“La salute prima di tutto” è il nuovo libro (Baldini e Castoldi ) di Melania De Nichilo Rizzoli, medico chirurgo con la passione per la divulgazione: da anni scrive per il quotidiano Libero occupandosi di salute e ha pubblicato Perché proprio a me? Come ho vinto la mia battaglia per la vita (2008), Se lo riconosci lo eviti (2009) e Detenuti (2012). Ex parlamentare, dal 2018 è assessore all’Istruzione, alla formazione e al lavoro presso la Regione Lombardia. Vedova di Angelo Rizzoli e madre di due figli (Arrigo e Alberto). Anche in questo libro, in cui spiega i sintomi e il decorso di tante patologie, dalle malattie più serie ai malanni più frequenti, Melania Rizzoli è riuscita a tradurre il gergo scientifico in un linguaggio comprensibile (“Scrivo come parlerei con i pazienti, in maniera chiara, senza essere troppo sofisticata o troppo profonda”). Un manuale per non ammalarsi. Attraverso il corretto stile di vita e la prevenzione (senza che questo escluda, naturalmente, il consulto medico). Utilizzando anche le esperienze dei personaggi famosi come Angela Merkel, Nadia Toffa, Fabrizio Frizzi e tanti altri. Ma nel libro si trovano anche pagine dedicate all’amore e alla sessualità. Perché un buono stato di salute del corpo è strettamente correlato con la sfera emotiva e mentale della persona.
Dottoressa, come definirebbe la salute? Una condizione materiale che determina il nostro stato fisico o qualcosa di più?
«La salute include diverse sfere dell’individuo, non solo quella prettamente fisica, ma anche il suo stato psicologico. Corpo e mente non sono entità separate, si influenzano reciprocamente. Questo inscindibile legame spiega molte malattie “misteriose” ed altrettante guarigioni apparentemente “miracolose”. Sappiamo ormai con certezza che le nostre emozioni sono in grado di generare modificazioni neuro-endocrine, che agiscono sul sistema neuro-vegetativo e quindi sulla nostra salute, in senso sia positivo che negativo. Quando l’umore e il morale sono bassi, si è più predisposti ad ammalarsi perché si riducono anche le difese immunitarie del organismo. È sempre stata una mia teoria che gli anticorpi sono mossi soprattutto dallo stato d’animo; nei momenti di felicità gli anticorpi sono altissimi; quando invece litighi con il fidanzato, con il marito o la moglie, viene sempre un po’di mal di gola, o raffreddore perché gli anticorpi scendono. Quando la nostra anima viene ferita, è capace di risentirne a tal punto da tradurre il trauma subìto in un dolore somatico. La scienza fatica a classificare e curare il dolore interiore. Questo infligge, pulsa e non scompare finché non viene spazzata via e risolta la causa emotiva che lo ha generato».
Nel libro lei insiste molto: prestate attenzione ai segnali del corpo…
«È importante “ascoltare” la voce del nostro corpo. I sintomi sono i primi campanelli d’allarme che ci manda il nostro organismo, e annunciano l’insorgere delle più varie sindromi. Sintomi che troppo spesso vengono invece sottovalutati, ridimensionati, minimizzati, se non addirittura ignorati da gran parte dei pazienti, soprattutto dagli uomini per altro molto più restii delle donne a consultare i medici. Un sintomo che non passa va controllato; minimizzarlo, se evidente, è un errore».
Al “nemico numero uno”, il tumore, è dedicato il primo capitolo.
«Il cancro è ancora una malattia pericolosa, ma non è più un male incurabile. Grazie alle maggiori conoscenze delle sue caratteristiche e ai progressi nella diagnosi precoce e nel campo farmacologico, oggi il cancro si può curare e si guarisce. Negli anni si è passati da un approccio solamente curativo a uno preventivo. Sottoporsi periodicamente a visite di controllo ed esami diagnostici consente di individuare il tumore in uno stadio molto precoce e di conseguenza di trattarlo in maniera efficace, ottenendo un maggior numero di guarigioni e una riduzione del tasso di mortalità».
Nel suo precedente libro Perché proprio a me racconta la sua battaglia personale contro una gravissima forma di cancro del sangue.
«Quel libro l’ho scritto da paziente, ma l’ho commentato da medico che nutre una profonda fiducia nei progressi della ricerca. L’ho scritto per i pazienti che sarebbero venuti dopo di me. Per quelli che hanno paura, per quelli che pensano di non farcela, per dare speranza proprio perché è una storia a lieto fine. Avevo 43 anni allora ed ero nel pieno della mia vita, con due bambini piccoli. Ho scoperto di avere un Linfoma non-Hodgkin: è un tumore maligno che origina dai linfociti, cellule principali del sistema immunitario. Me ne sono accorta per caso, perché ho iniziato improvvisamente a russare la notte e mio marito Angelo non riusciva più a dormire. Da medico ho intuito subito in questo un possibile sintomo. Il linfoma mi aveva colpito nel rinofaringe, nel naso, nelle adenoidi. L’essere medico da un lato mi ha tormentato perché sapevo perfettamente quello a cui sarei andata incontro, dall’altro mi ha aiutato perché sapevo anche che sarei potuta guarire. E sono guarita grazie a un trapianto di cellule staminali che oggi dà risultati impensabili vent’anni fa. Questo non è un miracolo: è il progresso della scienza».
La prevenzione ha subìto un drammatico stop con gli ospedali sotto pressione per Covid. Cancellati anche interventi chirurgici “non urgenti”. Secondo il Centro di ricerca in economia e management in sanità dell’Università Carlo Cattaneo, da marzo a maggio 2020 sono saltati 12,5 milioni di esami, 20,4 milioni di analisi del sangue, 13,9 milioni di visite e un milione di ricoveri…
«Gli ospedali al collasso sono stati numerosi, a livello nazionale. Il contraccolpo sulle prestazioni sanitarie è stato immediato e duraturo, sia nella prima che nella seconda ondata. Prestazioni che sono state recuperate solo in minima parte e non dovunque alla stessa maniera, e le liste d’attesa sono infinite. Un ritardo diagnostico che si rischia di pagare più avanti. Interrompere gli screening vuol dire non fare le diagnosi precoci. E se un paziente aveva in programma un intervento chirurgico che in quel momento non era urgente, l’attesa di settimane o mesi può aver peggiorato le sue condizioni. Per paura di contrarre il Covid molti dei pazienti colpiti da patologie (cardiovascolari, ictus cerebrale) non si sono recati tempestivamente al pronto soccorso. Ancora oggi la paura del contagio spinge la gente a rimandare l’accesso all’ospedale. Per evitare che si ripetano queste criticità abbiamo una sola arma a disposizione: una rapida campagna di vaccinazione per tutti i sanitari».
Se il cancro è il “nemico numero uno”, il coronavirus è quello “sconosciuto” che ha spazzato via la vita di 90 mila persone. Perché alcuni si ammalano con sintomi severi mentre altri ne sviluppano di minima rilevanza?
«Varie ipotesi sono state poste a riguardo. È stato dimostrato che ad uccidere il paziente non è direttamente il Coronavirus, bensì la sproporzionata reazione messa in atto dal sistema difensivo per reagire contro l’estraneo, che incendia le cellule con una drammatica risposta infiammatoria, che alla fine sfugge al controllo, danneggiando irreparabilmente gli organi vitali fino a spegnerli. I soggetti più esposti a un eccesso di reazione infiammatoria sono notoriamente quelli tra i 70 e gli 80 anni. L’età avanzata è uno dei principali fattori di rischio, su questo non c’è dubbio: uomini e donne non sono uguali davanti a questo virus, che colpisce con una leggera prevalenza le donne e che si è rivelato però più letale per gli uomini, con un tasso di mortalità per Covid-19 quasi doppio rispetto alle donne».
Perché il Covid è più letale negli uomini?
«I motivi non sono ancora chiari e per ora si possono fare solo ipotesi. Lo stile di vita ha una certa importanza. Un’altra ipotesi è che le donne hanno per natura più difese immunitarie verso patogeni, compresi i virus. Inoltre, sembra che il sistema immunitario non invecchi alla stessa velocità negli uomini e nelle donne. Nei primi inizia a indebolirsi intorno ai 63 anni, mentre nelle donne circa 5 anni più tardi. Ci sono poi i fattori ormonali: gli estrogeni della donna, che regolano la funzione di molte cellule nel sistema immunitario, potrebbero avere un ruolo protettivo, mentre gli ormoni maschili faciliterebbero l’infezione. Gli uomini poi hanno meno linfociti T, che identificano le cellule infette».
È arrivato dunque il momento di archiviare la medicina “generica”?
«Ormai è chiaro, gran parte delle malattie si manifestano nei due sessi con sfumature diverse e diverso è anche il modo in cui evolvono e rispondono ai farmaci. E questo sembra emergere anche nel contesto della pandemia da Covid-19. La Sanità per secoli ha considerato neutrale la sperimentazione, la ricerca, le terapie: soltanto di recente questa differenza ha ricevuto l’attenzione che merita con la medicina di genere. Ancora oggi le prime fasi della ricerca (quelle in cui si valutano la sicurezza e i dosaggi dei farmaci) vengono spesso condotte sugli uomini. Le donne pesano di meno, ma hanno più massa grassa: anche per questo l’effetto dei medicinali è diverso. I due generi, maschile e femminile, proprio per le differenze anatomiche e fisiologiche, pur soffrendo delle stesse malattie, si ammalano in modo differente e rispondono in modo diverso ai farmaci. Riconoscere le differenze di genere nella ricerca, diagnosi, prevenzione e cura rappresenta per la medicina un’evoluzione ormai ineludibile. Nonostante l’entrata in vigore di una legge per la diffusione di una medicina che tenga conto delle differenze di genere, sul territorio nazionale gli interventi di sanità pubblica sono ancora scarsi e frammentati».
Donne e uomini si ammalano in modo diverso. Può fare qualche esempio?
«Uno degli ambiti in cui sono più evidenti le differenze è quello delle malattie cardiovascolari. Spesso la donna non ha il tipico dolore cardiaco che si estende oltre il petto verso la spalla, il braccio, la schiena. Possono invece evidenziarsi sintomi atipici come pallore, fiacchezza e astenia, motivo per il quale l’infarto viene riconosciuto e trattato tardivamente rispetto a quello maschile. Inoltre la patologia cardiovascolare si manifesta circa 10 anni più tardi quando, con la menopausa, il tasso estrogenico cala drasticamente. Esiste ancora una sottostima della conoscenza della patologia cardiovascolare. In una recente indagine si è evidenziato che oltre il 50% delle donne pensano che l’infarto non le riguardi».
“Riaprite le scuole!” è il grido di allarme degli psicologi preoccupati per la salute mentale dei ragazzi costretti alla didattica a distanza. E hanno registrato tassi di stress, nervosismo, irritabilità e depressione in aumento: quale bilancio traccia della didattica a distanza?
«A partire dal primo lockdown, il Covid-19 ha imposto sacrifici anche ai più giovani, privandoli di un’esperienza di socialità importantissima: la scuola. Un prezzo alto da pagare in nome della salute, un sacrificio per preservare il benessere di tutti, soprattutto dei più deboli e vulnerabili. La didattica a distanza nelle scuole superiori della Lombardia è una misura presa per decongestionare il traffico urbano e interrompere una parte della catena dei contagi. Ma è altresì vero che la didattica in presenza non è surrogabile interamente perché la scuola è anche socialità, spazio condiviso, scambio di esperienze. Il tema delle relazioni personali è fondamentale e tra le “privazioni” che i ragazzi hanno sofferto di più, c’è anche quella di non aver potuto vivere esperienze sentimentali importanti per la loro età. Mi auguro che il ritorno a scuola possa essere garantito a tutti gli studenti. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo andare avanti con le vaccinazioni. Vaccinare studenti sopra i 16 anni, docenti e personale scolastico al più presto, tenendo conto che il vaccino può essere inoculato dai 16 anni in su».
Molti sostengono che il vaccino contro il Covid-19 sia stato prodotto troppo velocemente e studiato poco…
«Le malattie virali sono in aumento e io sono una fan dei vaccini. In condizioni normali, lo sviluppo di un nuovo vaccino può richiedere tra i 5 e i 10 anni dall’inizio della ricerca al suo utilizzo. La situazione straordinaria ha permesso di velocizzare l’intero processo. I test clinici sono stati condotti con lo stesso rigore. Ma hanno fatto la differenza i poderosi sforzi economici messi in campo per arrivare presto al vaccino, il numero elevatissimo di persone partecipanti ai trials clinici e una maggiore velocità rispetto alla norma delle autorità regolatorie. Per quanto riguarda la tecnologia del vaccino anti-Covid proposto da Pfizer e da Moderna – il famoso mRNA – era già nota ai ricercatori grazie agli studi condotti in precedenza su Sars e Mers. Questo fattore ha contribuito considerevolmente ad abbreviare i tempi».
di Cristina Tirinzoni