Respirare. Un atto facile, automatico, involontario. Scontato. Fino a quando, inaspettatamente, non lo è più, perde naturalezza, anzi diventa “faticoso”. Si dà la colpa allo stress che toglie il respiro, a quel senso di affanno, alla spossatezza e a quei precedenti svenimenti. Sintomi che invece potrebbero nascondere qualcosa di più profondo: l’ipertensione arteriosa polmonare (PAH). Una malattia rara, cardio-polmonare, più specificatamente dei vasi sanguigni dei polmoni, poco conosciuta anche fra la popolazione medica, che colpisce in età adulta circa 60 persone su un milione, pari a 3.000 italiani, in prevalenza donne, con un rapporto di quasi 2 a 1 rispetto all’uomo. Dai sintomi iniziali aspecifici, se sottovalutata, non riconosciuta o trattata in ritardo, la PAH può avere conseguenze significative sulla qualità della vita e della famiglia di chi ne è portatore. «L’ipertensione arteriosa polmonare – spiega Nazzareno Galiè, Direttore della Cardiologia al Policlinico S. Orsola di Bologna, Coordinatore delle Linee Guida Internazionali sulla Ipertensione Polmonare e responsabile Comitato Scientifico dell’Associazione Ipertensione Polmonare Italiana (AIPI) – aumenta la pressione sanguigna nel circolo polmonare, con un progressivo sovraccarico di lavoro per il ventricolo destro del cuore e può culminare nello scompenso cardiaco e/o nella morte prematura in assenza di terapie adeguate. Fondamentale dunque, per una corretta gestione e per migliorare la prognosi è la diagnosi precoce: invece i sintomi subdoli che conducono, anche in considerazione dell’età in cui la malattia si manifesta, a pensare prima ad altre problematiche, sono causa di un ritardo diagnostico di circa un anno che impatta sulla salute, la progressione della malattia e l’efficacia delle terapie».
Le terapie eesistono, sono innovative e funzionano, ma occorre fare informazione e sensibilizzazione sulla PAH. Come si propone la campagna “La vita in un respiro”, promossa da Janssen Italia, che parte in queste prime settimane dell’anno e proseguirà nel 2021, per far conoscere il valore del respiro, per non trascurare potenziali campanelli di allarme della malattia, come tosse secca e disfonia, dolori toracici da sforzo (angina), sangue nell’espettorato, ma soprattutto estremità fredde e cianotiche, gonfiore alle gambe o la presenza di alcune altre problematiche che possono stimolare l’insorgenza della PAH, tra cui l’HIV, la cirrosi epatica e l’ipertensione, alcune malattie sistemiche (lupus eritematoso, sclerodermia-sclerosi sistemica, connettivite mista e polimiosite-dermatiomiosite), l’artrite reumatoide, fino a una possibile familiarità con la malattia, nella forma idiopatica (11% dei casi), che compare cioè isolatamente, in modo prevalente nei giovani, associata in particolare al gene BMPR2. Solo il 10-20% di chi ha questa anomalia genetica sviluppa la malattia: si può dunque essere portatori sani con probabilità che la PHA si manifesti con salti generazionali.
«Non conoscere la PHA – afferma Leonardo Radicchi, Presidente AIPI – porta a rivolgersi al medico quando la malattia è in fase avanzata, spesso con complicanze già in atto e un sensibile impatto sulla malattia che comunque richiede controlli periodici, l’assistenza di medici specialisti e terapie farmacologiche mirate. L’obiettivo di AIPI non è solo quello di promuovere la diffusione di informazioni scientifiche sulla malattia, ma anche di favorire la diagnosi precoce e un intervento tempestivo. È importante “fare rete”, creare collaborazioni e campagne come questa per promuovere la ricerca e l’informazione». Perché una volta individuata la diagnosi, attraverso un semplice ecocardiogramma, supportato da eventuale elettrocardiogramma e radiografia del torace, le terapie oggi consentono talvolta di “sostituirsi” al trapianto dei polmoni o cuore-polmoni. Unica opzione terapeutica, fino a pochi anni fa, nelle forme di malattia più avanzate. «Negli ultimi anni – continua Galiè – sono stati fatti grandissimi progressi: le nuove modalità di trattamento consentono di migliorare notevolmente la qualità di vita dei pazienti e di ridurre il ricorso alla chirurgia. Sono inoltre in corso ricerche per trovare strategie terapeutiche innovative che potranno ulteriormente migliorare le prospettive dei pazienti».
Intanto già alcune prime conferme di efficacia da nuove cure ci sono e arrivano da uno studio (REPLACE, Riociguat rEplacing PDE-5i Therapy evaLuated Against Continued PDE-5i thErapy), che ha dimostrato l’importanza e la possibilità di ridurre in pazienti a rischio, il livello da intermedio a basso, possibili con uno switch terapeutico, passando cioè una terapia più tradizionale (inibitore della fosfodiesterasi5, PDE5i) a una più innovativa (Riociguat). «I risultati dello studio – precisa Carmine Dario Vizza, Responsabile del Centro di Ipertensione Polmonare Primitiva del Policlinico Umberto I di Roma – sono molto confortanti e mostrano un miglioramento di importanti parametri clinici in circa 40% di pazienti trattati con Riociguat e la riduzione di eventi avversi o di peggioramento clinico. È dunque possibile stimare che 35-40% dei pazienti possa essere scendere a una classe di rischio più bassa, come è nei nostri obiettivi».
Nel caso di PAH non è possibile parlare di vera e propria prevenzione, ma è possibile sottoporre persone potenzialmente a rischio per precedenti familiari (predisposizione genetica), o perché affette da condizioni associate alla malattia, a controlli diagnostici mirati. Accertata la PHA sono da evitare situazioni che potrebbero ulteriormente aggravare la malattia, come la gravidanza assolutamente sconsigliata per il sovraccarico aggiuntivo per il cuore e rischi altissimi per mamma e nascituro. Da cui anche l’importanza di organizzare iniziative dedicate al coinvolgimento diretto dei pazienti e delle loro famiglie e a dare anche supporto psicologico e sociale. Come negli intenti della Campagna “La vita in un respiro” che, non a caso, prevede una sensibilizzazione e informazione capillare con contenuti digitali su diversi canali e uno spot video con un testimonial di eccezione, Carolina Kostner, campionessa olimpica di pattinaggio artistico su ghiaccio, protagonista di un racconto intimo ed emozionale sulla malattia. «Sono entusiasta e onorata di partecipare a questa iniziativa – dichiara la pattinatrice – che intende portare l’attenzione di tutti su malattie poco conosciute, di cui io stessa ignoravo l’esistenza, come la PHA. Prendersi cura di noi stessi significa anche informarsi e prevenire che può fare la differenza nel bloccare in tempo l’avanzare della malattia». Specie nel caso di patologie rare che riguardano “poche” persone. «Non dobbiamo dimenticare che dietro queste persone, in particolare le 3 mila che convivono con la PHA – conclude l’On. Fabiola Bologna, Segretario della XII Commissione e relatrice del Testo unico farmaci orfani e malattie rare alla Camera dei deputati – ci siano storie di vita che meritano di essere riconosciute e seguite. Per loro, e per tutti i malati rari, siamo in attesa di poter portare in Aula e approvare la proposta di legge del Testo unico nella XII Commissione della Camera dei deputati, ovvero una normativa che garantisca l’uniformità delle prestazioni e dei medicinali su tutto il territorio nazionale e faccia avanzare la ricerca nel campo delle malattie rare, preservando le buone pratiche e tutti i percorsi sviluppati negli ultimi anni».
II video, i materiali e le illustrazioni realizzate per la campagna “La vita in un respiro” saranno disponibili sulle pagine social Facebook Phocus360 e Instagram Phocus360 e sul sito internet Phocus360.it.
di Francesca Morelli