Quest’estate, soprattutto dopo tanti mesi di permanenza in casa, l’esposizione della pelle al sole richiede un’attenzione ancora maggiore rispetto agli altri anni, con l’utilizzo di creme abbronzanti ad alta protezione e la regola di evitare l’esposizione al sole nelle ore più calde della giornata, tra le 12 e le 16, proteggendosi sempre con un’appropriata protezione solare, cappello e occhiali da sole. È importante controllare con regolarità la propria pelle e, nel caso si noti la comparsa di una lesione sospetta, meglio consultare subito un dermatologo. «La regola dell’ABCDE è il primo passo verso la prevenzione, perché aiuta a distinguere un neo da un melanoma: Asimmetria, Bordi irregolari, Colore disomogeneo, Diametro superiore a 6 mm ed Evoluzione», conferma la dottoressa Ketty Peris, Presidente SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia Medica, Chirurgica, Estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse). «Nei casi sospetti, non devono trascorrere più di 30 giorni per prenotare una visita specialistica dermatologica. Per il controllo dei nei va esaminata ogni parte del corpo, utilizzando il dermatoscopio, strumento ottico che permette di individuare lesioni non visibili a occhio nudo. È importante che il tempo tra la prima visita dermatologica e l’intervento chirurgico per rimuovere la lesione sospetta non sia superiore a un mese. Dopo l’asportazione, la refertazione istologica deve avvenire entro 2 settimane dall’accettazione del campione. E’ necessario che il medico comunichi personalmente la diagnosi al paziente».
Sono alcune delle dieci raccomandazioni, accompagnate da dieci azioni concrete, per abbreviare i tempi della diagnosi di melanoma e salvare più vite. Il decalogo è stato messo a punto dalle associazioni di pazienti e dalle società scientifiche coinvolte nel progetto “Bersaglio Melanoma”, promosso da AIMAME (Associazione Italiana Malati di Melanoma e tumori della pelle), APaIM (Associazione Pazienti Italia Melanoma), Emme Rouge e Melanoma Italia Onlus (MIO), con il patrocinio di ADOI (Associazione Dermatologi-Venereologi Ospedalieri Italiani), AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), IMI (Intergruppo Melanoma Italiano) e SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia Medica, Chirurgica, Estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse), con il contributo di Pierre Fabre e Eau Thermale Avène.
«Nell’ultimo anno le nuove diagnosi di melanoma, in Italia, sono aumentate del 20%, da 12.300 nel 2019 a quasi 14.900 nel 2020: nessun’altra neoplasia ha fatto registrare un incremento così elevato», sottolinea il professor Giovanni Pellacani, Direttore Unità Operativa Complessa di Dermatologia Policlinico Umberto I, Università La Sapienza di Roma. «Prevenzione e diagnosi precoce sono le armi più importanti per sconfiggere questo tumore della pelle. Se scoperto in fase iniziale ed eliminato con una corretta asportazione chirurgica, il melanoma è del tutto guaribile. Con la realizzazione delle 10 raccomandazioni vogliamo aumentare questa percentuale: proponiamo azioni concrete per mettere in pratica queste raccomandazioni. Per rispettare il termine di 30 giorni fra il sospetto di melanoma e la prima visita specialistica dermatologica, serve un percorso di prenotazione istituzionale dedicato a lesioni tumorali sospette, con l’identificazione delle classi di priorità (U: urgente, prestazione da eseguire entro 72 ore; B: breve, da eseguire entro 10 giorni). Ai dermatologi coinvolti nel “percorso melanoma” vanno garantiti il dermatoscopio e la strumentazione per documentare la lesione. Devono essere identificati ed equipaggiati i centri di riferimento provinciali con dermatoscopia digitale e microscopia confocale. Inoltre, negli ambulatori dermato-oncologici il tempo della visita non deve essere inferiore a 20 minuti per paziente. Per rispettare le tempistiche raccomandate per l’asportazione del neo, cioè non più di un mese dalla prima visita dermatologica, chiediamo un’adeguata disponibilità di ambulatori chirurgici. E perché il referto istologico sia comunicato entro due settimane dall’accettazione del campione, i laboratori devono essere forniti di strumentazioni e risorse, favorendo anche il riconoscimento di centri di riferimento per eventuali consulenze di confronto».
«La chirurgia è il trattamento di elezione per il melanoma negli stadi iniziali», sottolinea la dottoressa Paola Queirolo, Direttore Divisione Melanoma, Sarcoma e Tumori rari all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. «Con l’arrivo dell’immuno-oncologia e delle terapie a bersaglio molecolare l’approccio alla malattia avanzata è cambiato radicalmente. Queste armi hanno aperto un “mondo”: il primo step nel trattamento del paziente con melanoma avanzato è la valutazione dello “status mutazionale”. Nel 40-50% dei casi è presente un’alterazione del gene BRAF, che identifica i pazienti che possono beneficiare della combinazione di terapie mirate, con un significativo miglioramento della sopravvivenza. Come indicato nel decalogo, il test molecolare per BRAF è raccomandato nel caso di melanoma avanzato o in stadio III radicalmente operato, viene eseguito sull’ultima lesione metastatica, se disponile, o anche sulla lesione primitiva. Nel referto mutazionale di BRAF deve essere indicata la metodica utilizzata: per questo è importante intensificare e rendere costanti i controlli di qualità dei laboratori che fanno i test molecolari e favorire l’aumento delle reti di laboratorio per la Next Generation Sequencing”, tecnica di sequenziamento genico di nuova generazione».
«In Italia, il melanoma è il secondo tumore più frequente negli uomini under 50 e il terzo nelle donne in questa fascia d’età», puntualizza il professor Ignazio Stanganelli, Presidente IMI, Professore Associato Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi Parma e Direttore del Centro di Dermatologia Oncologica, Skin Cancer Unit, dell’Istituto Tumori della Romagna. «Il rischio di insorgenza è legato a fattori genetici, fenotipici e ambientali: il più importante è identificato nell’esposizione ai raggi UV, in rapporto alle dosi assorbite, al tipo di esposizione (intermittente più che cronica) e all’età (a maggior rischio le ustioni solari in bambini e adolescenti). Il dermatologo si occupa di tutti gli aspetti del percorso diagnostico-terapeutico. Data la complessità delle scelte terapeutiche e la disponibilità di nuovi trattamenti, è raccomandato un approccio multidisciplinare: i casi devono essere discussi nell’ambito di gruppi dedicati alla patologia. La stretta collaborazione tra le figure professionali coinvolte (dermatologi, patologi, oncologi, chirurghi plastici, radioterapisti e genetisti, biologi molecolari) è fondamentale per garantire il miglior percorso di cura».
Al recente Congresso dell’Associazione Europea di Dermatologia Oncologica (EADO) sono stati presentati due sondaggi, parte del progetto “Bersaglio Melanoma”, rivolti a pazienti e dermatologi. I risultati mostrano una buona organizzazione del percorso di cura, ma il 47% dei pazienti afferma di ritirare personalmente l’esito dell’esame istologico allo sportello referti. «Uno dei punti critici riguarda proprio la comunicazione medico-paziente», spiega Chiara Puri Purini, a nome delle quattro Associazioni di pazienti che hanno promosso il progetto. «Le raccomandazioni prevedono che la diagnosi di melanoma sia comunicata personalmente al paziente dal dermatologo o dal medico, che deve avere il tempo necessario per la spiegazione del referto istologico e delle fasi successive del percorso di cura, lasciando spazio alle domande e dubbi della persona a cui viene comunicata la diagnosi. Dopo i trattamenti e le cure previste, è comunque indicata almeno una visita specialistica all’anno, coinvolgendo il medico di famiglia, che potrà seguire il paziente insieme allo specialista di riferimento. Per questo è importante facilitare, attraverso sistemi di condivisione digitale, la comunicazione tra il medico di medicina generale e l’ospedale». In Italia vivono quasi 170mila persone dopo la scoperta della malattia. Per diminuire le nuove diagnosi servono più campagne di prevenzione primaria e secondaria per informare i cittadini sulle regole della corretta esposizione al sole, sui rischi legati all’uso delle lampade solari e sull’importanza del controllo regolare dei nei da parte del dermatologo. Ed è necessario inserire il melanoma nei tumori su cui investire in prevenzione, seguendo l’esempio del carcinoma della mammella, del colon-retto e della cervice uterina.
di Paola Trombetta
La nuova combinazione di immunoterapie riduce del 25% la progressione di malattia
La nuova via da seguire per potenziare l’attività immunitaria anti cancro si chiama LAG-3: è un checkpoint immunitario, cioè un “freno”, utilizzato dal tumore per aggirare la risposta alle terapie immuno-oncologiche, che si affianca a quelli già noti come PD-1 e CTLA-4. Nei pazienti con melanoma metastatico mai trattati prima, la combinazione di relatlimab, anticorpo anti LAG-3, e nivolumab, molecola anti PD-1, ha ridotto del 25% il rischio di progressione della malattia. In particolare, la sopravvivenza libera da progressione ha raggiunto 10,12 mesi con la combinazione rispetto a 4,6 mesi con la monoterapia con nivolumab. I risultati emergono dallo studio di fase III, RELATIVITY-047, presentati al Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO), in corso in forma virtuale.
«Nello studio internazionale sono stati coinvolti 714 pazienti con melanoma metastatico o non operabile», spiega il professor Paolo Ascierto, Direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto “Pascale” di Napoli. «È evidente il significativo beneficio clinico offerto dalla nuova combinazione relatlimab e nivolumab in prima linea, con una buona tollerabilità. Gli inibitori di checkpoint immunitari in monoterapia o in combinazione hanno cambiato la storia della malattia e migliorato i tassi di sopravvivenza. Ciononostante, resta una percentuale di pazienti che potrebbero trarre benefici dalla nuova terapia di combinazione che influenza vie cellulari complementari, per migliorare l’attività anti-tumorale. Pertanto, puntare alla via di LAG-3 in combinazione con l’inibizione di PD-1 può rivelarsi una strategia chiave per potenziare la risposta immune». «I primi studi su relatlimab furono avviati circa quattro anni fa proprio al “Pascale” di Napoli, in cui dimostrammo come sbloccare il nuovo freno al sistema immunitario. La sfida ora è capire quali siano i pazienti candidati a questo trattamento e LAG-3 può costituire un biomarcatore valido per la selezione della miglior terapia». Al Congresso ASCO sono stati presentati anche i risultati dello studio internazionale di fase III, CheckMate-067, sulla combinazione delle due molecole immuno-oncologiche, nivolumab e ipilimumab, in prima linea nel melanoma avanzato. «Sono state arruolate 945 persone: il 49% dei pazienti trattati con la combinazione è vivo a 6 anni e mezzo. In particolare, la sopravvivenza mediana è stata di 72,1 mesi con nivolumab più ipilimumab, la più lunga finora riportata in uno studio di fase III nel melanoma avanzato, rispetto a 36,9 mesi con nivolumab e 19,9 con ipilimumab. È quindi decisivo l’impatto della combinazione sulla sopravvivenza globale, soprattutto se si considera che, prima dell’immunoterapia, la speranza di vita dei pazienti con melanoma metastatico era di circa 6 mesi e meno del 10% era vivo a cinque anni. Un altro aspetto importante è che il 77% dei pazienti vivi a 5 anni non ha più avuto necessità di ricevere un trattamento sistemico: questo si spiega con una sorta di “effetto memoria”, per cui l’ efficacia si mantiene a lungo termine, anche dopo la fine delle cure». P.T.