Cambio di abitudini, mancanza di movimento e sport, posture poco corrette sono il “doloroso prezzo” che sta pagando la schiena a causa dello smartworking. Colpi della strega, lombalgie, che si irradiano anche ad altre zone a rischio come collo, spalle e gambe sarebbero in aumento, raggiungendo punte del 44% fra i lavoratori “da remoto”, secondo una ricerca americana pubblicata sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health, contro il 38% di casi pre-pandemia. E chi già ne soffriva ha avuto, durante la quarantena, un incremento dei sintomi dell’11%. L’identikit del “protagonista” del mal di schiena e affini è ben delineato dalla ricerca: di età media, tra 35 e 49 anni, sovrappeso con un indice di massa corporea uguale o superiore a 30, stressato da sedentarietà prolungata e inattività fisica che nel periodo del lockdown ha subito un incremento del 174%. Leggermente più colpite le donne: 2,46 casi su un massimo di 5 contro 2,39 fra gli uomini. Ma la lombalgia spesso non si è presentata da sola, ma è stata accompagnata anche da dolori al collo (+17,44%), alle spalle (+25,41%), al torace (+74,44%) e alle gambe (+40,40%). In vista dell’emergenza ancora vigente e del perpetrarsi delle condizioni di smartworking, fare prevenzione si può resettando i propri comportamenti quotidiani e lo stile di vita, dicono gli esperti: a tavola è bene seguire un’alimentazione sana, ricca di fibra e verdure, così da non esporsi al rischio di sovrappeso che rappresenta la condizione principale di problemi alla colonna vertebrale, spesso dunque anche del mal di schiena, fare del movimento “domestico”, con esercizi di stretching e rafforzamento muscolare per migliorare la flessibilità della schiena, o approfittare delle ore d’aria per fare running o passeggiate.
E se il dolore venisse lo stesso? Prima di ricorrere ad antinfiammatori e analgesici, gli esperti consigliano qualche rimedio semplice ma efficace, come una borsa del ghiaccio sulla parte dolorosa quando il mal di schiena è associato a dolori muscolari, traumi, contrazioni, strappi e stiramenti, mentre se è dovuto al cosiddetto colpo della strega, il trattamento farmacologico può essere accompagnato dalla terapia del caldo, una borsa di acqua calda sulla zona dolente. Ma soprattutto è basilare preoccuparsi di correggere l’errata postura, che spesso si assume quando si rimane ore e ore davanti al computer, alla tv o sullo smartphone. «Quando la colonna vertebrale non è più in “asse” e le vertebre perdono il naturale allineamento – spiegano gli esperti – il midollo e i nervi spinali sono sottoposti a tensioni eccessive che, alla lunga, si traducono in fastidiosi mal di schiena, spalle, gambe. Per riprendere una postura corretta, il punto di partenza sta “alla base”: i piedi su cui poggia il corpo. Tra i primi ausili possibili c’è il ricorso a plantari che aiutano a correggere e mantenere una corretta postura, lavorando sull’assetto, sia quando si è in movimento sia seduti in casa, pur continuando a fare smartworking. I più innovativi sono dei plantari in polimero di resina elasticamente molto deformabile, calibrati sui chilogrammi di peso in modo che i piedi e la schiena possano ricevere un adeguato sostegno, traspiranti grazie alla superficie microforata e igienici in quanto lavabili, e anche confortevoli, sia che li si indossi con le scarpe o le pantofole perché seguono la linea del piede».
Attenzione però perché alcuni mal di schiena possono avere una causa più seria dello smartworking. Come il mal di schiena reumatico, dovuto ad esempio a forme quali la spondilite anchilosante o l’artrite psoriasica, che richiedono una diagnosi tempestiva e terapie mirate. «Il mal di schiena reumatico – chiarisce Francesco Ciccia, direttore del Dipartimento di Medicina di Precisione, Reumatologia, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli – non è di tipo meccanico, riferibile cioè a un dolore insorto a causa del sollevamento di oggetti pesanti e non ha una collocazione precisa nel tempo, un evento specifico, ma risale ad anni addietro. Generalmente si manifesta in pazienti giovani, intorno ai 40 anni, con intensità tale che fa svegliare di notte, che perdura al mattino, peggiora in tutte le condizioni di riposo, va meglio con il movimento e l’esercizio fisico, e non ha una buona risposta agli antinfiammatori non steroidei. È un mal di schiena, dunque, che impatta sulla vita lavorativa e sociale del paziente. Questa sintomatologia è in gran parte dei casi riferibile alla spondilite anchilosante, che può essere confermata da esami semplici come la radiografia del bacino e la tipizzazione, un esame genetico che ricerca un antigene specifico, HLA-B27». Spesso invalidante, la diagnosi di questo dolore anchilosante, a prevalenza maschile (nonostante le malattie reumatiche abbiano una predominante femminile), ha mediamente un ritardo diagnostico di 7 anni; fondamentale è invece la presa in carico tempestiva da parte di un reumatologo e del medico di medicina generale, che non solo può indirizzare inizialmente il paziente all’esperto, ma successivamente, previa formazione specialistica e in accordo con il reumatologo, può monitorare l’attività della malattia, evitando al paziente di andare al centro specialistico.
È più femminile invece il mal di schiena reumatico associato ad artrite psoriasica. «Nel 20% dei casi – precisa Alberto Cauli, direttore di reumatologia del Policlinico di Monserrato, Università di Cagliari – la malattia si associa anche a manifestazioni articolari periferiche, tra cui la lombalgia infiammatoria, in pazienti con età media più elevata rispetto ai 40 anni. La diagnosi precoce è fondamentale perché consente di approfittare della “finestra di opportunità”, cioè dell’arco di tempo in cui la malattia ha già dato un deficit funzionale e peggiorato la qualità di vita, senza tuttavia che il danno sia definitivo. In questa “finestra” si riesce dunque a prevenire la disabilità, consentendo alla persona che ne è affetta di continuare a lavorare e seguire la propria famiglia. Ovvero cambiando la storia di malattia, grazie anche all’avvento di nuovi farmaci».
Essendo le malattie reumatologiche prevalentemente femminili, una preoccupazione è lecita: sono ereditarie e trasmissibili da madre in figlio? «Sono problematiche – conclude Ciccia – in cui vi è una forte aggregazione familiare, manca tuttavia una classificazione ereditaria. Esistono comunque un background genetico e una forte componente ambientale, riferibili prevalentemente al microbioma, cioè alla totalità del patrimonio genetico del microbiota (la popolazione di batteri intestinali), i geni che quest’ultimo è in grado di esprimere e che possono passare di madre in figlio. Tuttavia avere suscettibilità o predisposizione alla malattia non necessariamente significa che si svilupperà nel tempo o che verrà trasmessa ai bimbi che, anzi, nel 90% dei casi sono sani. Il suggerimento, in caso si abbia una malattia reumatica, è di pianificare la gravidanza con il proprio reumatologo».
di Francesca Morelli
Se è la spalla a far male…
Quando ci accorgiamo delle nostre spalle? Solo in determinate occasioni: o di notte quando il dolore tiene svegli o dopo un trauma, una caduta che non consente di alzare le braccia per un danno alla cuffia dei rotatori, cioè a uno dei 4 tendini che la strutturano. «In presenza di un dolore o di un trauma – spiega Riccardo Minola, ortopedico, UO Ortopedia e Traumatologia, Istituto Auxologico Italiano di Milano – è bene fare una radiografia e una ecografia che già stimano il danno subito e, se necessario, anche una risonanza di alta qualità. Ma soprattutto è fondamentale esaminare la storia clinica del paziente, perché ci sono alcuni fattori che espongono maggiormente a questo tipo di problematica: il diabete, le malattie metaboliche, essere forti fumatori. Questo tendine qualche volta duole, segnalando che non ci stiamo preoccupando e non gestiamo il nostro corpo in maniera adeguata». Allora come fare buona prevenzione? È bene rivolgersi all’ortopedico quando si ha un dolore in acuto, sapendo che fra i 20 e i 50 anni la prima causa del dolore alle spalle è la tendinite calcifica e se si è donna e la rigidità che non permette di alzare agevolmente le braccia per una possibile capsulite adesiva, spalla congelata o frozen shoulder, tutte problematiche della stessa famiglia. O anche essere sportivi può esporre a rischi spalla e articolazioni. «Cosa tenere a mente? Se si è vissuto intensamente – aggiunge Minola – o si è trascurato un po’ la salute, spesso il tendine paga pegno. Evitiamo questo “dolore”: oggi le soluzioni ci sono, ma è importante rivolgersi presto all’ortopedico».
«La chirurgia – tranquillizza e conclude Andrea Burini, ortopedico presso la medesima struttura milanese – non è quasi mai la prima opzione di cura e, soprattutto nelle patologie della spalla, rappresenta solo il 10% delle terapie a fronte di altri trattamenti quali le onde d’urto, a cui spesso si ricorre in prima istanza in caso di tendinopatie calcifiche, alla fisiochinesiterapia, fino in ultimo alla chirurgia mininvasiva, a cielo aperto o protesica». F. M.