Fattori ambientali e predisposizione genetica: è questo il binomio al centro dell’attenzione della ricerca e della medicina di precisione per contrastare in maniera efficace le allergie. Una problematica in crescita soprattutto nei piccoli, come emerge dal XXIII Congresso Nazionale (22-24 aprile) della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP) tanto da assumere quasi la forma di un’epidemia: 40% dei giovani e giovanissimi, uno su 10, sarebbe a rischio potenziale di sviluppare qualche sintomo allergico, con manifestazioni che possono colpire prima di tutto la pelle, riguardando poi anche all’apparato respiratorio.
«All’incirca il 30-40% dei bambini con meno di 14 anni è allergico», conferma Gianluigi Marseglia, Direttore della Clinica Pediatrica dell’Università di Pavia e Presidente SIAIP. «Ci troviamo dunque di fronte a un gran numero di malattie, poiché le forme allergiche hanno manifestazioni cliniche e sintomatologie molto variegate e differenti tra loro. Nei più piccoli il primo bersaglio è rappresentato principalmente dalla pelle che “reagisce” attivando un’aumentata risposta del sistema immunitario verso sostanze estranee. È il caso della dermatite atopica, malattia che colpisce soprattutto i piccoli nei primi anni di vita, e può scomparire o evolversi verso altre manifestazioni allergiche e apparati, soprattutto quello respiratorio, con rinite allergica e asma». Non è eccessivo definirle un’epidemia: le allergie infatti accompagnano per tutta la vita chi ne soffre, sebbene non sia possibile sempre prevederne l’evoluzione in gravità dei sintomi. Responsabili della cascata allergica sono due fattori: la predisposizione genetica e la componente ambientale, strettamente legate tra loro. Facciamo qualche esempio: «Se un bambino o una persona predisposta geneticamente alle allergie – spiega Marseglia – vive in un ambiente in cui il contatto con sostanze, potenzialmente in grado di indurre la sintomatologia, è scarso o assente, anche il rischio di impatto sulla componente genetica è molto basso, con probabilità che crescono quanto più la persona “convive” con agenti che possono stimolare l’insorgenza della problematica. Non dobbiamo pensare esclusivamente agli allergeni: nell’ambiente sono presenti altri componenti che, in modo indiretto, possono modulare la predisposizione genetica, ad esempio l’inquinamento».
La stretta relazione tra geni e ambiente non è solo un’ipotesi o una teoria, ma un dato “misurato” sulle reazioni biologiche dell’organismo che spiegano perché le malattie allergiche non hanno lo stesso impatto nelle varie parti del mondo: ad esempio sono più rappresentate nei Paesi occidentali, tendendo verso il 50% di allergici in età pediatrica, mentre in Africa le percentuali sono molto più basse. L’esempio più lampante è la caduta del muro di Berlino, in Germania: cosa c’entra questo evento con le allergie? Molto: si è trattato, forse involontariamente, di un vero e proprio esperimento scientifico su larga scala. «Il muro di Berlino – continua l’esperto – aveva separato in due una popolazione con la stessa genetica, esponendo coloro che vivevano nella parte occidentale alle modificazioni ambientali dei paesi sviluppati in termini di stile di vita, di modalità di riscaldamento e così via, facendo registrare in questa parte del territorio una percentuale altissima di allergici, rimasta invece molto bassa nella Germania dell’Est, dove erano presenti più casi di bronchite cronica associati al maggiore inquinamento da carbone usato per il riscaldamento. Con la caduta del muro i tedeschi dell’Est si sono occidentalizzati e in pochissimo tempo la percentuale di allergici si è equiparata a quelli dell’Ovest. Tutto questo insegna che nei Paesi occidentali ci troviamo a dover affrontare una situazione emergenziale, assimilabile alle grandi epidemie infettive e non infettive, come l’obesità e la sindrome metabolica».
Queste conoscenze stanno cambiando anche il modo di fare ricerca e l’approccio alla diagnosi e trattamento delle allergie. «Stiamo cercando di capire come l’ambiente riesca a modulare la genetica: comprendere i meccanismi molecolari alla base delle manifestazioni allergiche – precisa Marseglia – ci consentirà di sviluppare farmaci intelligenti in grado di centrare con precisione il meccanismo che innesca la reazione allergica, secondo gli obiettivi della medicina di precisione. Oggi per esempio disponiamo di anticorpi monoclonali intelligenti con cui è possibili curare, anche nei bambini, malattie allergiche gravissime, come forme severe di asma o di dermatite atopica. Ma non solo: stiamo cercando anche di individuare fattori che possono permetterci di identificare precocemente persone a rischio potenziale di sviluppare allergie importanti e avviare una prevenzione ambientale, alimentare o farmacologica mirata per evitare che vadano incontro a forme allergiche persistenti più gravi».
Anche sul fronte diagnostico-terapeutico sono molte le innovazioni: fra queste la telemedicina. «Stiamo allestendo dei sistemi per la gestione telematica a distanza dei bambini allergici – continua il Presidente – con sensibili vantaggi, sia per i genitori che non dovendosi più spostare per le visite non sono costretti a perdere giorni di lavoro, sia per i piccoli pazienti, che con i controlli a distanza vengono meglio monitorati. Ad esempio nel caso di un piccolo con asma, possiamo chiedere a lui o ai suoi genitori di eseguire ripetute spirometrie e permetterci così la rimodulazione della terapia sulla base dell’evoluzione di sintomi e manifestazioni. Ancora, ma non ultimo, ci stiamo dedicando a un progetto di intelligenza artificiale con i big data, che ci consentirà di valutare e incrociare informazioni non limitatamente a poche decine o centinaia di pazienti, bensì a migliaia di pazienti affetti da una malattia allergica, allo scopo di migliorare la gestione diagnostica e terapeutica dei nostri pazienti».
di Francesca Morelli
Attenzione anche alle orecchie
Non è un rischio assoluto: essere allergici può tuttavia rappresentare un fattore predisponente allo sviluppo o alla manifestazione anche dell’otite media acuta, un’infezione dell’orecchio medio, su base virale o batterica, che può portare alla formazione di un versamento infiammatorio nell’orecchio, più frequente nei mesi invernali e nei bambini di età prescolare, con tassi anche del 90%, e del 50 % nel primo anno di vita. «L’otite media – spiega Piercarlo Salari, pediatra di Milano – spesso si sviluppa per contaminazione dell’orecchio medio da parte di secrezioni infette di provenienza nasale. Tale evento, nelle prime epoche di vita, è per lo più causato da due fattori: l’immaturità funzionale della tuba di Eustachio, un canalino che collega l’orecchio medio alla parte posteriore del naso, la cui funzione è di ventilare e ripulire l’orecchio da liquidi e impurità, e la complanarità anatomica dell’orecchio medio rispetto al naso. In altre parole soltanto dopo i due anni d’età, per ragioni legate allo sviluppo del cranio, il livello dell’orecchio medio “si alza” rispetto a quello delle fosse nasali, ostacolando in questo modo un possibile reflusso di muco che nei lattanti è enormemente facilitato dall’utilizzo del succhiotto». E se l’otite c’è, sono davvero dolori: pianto a dirotto per i piccoli, che comincia quando sono in posizione sdraiata e rischiano di farli svegliare dal sonno, con la conseguenza per i genitori di passare una notte in bianco. «La diagnosi – aggiunge Salari – anche in assenza di fuoriuscita di secrezioni biancastre/giallastre dall’orecchio, non presenta particolari criticità. La membrana del timpano arrossata ed estroflessa per l’accumulo di secrezioni è un chiaro indicatore per il pediatra che, con il semplice esame dell’orecchio mediante otoscopio, potrà confermare la diagnosi». Un problema che va adeguatamente trattato per evitare che evolva, causando la perforazione del timpano: una condizione che preoccupa molto mamma e papà, ma che di norma si rimargina spontaneamente nell’arco di poche settimane. «L’otite – tranquillizza il pediatra – si cura con antipiretici ed antidolorifici (ibuprofene o paracetamolo) che contrastano il dolore e abbassano la febbre causata dall’infezione acuta, con l’aggiunta, se occorre, di antibiotici. Se l’otite non è grave e il bambino ha più di 6 mesi, sono inizialmente sufficienti farmaci sintomatici (antipiretici e antidolorifici) per 24-48 ore; se la situazione lo richiede, il pediatra potrà prescrivere una terapia antibiotica per 5-7 giorni». Misure cautelative post-otite? Il bambino può tornare all’asilo o a scuola quando la febbre è completamente passata e in caso di perforazione del timpano, occorre fare attenzione che l’acqua non entri nell’orecchio durante bagni o docce. È possibile fare prevenzione? «È bene evitare il contatto con persone raffreddate, soprattutto per bambini con meno di un anno, in quanto il raffreddore, come pure uno stato allergico, è un fattore di rischio per lo sviluppo dell’otite – conclude Salari – ma anche l’esposizione al fumo, compreso quello passivo, che aumenta le probabilità di infezioni. Per i neonati l’allattamento al seno, almeno per i primi 6 mesi di vita, conferisce un’importante protezione, in quanto il latte materno apporta anticorpi che concorrono a prevenire tali infezioni». F.M.
Meno allergie in tempo di Covid
La prima notizia è positiva: quest’anno sono in calo le allergie outdoor, quelle respiratorie associate ai pollini, soprattutto le riniti allergiche. Ne soffre un italiano su 2 con sintomi tipici e irritanti quali starnuti (51%), fastidio agli occhi (46%), naso chiuso (36%), lacrimazione (35%), gocciolamento nasale (31%), tosse (23%) e spossatezza (14%), secondo un’indagine condotta da Assosalute, Associazione nazionale farmaci di automedicazione. La seconda notizia per questa fetta di popolazione è ancora migliore: vi sarebbe evidenza che gli allergici sono meno sensibili all’infezione da Coronavirus. «Il meccanismo immunologico che determina l’allergia – spiega Giorgio Walter Canonica, Direttore del Centro Medicina Personalizzata Asma e Allergologia dell’Istituto Clinico Humanitas Milano – riduce i recettori per il Coronavirus sulle cellule delle mucose respiratorie. Ciò non esenta però chi soffre di rinite allergica dalle altre pratiche protettive e dall’uso della mascherina che, anzi, si è dimostrata un’efficace “barriera” per una minore inalazione di pollini, e quindi un minore fastidio all’aperto». Dall’altro lato però sono in crescita le allergie indoor per la maggiore esposizione a polveri e umidità, a allergeni presenti in casa, come acari o certe muffe, animali domestici (prevalentemente gatti e anche cani) che possono favorire la rinite allergica in soggetti predisposti. «Inoltre, le restrizioni imposte dal lockdown – continua il Professore – hanno abbassato i livelli di inquinamento, con una conseguente diminuzione dell’insulto alle mucose delle vie respiratorie dovute alla cattiva alla qualità dell’aria, seppure possa trattarsi di un fattore favorevole soltanto temporaneo».
Contro le allergie fuori casa sono poche le contromisure da adottare, perché queste variano in funzione del clima. Tuttavia, oltre all’uso della mascherina, è bene evitare di uscire nelle prime ore del giorno, quando la pollinazione è più intensa e, se ci si sposta in auto, pulire i filtri per limitare il più possibile l’esposizione. In casa, areare spesso e nei giusti momenti della giornata i locali per bilanciare i livelli di umidità, pulire frequentemente per eliminare polvere, acari e pollini che si depositano soprattutto su moquette e tappeti: tutte azioni efficaci per migliorare la qualità di vita di un allergico. Se le misure pratiche e di attenzione non bastassero? «Per gli allergici è importante far ricorso a farmaci di automedicazione – precisa Canonica – come antistaminici di seconda generazione, che non danno sonnolenza e sono in grado di garantire una buona performance lavorativa e scolastica, e lo svolgimento delle normali attività quotidiane, da assumere per via orale o topica nasale, o anche spray antiallergici che possono essere utilizzati nel trattamento del raffreddore da fieno con azione decongestionante. Per chi è in terapia, è fondamentale continuare l’assunzione anche durante la pandemia, consultando il medico tramite la telemedicina in caso di bisogno e, qualora, oltre ai sintomi allergici tipici, compaiano anche febbre, tosse secca, difficoltà respiratorie, fatica, e perdita del gusto e dell’olfatto, per valutare una possibile infezione da SARS-CoV-2». F.M.