Trascorriamo dormendo circa un terzo della nostra vita. Il sonno rappresenta uno stato importante e indispensabile per la vita stessa: indispensabile perché è una condizione necessaria alla sopravvivenza, importante per le modificazioni neuronali, biochimiche, metaboliche che avvengono durante il sonno. Dormire bene è indispensabile per la memoria: un sonno frammentato e disturbato predispone all’accumulo patologico di proteine anomale, associate a fenomeni neurodegenerativi, all’infiammazione, all’aterosclerosi. Una progressiva riduzione del tempo di sonno e una graduale frammentazione del sonno accelerano l’invecchiamento fisiologico. In questi due anni di pandemia si sono registrati significativi cambiamenti nelle abitudini del sonno degli italiani. Lo conferma una recente indagine condotta da Dorelan Research su un campione di 485 italiani (tra cui 258 uomini e 225 donne), di età compresa fra i 18 e gli 82 anni, che verrà presentata in occasione della Giornata Mondiale del Sonno (18 marzo). Il 30% delle persone intervistate ritiene di avere peggiorato il sonno nell’ultimo biennio e il 36% ha ridotto il volume di attività fisica settimanale. Per quanto riguarda la differenza tra la quantità di sonno reale e le ore di sonno che le persone avrebbero voluto dormire è di circa 1h e 20 minuti. Anche il tempo impiegato per addormentarsi ha mostrato una differenza di 30 minuti. Risulta evidente, da questi dati, che la tematica della qualità del sonno è diventata un’urgenza, soprattutto in questi due ultimi anni. «La giornata mondiale del sonno rappresenta un’occasione unica per ribadire l’importanza del sonno per la salute umana», afferma Jacopo Vitale, Direttore Dorelan Research e Capo di Laboratorio e ricercatore presso l’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi e Phd in Scienze dello Sport. «Gli ultimi anni, molto complicati, hanno inevitabilmente impattato sul nostro stile di vita e il sonno ne ha subito conseguenze negative. Prendere consapevolezza di cosa fare in condizioni di isolamento sociale e lockdown è fondamentale per proteggere il nostro riposo notturno. L’educazione è la strategia più potente di prevenzione primaria e secondaria per i disturbi del sonno», conclude Vitale.
Garantire al proprio corpo un buon sonno consente anche di migliorare l’umore, la memoria, l’apprendimento e di energizzare il nostro cervello. Se dormire poco aumenta la possibilità di sviluppare depressione e disturbi di ansia, dormire bene e nella giusta quantità di ore permette di migliorare il benessere generale. Nell’indagine è anche emerso che, tra le variabili che hanno influenzato negativamente il sonno in questi due anni, figurano ansia e stress per il 60% degli intervistati, la qualità dell’ambiente per il 40% e la qualità del materasso per il 29%. Il passo che dobbiamo fare tutti è quello di attivare la consapevolezza che durante il sonno si eliminano gli scarti chimici del nostro corpo e si fissano nella memoria tutte le informazioni acquisite nella giornata che si ritengono utili. Questi due processi non possono avvenire se stress e insonnia impediscono il riposo, aumentando la produzione di cortisolo che non permette al corpo di rilassarsi. E potrebbe anche avere conseguenze a livello neurologico a lungo termine. Anche l’uso continuo di cellulari e computer, soprattutto prima di addormentarsi, potrebbe interferire con la qualità del sonno. Secondo i dati dell’indagine emerge che una persona su due dorme con accanto il proprio cellulare e usa dispositivi digitali prima di addormentarsi. Il 60% delle persone, inoltre, utilizza lo smartphone come sveglia.
Ecco perché è fondamentale dedicare il giusto tempo e attenzione al sonno ed evitare che l’eccessiva tecnologia ne possa alterare la fisiologica funzionalità e persino danneggiare i meccanismi neurologici ad essa connessi.
«L’accelerazione in quest’ambito di ricerca ci potrà presto fare conoscere quale è il confine tra ciò che è fisiologico e quello che può rappresentare un campanello d’allarme, sul quale poter intervenire per contrastare la neuro degenerazione», puntualizza il professor Giuseppe Plazzi, direttore del Centro del Sonno dell’Università di Bologna, in occasione della Settimana Mondiale del Cervello promossa dalla SIN (14-20 marzo). «La scoperta, 20 anni fa, di un sistema che controlla come un interruttore l’alternanza fra veglia e sonno profondo, il così detto sonno non-REM o sonno a onde lente, sistema coordinato dai neuroni orexinergici dell’ipotalamo, ha aperto strade innovative per nuove osservazioni scientifiche e prospettive terapeutiche. I neuroni orexinergici che governano l’interruttore “veglia-sonno non-REM”, favorendo lo stato di veglia, nell’anziano in particolare diventano ipereccitabili e scaricano troppo o lo fanno per minimi allarmi, portando a un sonno leggero e frammentato che facilita, in un soggetto predisposto, una cascata di fenomeni neurodegenerativi. Prevenire, intercettare, trattare la disfunzione dei neuroni orexinergici, garantendo un sonno più stabile, potrebbe essere una promettente barriera contro la neurodegenerazione». Ed è questa una nuova ipotesi su cui stanno studiando gli esperti…
di Paola Trombetta