Tumore al polmone: il “social killer” che colpisce sempre più le donne

Negli ultimi 5 anni è aumentato nelle donne il rischio di ammalarsi di tumore al polmone rispetto agli uomini, a causa dell’incremento dell’abitudine al fumo. Per effetto dell’aumento delle fumatrici e di una progressiva riduzione dei fumatori nella popolazione italiana, il rapporto dell’incidenza nei due sessi è destinato a ridursi: in un confronto tra l’anno 2015 e il 2020 è stato calcolato per le donne un aumento del 5%, a fronte di una diminuzione dell’11% per gli uomini.
Il fumo è responsabile nell’85-90% dei casi di questa neoplasia, che purtroppo viene spesso scoperta in ritardo, a causa della mancanza di sintomi specifici: solo il 38% dei tumori viene infatti diagnosticato nei primi due anni; il 20% tra i due e i cinque anni; il 17% tra i cinque e i dieci anni; e il 25% a più di dieci anni dall’insorgenza. Ogni anno questo tumore è responsabile di 34 mila decessi, prima causa assoluta di morte in oncologia, e nel 2020 ha fatto registrare circa 41 mila nuovi casi, 27.550 maschi e 13.300 femmine. I tumori al polmone non sono tutti uguali: per la diagnosi, che in due casi su tre avviene quando la neoplasia è già in stadio avanzato, il primo passo è scoprire la specifica mutazione che origina il tumore, mediante i più innovativi test di profilazione genomica: nel 60% delle forme non a piccole cellule (NSCLC), le più diffuse in assoluto, avere la carta d’identità genetica del tumore consente infatti in 4 casi su 10 di accedere a cure di precisione, più efficaci e meglio tollerate.

Per diffondere informazioni corrette, è stato dedicato il Mese di novembre alla prevenzione del tumore al polmone: è fondamentale per questa neoplasia, uniformare l’impiego di test in grado di identificare le mutazioni, per garantire l’identikit genetico e l’equità di accesso alle cure a tutti i malati. L’identikit epidemiologico del tumore del polmone disegna un pericoloso “social killer”, che colpisce soprattutto gli uomini, ma minaccia sempre di più le donne. Oltre alla tempestività, anche la precisione della diagnosi fa la differenza e migliora l’efficacia delle cure. I tumori al polmone sono quelli che hanno il più alto numero di mutazioni identificabili ma, come se non bastasse, è anche complesso esaminarle, perché nell’area polmonare è difficile effettuare prelievi di tessuto utili a rivelare le diverse mutazioni genetiche. I grandi risultati ottenuti dalla ricerca in campo biologico molecolare consentono oggi di studiare le tante mutazioni genetiche scoperte nel 60% delle forme dette “non a piccole cellule” (NSCLC), che rappresentano l’85% del totale. Un fattore determinante nella lotta a questa neoplasia, perché proprio sulla base dell’identikit genetico è oggi possibile in 4 casi su 10 utilizzare cure mirate, garantendo ai pazienti una migliore qualità e una maggiore aspettativa di vita. Ecco perché una diagnostica sempre più innovativa ed efficace fa la differenza nell’approccio terapeutico dei pazienti con tumore al polmone.

È quanto è emerso dal recente evento: “Nuove strategie per la lotta ai tumori del polmone”, promosso da The European House Ambrosetti, con il contributo non condizionante di Amgen, in cui si è ribadita l’importanza della diagnostica di precisione con i test innovativi di profilazione genomica, che consentono la valutazione simultanea di diverse alterazioni genetiche.

«Poiché, come detto, in due casi su tre il tumore del polmone viene scoperto in fase avanzata, ci si trova nella possibilità di prelevare solo una piccola quantità di materiale tessutale e cellulare da analizzare», spiegaRenato Franco, Professore Ordinario di Anatomia Patologica dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, nonché coordinatore del Gruppo Italiano di Studio di Patologia Pleuro-Polmonare, Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia diagnostica. «La possibilità di eseguire la profilazione simultanea di più mutazioni grazie agli innovativi test NGS (Next Generation Sequencing) è quindi fondamentale, perché permette di acquisire il maggior numero di informazioni riguardo la profilazione genomica senza rischiare di esaurire lo scarso campione biologico a disposizione, già utilizzato per effettuare diagnosi istopatologiche spesso complesse, indirizzando così il paziente a terapie mirate sulla base della carta d’identità genetica del tumore». Solo un paziente su due riceve però oggi in Italia una precisa profilazione genomica della neoplasia che l’ha colpito. «Meno del 40% dei nostri laboratori di biologia molecolare usa attualmente i test NGS nella routine diagnostica quotidiana dei tumori polmonari», osserva Marcello Tiseo, Professore Associato di Oncologia, Università di Parma, Responsabile SS di U.O. “Gestione attività ambulatoriali oncologiche complesse” e coordinatore PDTA di Oncologia Toracica AOU di Parma. «Nella maggioranza delle strutture viene solo eseguito uno studio molecolare di base e quindi oltre il 50% dei tumori polmonari non a piccole cellule rischia di non venire adeguatamente caratterizzato da un punto di vista molecolare. Un aspetto tutt’altro che secondario, se si considera che la sopravvivenza a 5 anni (attualmente del 16%) sta aumentando proprio per merito dei trattamenti con i farmaci a target, più efficaci e meglio tollerati dai pazienti rispetto alla chemioterapia, da sola o in combinazione con l’immunoterapia».
Per fermare il “social killer” dell’oncologia (prima causa di morte tra gli uomini, seconda tra le donne dopo il tumore al seno), serve quindi aumentare il numero di laboratori di biologia molecolare in grado di tracciarne l’identikit genetico grazie alla Next Generation Sequencing. Un’operazione sostenibile da parte del nostro SSN, che anzi ne trarrebbe un vantaggio in termini di razionalizzazione della spesa, come ha confermato uno studio su due strutture italiane, coordinato dal dottor Carmine Pinto, Presidente della Federazione dei Gruppi delle Cooperative italiane Oncologiche (FICOG) e Direttore dell’Oncologia Medica del Comprehensive Cancer Centre dell’AUSL-IRCCS di Reggio Emilia, che evidenzia: «La spesa complessiva per i singoli test eseguiti in sequenza è di difficile quantificazione, perché a seconda dei casi variano molto, sia come numero sia come tecnologia utilizzata. Uno studio condotto in due strutture pubbliche italiane, l’utilizzo della Next Generation Sequencing (NGS), in grado di valutare molteplici alterazioni genetiche, consente un risparmio per il SSN, permettendo di ottenere le informazioni necessarie per l’utilizzo dei farmaci a bersaglio molecolare già disponibili e il migliore utilizzo dei campioni biologici, piccole biopsie o esami citologici. L’obiettivo è quello di assicurare un’equità di cure ai malati oncologici in tutto il nostro Paese. Nell’ambito delle Reti Oncologiche Regionali è necessario definire un laboratorio di Biologia molecolare, con adeguate competenze professionali e tecnologiche, in grado di eseguire questi test per 700-800 mila abitanti, con un’organizzazione logistica che consenta di far girare i campioni biologici e non i pazienti».

di Paola Trombetta

Articoli correlati