«Era un pomeriggio di luglio, caldo, spensierato di vacanze in campeggio: di mare e cielo azzurro. Avevo 16 anni e mezzo. Mi venne mal di testa. Mi stesi su un fianco in roulotte, pensando: mi riposo un po’, passerà. Ricordo solo che quando mi svegliai e fui in grado di alzarmi, il sole era tramontato, era sera. Non sapevo allora il significato che avrebbe avuto “quel tramonto”». Sono le parole con cui Luisa (nome di fantasia), oggi 53enne, racconta il suo “incontro” con l’emicrania. Ma la sua esperienza, dolorosa, debilitante, perfino mortificate per la poca attenzione ricevuta la parte della società, accomuna una larga fascia di popolazione, tra il 25 e il 43%, di cui gran parte sono donne tra 20 e 55 anni. Il periodo più florido dell’esistenza, ricco di progettualità, esperienze lavorative e personali “bloccato” da episodi emicranici, nei casi più gravi con attacchi che si ripresentano in modo ricorrente per più di 15 giorni al mese. Fino a poter assumere forme croniche, come accade ogni anno a circa il 2,5-4,6% degli emicranici, con un impoverimento della qualità della vita: 56 giorni di lavoro persi all’anno a causa della malattia, la rinuncia al proprio tempo libero per il dolore che impatta negativamente su ogni tipo di attività (90%) e di relazione (56%). Rendendo la persona anche emotivamente più fragile, vulnerabile, esposta all’imprevedibilità degli attacchi, spesso ingovernabili, che si accompagnano a stati d’ansia. Condizione ineluttabile che si riflette anche su familiari o care-giver che assistono la persona con emicrania: 15 giorni di lavoro mancati sono niente in confronto al senso di impotenza nel non riuscire a dare sollievo alla sofferenza di chi si ama. «Non conoscevo l’emicrania, ma ho fatto conoscenza con la problematica. Mi sentivo disorientato, impotente […]. Volevo stesse bene e vederla felice. Vivere era difficile, alle volte, perché non vi era nulla che potessi fare per alleviare il suo dolore», così dichiara il marito 55 enne di una donna emicranica, in una delle tante testimonianze raccolte nel libro “Dentro l’emicrania” che sarà distribuito a breve da Edizioni Effedì, nato nell’ambito del Progetto “DRONE – Dentro la Ricerca: Osservatorio sulle Narrazioni di Emicrania”, promosso da Fondazione ISTUD con il supporto di Novartis Italia.
Si tratta della prima ricerca nazionale di medicina narrativa che tra dicembre 2019 e ottobre 2020 ha coinvolto 13 centri specializzati nel trattamento dell’emicrania distribuiti su tutto il territorio, con l’intento di dar voce al vissuto di pazienti, familiari e i medici che curano questa condizione invalidante, raccogliendo esperienze e testimonianze anonime su un portale dedicato. E i racconti – 178 narrazioni di cui 89 di donne e 18 di uomini, emicranici, mediamente da 47 anni – hanno “fatto luce” su questa condizione spesso descritta con metafore e immagini che richiamano l’azione del fabbro che usa un martello, una lama che entra nella tempia (49%), con immagini di natura violenta o mostri (31%), il buio, la nebbia (20%) e i benefici di un trattamento adeguato. «Ha deciso di andare a farsi visitare presso un centro cefalee […]. I curanti erano specializzati nella cura di questa problematica; hanno detto che si trattava di emicrania pura. Le cure erano calcioantagonisti, betabloccanti, antidepressivi, associati a triptani, fino al vaccino mensile. Oggi mi sento felice nel vederla stare meglio. Lei si sente bene, passando da 15 o 16 crisi al mese a quasi nessuna», aggiunge il marito. Ma per arrivare a questo traguardo, il percorso è lungo: dalle narrazioni emerge che circa il 50% dei pazienti ha fatto uso di farmaci da banco e cure “fai da te” arrivando anche all’abuso di farmaci (35%), proprio a causa dell’incomprensione della gravità della patologia: «Lei è sana come un pesce. (Io invece mi sento morire dentro, distrutta dal dolore)», «Lei pensa troppo, si tenga impegnata e cerchi di non pensare al mal di testa, vedrà che poi non le viene», si legge fra le pagine del libro. Arrivando al centro di cura specializzato, invece, i pazienti hanno trovato un beneficio sia in termini clinici sia in termini psicologici avendo trovato persone “comprensive ed empatiche che sanno perfettamente cosa significa il dolore”. «Negli ultimi anni la cura dell’emicrania è cambiata molto – dichiara Maria Clara Tonini, responsabile del Centro per la Diagnosi e Cura delle Cefalee presso la Clinica San Carlo di Paderno Dugnano (MI) e docente ASC (Associazione per la Scuola delle Cefalee) – grazie alla terapia bersaglio con anticorpi monoclonali per la profilassi e con farmaci sintomatici selettivi e specifici per bloccare l’attacco. In questo scenario, così composito e complesso, in cui la sofferenza e il disagio hanno un ruolo pervasivo nella vita dei pazienti, la medicina narrativa, affiancata alla medicina tradizionale, rappresenta per il paziente uno “strumento” per riappropriarsi di una libertà persa e riconnettersi alla rete della vita, a una salute ripristinabile».
Il Progetto DRONE ha infatti dimostrato che il beneficio clinico nel paziente spesso si associa all’accettazione della malattia con cui si riesce a convivere più serenamente, riducendo anche a metà la perdita di giorni di lavoro. «I medici devono prendere in cura i pazienti nella loro totalità e non solo i sintomi – aggiunge Mauro Zampolini, Direttore del Dipartimento di Riabilitazione Specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa e in Neurologia della Regione Umbria – aiutando la persona a verbalizzare i miglioramenti come, ad esempio, il numero di giorni liberi da emicrania o l’attenuarsi dei sintomi». Ridando dunque “dignità” all’emicrania, spesso sottostimata, resa invisibile e confusa con uno dei suoi sintomi “più banali”, il mal di testa. «La cefalea è stata recentemente riconosciuta come malattia sociale (legge 14 luglio 2020, n. 81) – fa sapere Rosario Iannacchero, Medico Neurologo del Dipartimento di Neuroscienze – Neurologia del Centro Cefalee Catanzaro – tuttavia c’è ancora molta strada da percorrere per far trattare questa malattia, non solo nei centri cefalee, ma anche negli ambulatori neurologici territoriali in un’ottica di integrazione tra ospedale e territorio creando una efficace alleanza terapeutica a beneficio del paziente». L’emicrania deve essere presa in carico (e compresa) fin dalle più giovani fasce di età: «È fondamentale riconoscere e trattare l’emicrania – conclude Maria Giulia Marini, direttore scientifico e dell’innovazione di Fondazione ISTUD – soprattutto in fase adolescenziale, un momento delicato nello sviluppo dell’identità e che spesso coincide proprio con l’esordio di questa malattia. Bisogna parlarne fin dalla scuola e garantire a chi ne soffre una “condivisione” accettabile con la malattia e la prosecuzione di una vita di qualità». Il libro è scaricabile al seguente link: www.medicinanarrativa.eu/wp-content/uploads/dentro-emicrania.pdf.
di Francesca Morelli