Elena Adinolfi: una vita per la ricerca sul tumore al colon

«Le mie due nonne, a cui ero molto legata da bambina, sono morte per tumore a soli 60 anni, una al colon e l’altra per un linfoma. A quei tempi era nato il mio interesse di dedicarmi, da grande, alla ricerca in ambito oncologico, per scoprire farmaci in grado di guarire queste malattie. Un obiettivo che ho perseguito appena sono diventata adulta, studiando prima Biologia all’Università di Napoli e conseguendo poi un dottorato di ricerca in Biotecnologie e una specializzazione in Patologia clinica all’Università di Ferrara, dove tuttora lavoro. Alla fine del mio dottorato avevo lavorato come ricercatrice all’Università di Sheffield in Inghilterra, dove mi avevano proposto di rimanere. Ma l’amore per l’uomo che sarebbe poi diventato mio marito e il legame con l’Italia mi hanno fatto propendere per il rientro in patria, all’Università di Ferrara, dove attualmente dirigo un gruppo di ricercatrici donne».

Elena Adinolfi, 46 anni, sposata con una figlia di 10 anni, ha preferito dunque ritornare in Italia e da più di 20 anni continua la sua ricerca in ambito oncologico, in particolare nelle malattie intestinali e tumori al colon, grazie ai finanziamenti AIRC, di cui quest’anno è testimonial della Campagna di raccolta fondi (vedi news “Le arance della Salute”), avviata in occasione della Giornata mondiale contro il cancro (4 febbraio).

Il suo campo di ricerca è molto specifico: dal 1999 sta studiando un particolare “recettore” (P2X7) che si trova nelle cellule del sistema immunitario e in alcune cellule tumorali, soprattutto quelle del colon. «Questo recettore è un importante attivatore dell’infiammazione e la sua espressione aumenta anche in alcune malattie croniche intestinali, come morbo di Crohn e colite ulcerosa, che possono predisporre all’insorgere di tumore al colon», spiega Elena. «È molto importante studiare questo recettore per capire la genesi dei processi infiammatori che possono portare allo sviluppo del tumore: bloccando questi recettori infatti si potrebbe anche arrivare a prevenire la formazione del tumore al colon. Ma non solo: questi recettori possono diventare veri e propri “biomarcatori diagnostici” per segnalare la presenza di uno stato infiammatorio, che potrebbe degenerare in formazioni tumorali, come già avviene nel caso del PSA per identificare precocemente il tumore alla prostata. Il passo successivo dello studio di questo recettore è la messa a punto di una terapia che potrebbe inibirne il funzionamento e di conseguenza prevenire o bloccare la crescita tumorale. Stiamo infatti sperimentando alcune molecole che hanno già dato buoni risultati nel trattamento clinico del morbo di Crohn. E non si esclude che in futuro possano essere utilizzate anche per la cura di un tumore come quello del colon».

Oggi il tumore del colon colpisce più di 40 mila persone all’anno ed è al secondo posto, come incidenza, tra quelli femminili (dopo la mammella) e al terzo negli uomini (dopo prostata e polmone). Purtroppo per questo tumore c’è ancora poca prevenzione. Meno della metà (44%) della popolazione fa prevenzione, con il test di screening del sangue occulto nelle feci; le percentuali sono di 8 persone su 10 al Nord; 6 su 10 al Centro e 3 su 10 al Sud. Da una recente indagine epidemiologica condotta dall’Osservatorio nazionale per la prevenzione dei tumori femminili, solo il 36% delle donne intervistate ha eseguito negli ultimi tre anni questo esame per la prevenzione del tumore al colon-retto. Un dato veramente riduttivo se paragonato al 75% del pap-test e al 70% della mammografia. Eppure si tratta di un tumore che, se individuato precocemente, può guarire nel 95% dei casi. Viceversa, in presenza di metastasi, ha una mortalità elevatissima. Occorre però notare che, grazie all’integrazione della chemioterapia tradizionale con i nuovi farmaci biologici, la mortalità per questo tumore si è ridotta nelle donne del 20% e del 12% negli uomini.

Obiettivo della ricerca è dunque l’individuazione di molecole sempre più efficaci. E AIRC si sta muovendo in questa direzione. Per il 2021 Fondazione AIRC e FIRC hanno programmato di investire 125 milioni di euro per sostenere l’attività di 5.190 ricercatori che stanno lavorando a 622 progetti nel campo dell’oncologia molecolare. Grazie anche a questo impegno straordinario, l’Italia è tra i primi Paesi europei per numero di guarigioni: quasi 3,6 milioni di pazienti hanno superato la diagnosi di cancro, con un incremento del 37% rispetto a 10 anni fa e in molti casi hanno un’aspettativa di vita sovrapponibile a quella delle persone sane. «È auspicabile riuscire a mantenere questi risultati anche durante l’emergenza Covid che sta mettendo a dura prova la ricerca oncologica», puntualizza Federico Caligaris Cappio, Direttore Scientifico Fondazione AIRC. «La ricerca di base è stata fortemente rallentata, come pure l’attività degli studi condotti in laboratorio, indispensabili per capire i meccanismi che portano allo sviluppo del cancro e alla sua progressione. Si sono verificati ritardi anche nel trasferimento clinico dei dati e in particolare negli studi condotti per l’approvazione di nuovi farmaci o di nuove strategie terapeutiche per i pazienti. A ciò si aggiunge l’allarme lanciato dall’Osservatorio Nazionale Screening sul rinvio degli screening, con una ripercussione sulle nuove diagnosi e un conseguente ritardo nel curare la malattia. Tutte indicazioni che ci fanno ben comprendere la necessità di dare nuovo slancio al lavoro dei nostri scienziati per recuperare, nel più breve tempo possibile, il terreno perduto, perché il cancro non aspetta».

di Paola Trombetta

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