Anche lo stress, come una medaglia, ha una doppia faccia: a volte è “buono”, fisiologico e permette di compiere azioni utili a superare i problemi; altre volte è “cattivo” e attiva reazioni che ci sollecitano per un nonnulla, fino a rimanere in perenne stato di alert, e uno stress sempre acceso nel tempo produce danni di tipo ossidativo e infiammatorio sull’intero organismo. Qualunque sia il “fronte”, un italiano su 8 in tempi di Covid-19 ha conosciuto, patito e subito lo stress fisico, emotivo e psicologico, come attesta un’indagine campione condotta da Assosalute su 40 milioni di persone, dai 15 anni agli over 55, di cui il 48% sono donne, che accedono abitualmente alla rete. «Lo stress – spiega Piero Barbanti, Professore di Neurologia all’Università San Raffaele di Roma – è una reazione normale dell’organismo che si verifica quando le condizioni esterne a noi cambiano. Questa reazione parte dal cervello nel momento in cui si trova di fronte a un imprevisto: una situazione inattesa mette in atto un meccanismo a catena, nel quale le informazioni arrivano all’ipotalamo che attiva l’ipofisi; questa a sua volta attiva il surrene che libera cortisolo, ovvero l’iniezione di energia che ci consente di reagire con prontezza a un problema».
La pandemia è ed è stata, un terreno fertile in cui lo stress ha attecchito, manifestandosi con sintomi classici e persistenti: difficoltà di concentrazione, sensazione di tensione, sonno non riposante, mal di testa, tensione muscolare, respiro corto e affannato, variazioni del battito cardiaco e della salivazione, bruciore allo stomaco, disturbi legati alla sfera sessuale. Dipendenti, tutti, da fattori contingenti, come hanno dichiarato gli intervistati: preoccupazioni per la salute, personale o dei propri cari (32%), per il lavoro (25%), le limitazioni sociali (15%), la famiglia (8%), la vita di coppia (3,5%). E a farne maggiormente le spese sono state le donne: «La ragione – dichiara Barbanti – non è casuale: alla donna sono delegati sempre più compiti, lavoro, casa e figli che portano a maggiori situazioni di stress, a cui si somma un meccanismo neurofisiologico. Il cervello delle donne va più veloce e sfrutta maggiormente questa capacità in condizioni di necessità, “affaticandosi” di più perché l’emisfero destro e quello sinistro sono molto più interconnessi nelle donne rispetto agli uomini». Con l’esito che i disturbi da stress, in particolare nervosismo, irritabilità, disturbi del sonno (più diffusi tra i 25 e i 44 anni), tensioni e dolori muscolari (in particolare negli over 55) per tutti sono stati maggiori, non solo rispetto allo scorso anno, ma anche al periodo pre-Covid. E, anche in questo caso, una spiegazione c’è: «La pandemia – precisa il professore – ci ha fermato e ci ha messo di fronte a una condizione: la solitudine. Saperla affrontare nel modo giusto può rappresentare un enorme vantaggio, ma può anche costringere a problematiche che nel pre-lockdown venivano nascoste dalla frenesia quotidiana. Ecco che, allora, c’è stata una quota di “naturalmente” ansiosi, sempre pronti al pericolo e a organizzarsi al meglio quando si presenta, in cui Covid-19 non ha determinato un peggioramento dell’ansia. Dall’altro però sono nati i “nuovi ansiosi”, cioè chi si è trovato di fronte a un nuovo scenario che ha scatenato situazioni di stress. In buona sostanza, all’inizio della pandemia si è verificata la cosiddetta “sincronizzazione emotiva”, un pericolo comune che ha portato le persone a unirsi; poi è seguita una “infodemia” senza precedenti che ha generato pensieri intrusivi, bloccando la capacità del cervello di andare oltre il problema attuale».
Come scaricare la tensione da stress perché non diventi cronica? Ci sono soluzioni efficaci anche in tempo di restrizioni come l’attuale: secondo la ricerca, sonno (39%) e alimentazione corretta (34%) sono i rimedi più diffusi fra gli italiani per prendersi cura di sé, a cui seguono sport e attività fisica (23,8%), più tipico degli uomini che delle donne, e prendersi del tempo per dedicarsi alle attività preferite, stare da soli, con i propri affetti, o a contatto con la natura. «Praticare, dove e come possibile, un’attività motoria è sicuramente importante – commenta il professore – poiché l’attività cerebrale viene subordinata a quella fisica. Inoltre, di grande aiuto è la lettura di un buon libro, in particolare su carta stampata, che impone al cervello di sognare e rallentare, di produrre immagini diverse da quelle che vediamo sugli schermi tutto il giorno. Occorre poi fare attenzione anche ad alcuni genere di consumo: per prevenire situazioni di stress, alcol e caffè sono da limitare, essendo due fra i più potenti e antichi psicofarmaci della storia. Il primo “si insinua” nel cervello, mentre il secondo è un potente psicostimolante. Infine, a tavola meglio seguire una dieta anti-stress, limitando cibi contenenti grassi saturi che alzano i livelli di infiammazione, a favore di una dieta mediterranea che rappresenta il miglior antidoto».
Se questi accorgimenti pratici non bastano, gli italiani o chiedono consiglio al medico (43%) o ricorrono all’automedicazione (42%), maggiormente preferita dalle donne, a cui seguono la richiesta di consiglio al farmacista (21 %), ad amici e parenti (16 %) e il ricorso al web (12%) abitudini, queste ultime, a cui tendono soprattutto gli uomini. «L’automedicazione per la gestione dei sintomi da stress può avvalersi di farmaci che facilitano il sonno, stato in cui il cervello si autoricarica e si prepara ad affrontare possibili situazioni stressanti in maniera sistematica, ma anche di terapie per attenuarne i sintomi correlati. Ad esempio per trattare l’iperacidità gastrica si può fare uso di un gastroprotettore o di un anti-acido, mentre per ridurre la tensione nervosa sono indicati farmaci a base di acido valerianico, in caso di mal di testa farmaci ad azione antinfiammatoria e analgesica. L’automedicazione non è importante solo nel momento in cui si presentano i sintomi, ma serve anche a distogliere l’attenzione dalle problematiche derivanti dallo stress: soffrirne in modo ricorrente, infatti, può portare a quello che viene chiamato disturbo da sintomi somatici o disturbo da ansia di malattia, che una volta veniva definito ipocondria. Se i sintomi perdurano oltre 10-15 giorni consecutivi, la raccomandazione è di rivolgersi al proprio medico». Insomma è bene evitare di sentirsi a lungo come… se sentissi un peso costante sulla testa, come se sentissi i nervi tesi, chiari sintomi di chi si è sotto stress.
di Francesca Morelli
L’impatto del virus sul sonno
Neppure il sonno è rimasto indenne a Covid-19 e all’effetto lockdown, ed è peggiorato in qualità. Lo hanno dichiarato gli esperti durante l’evento “Sonno è Salute”, svoltosi in modalità virtuale, promosso da Fidia e realizzato nell’ambito del Global Health Festival. La pandemia e il cambiamento di abitudini e stili di vita hanno infatti prodotto un’alterazione della ritmicità quotidiana, con la compromissione del normale ritmo sonno-veglia (orario di addormentamento e risveglio ritardato rispetto al periodo pre-quarantena, aumento del tempo trascorso a letto e minore qualità del sonno percepita), su cui hanno pesato anche le reazioni ansiose e depressive, legate al distanziamento sociale, solitudine, paura del contagio, lutti e crisi economica. «La “sindrome delle 24 ore” ha portato a una dilatazione dell’orario in cui il cervello e il corpo risultano attivi e non a riposo, riducendo il tempo dedicato al sonno. La deprivazione di sonno – spiega Antonino Minervino, Presidente della Società Italiana di Medicina Psicosomatica (SIMP) – può rappresentare un fattore di rischio per disturbi psichiatrici e medici, con un peggioramento della qualità di vita e del benessere quotidiano, con sintomi quali sonnolenza, alterazioni dell’umore, diminuzione delle prestazioni motorie e cognitive, della memoria, concentrazione, capacità comunicative e decisionali, a fronte di un aumento di irritabilità e impulsività, ma anche di disturbi metabolici e della risposta immunitaria». I disagi sono evidenti anche sul sistema nervoso, endocrino, cardiocircolatorio: «Il ritmo sonno-veglia – dichiara Giovanni Biggio, Professore Emerito dell’Università degli Studi di Cagliari – è strettamente correlato alla melatonina, l’ormone prodotto dalla ghiandola pineale quando la luce si abbassa, che oltre a favorire il sonno, svolge un ruolo importante anche nello sviluppo del cervello e del sistema immunitario. Recenti studi che hanno valutato la relazione tra Covid-19, i disturbi del sonno e l’incremento delle sindromi depressive, hanno evidenziato un tasso di depressione (49%), ansia (56%) e disturbi del sonno (68%) in pazienti colpiti da coronavirus, ma anche come la melatonina può ridurne lo stato infiammatorio, migliorando la qualità del sonno. Non è escluso che la deprivazione di sonno possa rappresentare un fattore di rischio o di peggioramento per Covid-19». Possibili anche le ripercussioni, nei più giovani, sul neurosviluppo: «Il sonno –conclude Oliviero Bruni, Professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile, Università Sapienza di Roma – ha un ruolo significativo nell’età evolutiva, influenzando la struttura e le funzioni cerebrali, in particolare: memoria, attenzione, emotività, impulsività, apprendimento. Covid-19, soprattutto con il lockdown, ha peggiorato la qualità del sonno di bambini e adolescenti, legato all’alterazione dell’orario di addormentamento e risveglio e alla maggiore esposizione agli schermi, soprattutto in bambini con disturbi del neuro-sviluppo (DNS), già esistenti, su cui è importante intervenire con terapie comportamentali e laddove necessario con l’aggiunta di melatonina». F. M.