Ci sono voluti tre anni di impegno e di instancabile lavoro da parte di istituzioni, medici, ricercatori, ma soprattutto delle associazioni di pazienti, per far approvare in questi giorni dalla Commissione Sanità del Senato la legge sulle Malattie Rare, che da oggi in poi deve trovare una pratica applicazione sul territorio. «Non basta infatti approvare una legge, se poi il sistema non è pronto a metterla in pratica», ha commentato Paolo Guzzonato, direttore scientifico di Motore Sanità, che ha promosso i giorni scorsi a Roma il Focus nazionale sulle “Malattie Rare”, con la partecipazione di istituzioni, medici, pazienti, professori universitari e ricercatori, allo scopo di aprire un confronto per sviscerare i problemi legati all’applicazione di questa legge.
Un incontro conclusivo di una serie di eventi che hanno attraversato tutte le regioni italiane, prendendo spunto dallo stato dell’arte di quattro malattie rare: atrofia muscolare spinale, sindrome dell’intestino corto, sindrome emolitico uremica atipica e ipertensione arteriosa polmonare. Insieme, per discutere sulle criticità attuali e trovare soluzioni per migliorare la vita dei pazienti affetti da queste malattie rare e dei loro familiari.
Diagnosi precoce, informazione ai pazienti e alle famiglie, farmaci disponibili per tutti in ogni Regione, creazione di registri per le malattie e reti nazionali di confronto: sono gli obiettivi riassunti nella legge che, come detto, devono però trovare ora una pratica applicazione.
«La diagnosi precoce delle malattie rare è fondamentale, ma oggi gli screening neonatali vengono effettuati solo per un ridotto numero di malattie (tra cui fibrosi cistica, fenilchetonuria, ipotiroidismo congenito e alcuni difetti del metabolismo) e allargati ad altre patologie in alcune regioni», conferma Massimiliano Raponi, Direttore Sanitario dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. «È il caso del progetto pilota delle regioni Toscana e Lazio, avviato nel 2019, che aveva esteso lo screening a patologie come la SMA (Atrofia Muscolare Spinale), individuando 15 bambini che, con l’uso precoce di terapie mirate, avevano rallentato l’evoluzione della malattia, consentendo uno sviluppo motorio normale. Questo esempio dovrebbe essere seguito da tutte le Regioni ed esteso anche ad altre malattie, per le quali esistono cure efficaci. Ma le cure costano: si stima circa un milione di euro l’anno per paziente. Se una famiglia si ritrova due o più bambini con la stessa malattia genetica, i costi diventano davvero insostenibili! Per questo la presa in carico del bambino portatore di Malattia genetica rara deve essere garantita negli ospedali di riferimento in tutte le Regioni, che devono avere a disposizione i farmaci per tutti i malati rari; molti di questi invece sono ancora ad uso sperimentale e non vengono rimborsati, quindi a carico dei Centri, ma costituiscono un’opportunità di vita per questi malati».
«Gli studi di genomica consentono oggi la diagnosi precoce di molte patologie rare, ma alcuni screening devono ancora essere messi a punto per studiare le terapie più adatte», puntualizza Andrea Lenzi, endocrinologo, direttore del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza Università di Roma. «Per questo è indispensabile motivare e incentivare la ricerca in questo settore, considerando che le malattie rare sono circa 8000 e due milioni i malati. E soprattutto preparare sia le nuove leve di specialisti, che i medici di base, primi interlocutori dei pazienti e dei familiari». «A loro dovrebbe essere affidata la gestione del paziente a domicilio, una volta prescritta la cura dallo specialista, che deve però essere garantita in ogni Regione», aggiunge Francesco Buono, segretario amministrativo FIMMG di Roma. «È impensabile che si debba migrare da una regione all’altra per avere la possibilità di curare il proprio figlio malato e soprattutto che queste cure non sempre vengano rimborsate».
Oltre ai farmaci, esistono anche costi indiretti, spesso sostenuti dalla famiglia. «Quanti genitori devono ad esempio rinunciare al proprio lavoro per assistere il figlio malato», aggiunge Annalisa Scopinaro, presidente di UNIAMO. «E non bisogna dimenticare le terapie di riabilitazione che quasi sempre vengono effettuate a domicilio».
Con l’approvazione della legge, queste difficoltà dovrebbero finalmente essere superate. Lo conferma Fabiola Bologna, segretario della 12a Commissione Affari Sociali e Sanità alla Camera dei Deputati, che in questi tre anni si è molto impegnata per l’approvazione di questa legge. «Non è più accettabile che il malato raro debba recarsi in un’altra Regione per ricevere le cure necessarie. Nella legge si prevede infatti la costituzione di un Fondo dedicato per inserire questi farmaci nei LEA, Livelli Essenziali di Assistenza, rimborsabili indistintamente in ogni Regione». «Non dimentichiamo però che, per l’aggiornamento dei LEA, servono decreti attuativi che superino la situazione ferma al 2017. L’entusiasmo per la nuova legge non ci deve fare dimenticare che i tariffari previsti dai precedenti LEA non sono ancora attuabili o, se lo sono, ciò avviene su iniziativa delle singole Regioni», replica Erica Daina, Capo Laboratorio Documentazione e Ricerca Malattie Rare, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Ranica (BG), Referente del Centro di Coordinamento delle Rete Regionale Malattie Rare della Regione Lombardia.
Con l’aiuto della dottoressa Paola Facchin, del coordinamento Malattie Rare della Regione Veneto, cerchiamo allora di riassumere la situazione attuale in alcuni punti:
«Primo: il cambiamento organizzativo è già normato dalla legge, ma non ancora attuato nei Centri di cura. I grandi ospedali devono organizzare una “piattaforma” per definire unità operative dove il paziente trovi tutto e non debba andare a fare consulenze da una parte all’altra. Secondo: tutti parlano di cure sul territorio, ma bisogna pensare che se si vogliono tenere i malati a domicilio, bisogna garantire una risposta diversificata. Come gli ospedali sono impostati per livelli di complessità, anche il territorio non può dare una risposta uguale e identica per tutti, ma deve essere ripensato come una Rete per livelli di complessità. Terzo: diversità organizzative e quindi diverse risorse da investire nelle unità operative, nella ricerca, nei percorsi di cura. Quarto: bisogna usare le strutture, gli strumenti normativi che ci sono e che da anni non vengono utilizzati per le malattie rare, come i finanziamenti già attivati per emergenza e trapianti, che invece non sono ancora disponibili per le malattie rare. Quinto: finanziare le attività di consulenza a distanza, che devono essere considerati servizi con risorse e quindi compensati. Sesto: la formazione e il personale: questi centri devono avere parametri e rotazione di personale diverso. Settimo: informazione, intendendo quella clinica al paziente e quella per scopi di programmazione epidemiologici e di ricerca. Ottavo: nella ricerca dobbiamo essere attenti. Il Covid non ci ha solo insegnato l’importanza della ricerca, ma anche di avere in loco infrastrutture e produzione. È importante avere una Rete di infrastrutture di ricerca, in partnership tra pubblico e privato. Nono: con la nuova legge si deve mettere mano al problema di che cosa realmente hanno diritto i malati rari, non solo ciò che fa riferimento ai LEA».
«Con l’approvazione finale della legge diventa fondamentale migliorare i sistemi di raccolta dati e monitoraggio», conclude Domenica Taruscio, coordinatrice del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità. «Attualmente ci sono ancora dei nodi da sciogliere, quindi utilizziamo questi fondi che stanno arrivando per investire nel futuro. Avere dati significa poterli utilizzare per lo sviluppo della ricerca. Esiste una Rete nazionale declinata nelle Reti regionali: questo si concentra nel Centro Nazionale Malattie Rare all’Istituto Superiore di Sanità. È fondamentale il coordinamento attraverso il Comitato Nazionale all’interno della legge, quindi tutti gli attori regionali e nazionali siederanno insieme per le proprie competenze e certamente adotteranno (adotteremo) un linguaggio comune. Infine un appello accorato: la prevenzione. Anche nell’ambito delle malattie rare bisogna incentivare fortemente la prevenzione primaria, con l’estensione di più screening neonatali, per malattie come la SMA e quelle metaboliche che hanno già efficaci terapie. E per finire, non si può trascurare la ricerca di base per poter indagare anche sui fattori di rischio che possono causare le malattie e riuscire magari anche a prevenirle».
di Paola Trombetta