica o a seguito di traumi. «È giusto lasciare liberi i bambini di vivere la loro vita – aggiunge Biasioli – nei limiti del buon senso, senza imporre eccessive restrizioni». Quando fare la profilassi? Meglio al mattino, così da avere i valori di fattore VII più alti nel momento della giornata in cui si è maggiormente attivi. Qualche attenzione particolare? Sono da evitare eventuali farmaci che possono interferire con la terapia: tra questi l’aspirina (in caso di febbre o sintomatologia influenzale, ricorrere al paracetamolo) e i farmaci steroidei, i cosiddetti FANS. Nessuna controindicazione invece per la somministrazione di vaccini. F.M.