A volte, non è sufficiente neppure una giornata estenuante per cadere in un sonno ristoratore. A soffrire di insonnia, cronica o transitoria, è un italiano su 4, il 60% donne e il 20% bambini e adolescenti, secondo i dati diffusi di recente dall’Associazione Italiana per la Medicina del Sonno (AIMS). Sono 12 milioni di persone, con una stima al raddoppio in seguito all’avvento della pandemia, che ogni notte faticano ad addormentarsi, si risvegliano più volte, riaprono gli occhi molto presto al mattino. E gli effetti di una notte in bianco si scontano di giorno: senso di malessere psico-fisico già al risveglio, eccessiva sonnolenza diurna, scarso rendimento professionale o scolastico, poca concentrazione, disattenzione, aumento del rischio di incidenti stradali, domestici o sul lavoro. Sono solo alcuni sintomi conseguenti del cattivo riposo che, in alcuni casi, possono essere campanelli d’allarme di problematiche più serie, come le apnee ostruttive del sonno (OSA) o la narcolessia: entrambe misconosciute, spesso diagnosticate con anni di ritardo, fino a 15 dall’insorgenza del primo evento e dunque sottotrattate.
Gli strumenti diagnostici ci sono (ad esempio la polisonnografia) e le terapie efficaci sono spesso legate alla precocità del trattamento. «Oltre alle sequele di mal di testa, senso di spossatezza, occhi gonfi, e sul piano psichico ansia notturna, irritabilità e nervosismo diurni, stress e tensione – spiega Gioacchino Tedeschi, presidente della Società Italiana di Neurologia (SIN) – i disturbi del sonno impattano in maniera importante anche sulla sfera socio-relazionale, sull’attività lavorativa con calo delle performance, sulla vita familiare e affettiva, aumentando senso di insoddisfazione, frustrazione, insicurezza, isolamento e senso di colpa».
Spesso il problema è riconoscere i sintomi, come distinguere un russamento “sano”, quello cioè che avviene una volta ogni tanto, quando si è mangiato o bevuto in abbondanza la sera e il sonno risulta pesante, da un russamento problematico che si verifica, invece, tutte le notti, con andamento intermittente, in cui a respiri rumorosi seguono pause di silenzio durante le quali la respirazione va in arresto per innumerevoli volte, a causa dell’ostruzione parziale o totale delle prime vie aeree. È il sintomo delle OSA: le apnee ostruttive del sonno che interessano 7 milioni di italiani, soprattutto se in sovrappeso/obesi, con qualche problema anatomico (mandibola piccola, palati molto abbondanti, lingua grossa) o con tonsille e/o adenoidi come nel caso dei bambini. «La diagnosi di OSA – dichiara Giuseppe Insalaco, ricercatore presso il CNR/IRIB di Palermo – spesso arriva tardi, mentre la “presa in carico” del problema, con monitoraggio ottimale degli eventi respiratori notturni e un’efficace terapia, hanno un impatto sensibile sulla salute: migliorano le funzioni neurocognitive, consentono di far fronte alle attività quotidiane, lavorative e di coppia. Anche il corretto stile di vita e lo svolgimento di attività fisica aiutano a migliorare il problema e la qualità di vita». L’OSA è una “malattia sociale” per gli importanti costi assistenziali, dovuti anche alla carenza di strutture specialistiche sul territorio, e umani per il paziente e l’intero nucleo familiare.
«I pazienti ricevono una terapia spesso in tarda età – aggiunge Luca Roberti, presidente dell’Associazione Apnoici Italiani APS (AAI) – quando la patologia è cronicizzata e sono emerse numerose comorbilità, come l’ipertensione farmaco resistente, il diabete tipo 2 e problematiche cardiache. Opportunamente formati, i medici di medicina generale e i pediatri possono diventare importanti sentinelle per arginare il problema, individuando potenziali pazienti a rischio da indirizzare ai centri specialistici, a cui deve unirsi l’impegno delle istituzionali per aumentare la consapevolezza sulla malattia. Occorre, ad esempio, l’inserimento dell’OSA nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e nel Piano Nazionale delle Cronicità (PNC) e l’attivazione di percorsi diagnostici e terapeutici condivisi sul territorio nazionale per eliminare le diseguaglianze tra le regioni». Non meno complessa la narcolessia, malattia neurologica cronica rara, caratterizzata da eccessiva sonnolenza diurna, sonno notturno disturbato, allucinazioni all’addormentamento o al risveglio e paralisi del sonno che danno la sensazione di non riuscire a muoversi per alcuni secondi, a volte anche minuti.
Mediamente passano 5 anni per avere una corretta diagnosi e pochissimi sono i pazienti in terapia: 2.500 su una stima di 27 mila casi. «Quanto più è precoce la diagnosi – dichiara Giuseppe Plazzi, presidente dell’Associazione Italiana Medicina del Sonno (AIMS) – tanto più efficaci sono i trattamenti, al momento solo sintomatici. La narcolessia nel 50% dei casi è pediatrica: insorge di norma intorno ai 12 anni (ma non sono escluse altre face di età), spesso è scambiata per DHD-Attention/Deficit Hyperactivity/Disorder (difficoltà di attenzione o di apprendimento), con un impatto sulla compromissione delle performance scolastiche e le capacità relazionali. Fondamentale è saper riconoscere le red flags, i sintomi sentinella: non solo in relazione al sonno, ma anche nervosismo, cataplessia, problematiche metaboliche e nei bambini sonnolenza diurna, sonno disturbato, allucinazioni all’addormentamento o al risveglio».
Importanti i costi sociali diretti (diagnosi e terapie errate) e indiretti (perdita di giorni di lavoro e di scuola, difficoltà ad avere relazioni sociali, complessi di inferiorità, depressione, ansia, obesità), ma con la malattia è possibile imparare a convivere. «Occorre “programmare” la quotidianità – precisa Massimo Zenti, presidente dell’Associazione Italina Narcolettici e Ipersonni (AIN) – con riposini, assunzione regolare di farmaci, evitare abbuffate, uso di alcol. Queste attenzioni consentono di arrivare a condurre una vita molto vicina alla normalità: studiando, lavorando, guidando l’auto, e tenendo conto che tutto può essere fatto, ma con tempi diversi».
È infine al vaglio una legge, nell’ambito delle malattie rare (presentata nel 2018 e ri-calendarizzata a maggio) per fare il punto sulle necessità dei disturbi del sonno: identificare percorsi diagnostici condivisi a livello nazionale per la diagnosi precoce di pazienti a rischio o affetti da malattia, pianificare dei PDTA (Piano Diagnostico Terapeutico Assistenziale Personalizzato) che comprende trattamenti sanitari e dispositivi essenziali a carico del Servizio Sanitario Nazionale, percorsi strutturati per le fasi di passaggio dall’età pediatrica all’età adulta, implicazioni sul sistema cardiovascolare, capacità cognitive e produzione di ormoni sessuali, il rafforzamento della rete tra centri di eccellenza e gli specialisti sul territorio, la formazione dei medici di base, l’avanzamento della ricerca sulle malattie rare.
di Francesca Morelli