Diagnosi più precoci e, dunque, maggiore efficacia terapeutica da cure mirate, nuovi farmaci a bersaglio molecolare per il trattamento dei tumori della tiroide, possibilità di una gravidanza con l’adozione di misure di “sicurezza” anche per donne con ipo o ipertiroidismo e altre problematiche come il raggiungimento in Italia della iodiosufficienza. Sono alcune delle “buone notizie” emerse dal 14° Congresso dell’Associazione Italiana della Tiroide, AIT (Pisa, 2-4 dicembre), nonostante i numeri in crescita delle patologie tiroidee (tiroiditi, iper e ipo-tiroidismo, tumori), fino a contare 300 milioni di casi nel mondo, 6 milioni solo in Italia, di cui 40 mila trattati ogni anno con la chirurgia.
«I numeri, per quanto importanti, non devono allarmare: – spiega Luca Chiovato, Presidente AIT, Direttore del Dipartimento di Medicina Interna di ICS Maugeri (Pavia). Testimoniano la capacità di fare più controlli, diagnosi precoci e accurate grazie a screening efficaci e somministrare terapie più mirate, secondo protocolli di cura sviluppati in molti centri italiani di riconosciuta eccellenza internazionale». Questo significa che si è in grado di gestire meglio anche contesti difficili come una problematica tiroidea in gravidanza, sotto il monitoraggio dell’esperto, e l’adozione di specifiche misure: «Occorre innanzitutto aumentare il quantitativo di iodio, di norma attraverso l’uso di integratori, dai 150 mcg/della popolazione generale ai 250 mcg/di della gestante – continua Chiovato – per sostenere la maggiore produzione di ormoni tiroidei materni e la funzione della tiroide del feto. L’obiettivo è rimettere in equilibrio la tiroide, in quanto, sia l’ipotiroidismo, che l’ipertiroidismo, possono avere ripercussioni negative sull’andamento della gravidanza e sulla salute fetale-neonatale, meritevoli di una adeguata terapia. Ad esempio l’ipotiroidismo, per lo più lieve o subclinico, è quasi sempre di origine autoimmune, associato cioè alla tiroidite di Hashimoto, e può verificarsi nel 2-3 % delle gravidanze: deve essere corretto con una dose sostitutiva di L-tiroxina, mentre l’ipertiroidismo va gestito con la stretta alleanza fra endocrinologo, ginecologo per quanto concerne la salute materna e fetale e dal neonatologo per l’aspetto di salute neonatale».
L’ipotirodismo merita attenzione anche al di fuori del contesto della dolce attesa: «Questa condizione interessa in misura elevata tutte le età – dichiara Luca Persani, Professore Ordinario di Endocrinologia, all’Università di Milano e primario di Endocrinologia presso l’Istituto Auxologico Italiano – ovvero circa 1 persona su 10, con una frequenza 10 volte superiore nelle donne. Oggi disponiamo di strumenti diagnostici e terapeutici che consentono di riconoscere anche le forme più lievi e curarle precocemente e in modo efficace con uno specifico farmaco, la levo-tiroxina, anche con nuove formulazioni per evitare così, in età adulta, la riduzione del benessere e della performance fisica e mentale, della fertilità e l’aumento del rischio cardiovascolare. Nei giovani, invece, l’ipotiroidismo può essere causa anche di una ridotta crescita e di difetti di apprendimento. Infine, in caso di morbo di Basedow, la gravidanza va programmata così da consentire alla mamma di entrare in gravidanza con funzionalità normale della tiroide».
Altre importanti novità riguardano i tumori della tiroide che oggi spaventano meno: «Questi – precisa Rossella Elisei, Responsabile Scientifico del Congresso AIT ed endocrinologa all’Azienda ospedaliero-universitaria Pisana – sono noti per la natura poco aggressiva e per le alte guarigioni, pari a circa l’85-90% dei casi, ma non per questo vanno sottovalutati. Per le forme in cui la chirurgia e la terapia radiometabolica non possono essere utilizzate per raggiungere la remissione di malattia, oggi abbiamo a disposizione farmaci “a bersaglio molecolare”, capaci cioè di bloccare l’attività anomala di alcuni recettori alla base della trasformazione tumorale (tirosino chinasici), con terapie che bersagliano solo cellule tumorali portatrici delle anomalie recettoriali. Al momento abbiamo a disposizione 4 farmaci, che di norma riescono a stabilizzare la malattia e a volte ridurre le dimissioni dei tumori, ma presentano però alcuni effetti collaterali importanti che possono impattare sulla vista. Sono in fase di approvazione altri farmaci, sempre a bersaglio molecolare, ancora più precisi in quanto diretti contro uno specifico recettore alterato ad esempio il gene RET mutato o sulle mutazioni del gene TRK, che hanno dunque minori effetti collaterali e sono meglio tollerati. La speranza è che possano essere presto utilizzati nella pratica clinica».
Non poteva mancare al Congresso AIT uno sguardo all’attualità pandemica: «L’interazione tra tiroide e Covid è complessa e bidirezionale. Gli studi condotti – commenta Leonidas Duntas, membro dello Steering Committee della European Thyroid Association – suggeriscono come l’esito avverso in pazienti Covid-19 sia strettamente associato alla produzione eccessiva di citochine pro-infiammatorie, note come tempesta di citochine, soprattutto interleuchina-6 e proteina C-reattiva (CRP), coinvolte nello sviluppo delle malattie della tiroide. Altri studi segnalano che Covid-19 è associato a casi di tiroidite, sia nelle forme tipiche (dolorose) subacute di tiroidite/de Quervain (SAT), con un’incidenza del 2,5% dei casi, sia atipiche (non dolorose), così come a ipertiroidismo, malattia di Graves (GD) o ipotiroidismo».
Infine un buon risultato: l’Italia per la prima volta nel report annuale dell’Iodine Global Network 2020, è stata dichiara iodio-sufficiente: «Questo risultato – conclude Marcello Bagnasco, Presidente Eletto AIT – è frutto di un lungo percorso, iniziato con la legge sull’uso del sale iodato del 2005 e la conseguente promozione e monitoraggio della iodio-profilassi. Gli ultimi dati del Rapporto ISTSAN hanno dimostrato un incremento del consumo di sale iodato, superiore al 70% del totale: un valore di escrezione urinaria di iodio a livello di popolazione indicativo di un adeguato apporto nutrizionale di iodio (mediana superiore a 120mcg/L) e una riduzione della prevalenza del gozzo in età scolare fino a livelli inferiori al 2% (al di sotto del limite del 5% indicativo di endemia gozzigena). Si è assistito inoltre a una riduzione della frequenza di sospetto ipotiroidismo alla nascita, indicativo di un miglioramento della nutrizione iodica del neonato e indirettamente della gestante. I risultati fin qui ottenuti dimostrano da un lato l’efficacia della strategia di iodio-profilassi implementata, che assicura un apporto nutrizionale di iodio adeguato, nella prospettiva ottimale di contenimento del consumo di sale a 5 gr/die, dall’altro l’importanza di azioni sinergiche e coordinate per le iniziative di informazione, promozione e monitoraggio».
Tutto merito anche della ricerca scientifica: nel corso del Congresso 5 giovani ricercatori, di cui 4 donne e di queste 2 neomamme, hanno ricevuto l’AIT AWARD, il premio di ricerca sulle patologie tiroidee promosso da AIT con il contributo non condizionante di Merck, da sempre impegnata nella ricerca scientifica, in ambito tiroideo e supporter di progetti innovativi che possono contribuire a migliorare diagnosi e terapie per le malattie tiroidee.
di Francesca Morelli