«Vedevo male, in modo offuscato, come se tutto fosse avvolto nella nebbia. E soprattutto di sera avevo difficoltà a guidare: le immagini per strada sembravano dissolversi in un alone evanescente. Per diverso tempo ho cercato di evitare la guida notturna. Finché mi sono decisa ad affrontare l’intervento di cataratta. E non solo sono ritornata a guidare l’auto di sera, ma ho persino eliminato gli occhiali per la presbiopia che mi creava grandi problemi quando leggevo».
Il caso di Giancarla è comune a molte persone che, dopo l’intervento di cataratta, riprendono a vedere in modo nitido, sia da vicino, per chi soffre di presbiopia, che da lontano, per chi è miope. Sì perché oggi, durante l’intervento per sostituire il cristallino “invecchiato” con uno artificiale, si può inserire una lente multifocale che risolve contemporaneamente i pregressi difetti visivi. Una procedura che, al momento, non è ancora rimborsata dal Sistema Sanitario e richiede un supplemento di pagamento. Sembra però che il 30% degli italiani sia disposto ad affrontare questa spesa, pur di eliminare gli occhiali. Lo conferma un’indagine, commissionata dal Centro Ambrosiano Oftalmico di Milano (CAMO), con il patrocinio dell’Università degli Studi dell’Insubria, e realizzata dalla società di ricerca GPF nel mese di aprile 2021, per la quale sono state intervistate 1200 persone, pazienti e non, di età compresa tra i 50 e i 75 anni. Il 60% degli intervistati è ben informato sull’intervento di cataratta, che in ambito oculistico è il più praticato in Italia. Il 40% conosce ancora poco su sintomi, terapie e aspettative nel post-operatorio. Solo il 6% sa che la cataratta è un intervento che necessita di chirurgia; il 55% pensa che si utilizzi il laser; il 39% pensa che l’intervento avvenga solamente in anestesia locale e tramite l’uso di collirio.
«In realtà quello di cataratta è un intervento chirurgico: ciò significa che si utilizzano strumenti chirurgici per intervenire sull’occhio, senza l’ausilio del laser», conferma il dottor Lucio Buratto, direttore scientifico di CAMO, che di cataratte ne ha operate oltre 30 mila. «Sebbene l’utilizzo del laser comporti diversi vantaggi, non è comunque strettamente necessario per la buona riuscita dell’operazione e, normalmente, non viene utilizzato se non nei centri privati che lo possiedono».
Per quali motivi si ricorre a questo intervento? «Il 70,5% degli intervistati ha evidenziato sintomi quali l’offuscamento della vista, la progressiva riduzione della stessa (53,6%) e la difficoltà a leggere (47,4%)», risponde il professor Claudio Azzolini, docente presso l’Università degli Studi dell’Insubria. «Abbiamo però notato differenze evidenti nelle risposte di chi ha sofferto di cataratta e chi no: i primi enfatizzano maggiormente sintomi quali la difficoltà a vedere di notte (34,6%), a guidare (31,4%), a utilizzare dispositivi digitali (15,5%). Chi al contrario non ha sofferto di questa patologia, ipotizza una maggiore incidenza di sintomi quali affaticamento della vista (35,5%) o visione sdoppiata (17,2%)».
Alla domanda su cosa ci si aspetta dall’intervento di cataratta in termini di qualità della visione, il 90% risponde la possibilità di vedere in maniera più nitida. Il 50% è convinto di non dover più usare gli occhiali. Il 24 % pensa di dover continuare a portarli, ma solo per vedere da vicino, il 16% per vedere da lontano e il 10% per la visione intermedia (computer, cellulare). «Aspettative legittime che in molti casi, però, si scontrano con la realtà», replica il dottor Buratto. «Il classico intervento di cataratta, infatti, sostituisce solo il cristallino naturale appannato, ma non corregge i difetti refrattivi, né la presbiopia. Il 62% vorrebbe vedere meglio da vicino e il 60% si aspetterebbe di vedere aumentata l’estensione del proprio campo visivo. Con evidenti miglioramenti nella qualità di vita: poter guidare senza ansie, leggere senza problemi e, in generale, essere più autonomi. Purtroppo però, ancora oggi, la maggior parte di chi affronta questo intervento lo ritiene una necessità legata all’invecchiamento e non considera le potenzialità offerte dai moderni cristallini artificiali (disponibili quasi esclusivamente nei centri privati) che permettono di risolvere anche difetti refrattivi quali miopia, presbiopia, astigmatismo, ipermetropia».
«Lo scopo principale dell’intervento di cataratta è la sostituzione del cristallino naturale opaco con uno artificiale», aggiunge il professor Azzolini. «Questo, però, da solo non elimina eventuali difetti visivi pregressi. Quindi l’impianto di un cristallino artificiale classico, monofocale, costringerà anche chi non ha mai portato occhiali ad utilizzarli, quantomeno da vicino. La nuova generazione di cristallini artificiali, invece, non cura solo la cataratta, ma va oltre, risolvendo anche i difetti visivi, combinati tra loro. Va sottolineato che ad oggi queste possibilità risultano costose per il Servizio Sanitario Nazionale che, infatti, non le rimborsa se non in rari casi».
Si allungano i tempi di attesa a causa del Covid
Anche per gli interventi di cataratta, la pandemia ha rallentato i tempi di attesa: il 56% degli intervistati preferirebbe rimandare l’intervento, mentre il 44% vorrebbe farlo comunque. «Sono dati che purtroppo contrastano con la reale situazione del Paese – conferma il professor Azzolini – considerando che in epoca pre-Covid 19 si andava dai tre ai nove mesi di attesa e ora, per la maggior parte degli ospedali italiani, dai dodici ai quindici mesi. È evidente che quello di cataratta non è un intervento d’urgenza o salvavita. Occorre però ricordare che questa patologia, se curata con troppo ritardo, può peggiorare fortemente la vita delle persone nelle azioni quotidiane. Una visione compromessa, ad esempio, può essere causa di cadute anche gravi per persone di una certa età, senza contare che un forte abbassamento delle capacità visive, unito a periodi di isolamento forzato, come quello che abbiamo vissuto nell’ultimo anno, possono essere fonte di un’accelerazione del decadimento cognitivo di soggetti fragili».
Il 77% degli intervistati che ne hanno sofferto sostiene, infatti, che la cataratta abbia avuto un impatto da mediamente a molto negativo: una sensazione che si è accentuata nel recente periodo di emergenza pandemica, nel quale gli interventi di cataratta hanno globalmente subito una battuta d’arresto. «La paura di contrarre il virus in strutture sanitarie con altre persone in attesa è stata la motivazione principale di chi preferirebbe rimandare l’intervento a causa del Covid-19», conclude il dottor Buratto. «Ma i pazienti devono sapere che tutte le strutture sanitarie hanno messo in campo protocolli e sistemi di sicurezza per contenere al massimo il rischio. CAMO, ad esempio, è stata la prima struttura sanitaria Covid-free in Italia, ma altre strutture sicure si trovano su tutto il territorio nazionale. Ciò che è importante è non smettere di prendersi cura di sé a causa della paura, perché i rischi derivanti della non-cura possono essere ancora più impattanti».
di Paola Trombetta