Una “sostituta” che allatti sorridente al mio posto, che si assuma tutte le fatiche di accudire la neonata, di cullarla la notte mentre piange, di trastullarla di giorno: insomma una vera “wonder mamma”. È il desiderio di molte donne per le quali la maternità non è solo fonte di gioie e soddisfazioni. Ma che spesso, soprattutto in questi anni di pandemia, viene vissuta come una grande fatica che può degenerare in stati depressivi. Per cercare di smitizzare lo stereotipo della “mamma perfetta”, due autrici francesi, la scrittrice Sophie Adriansen e la fumettista Mathou, hanno deciso di scrivere e illustrare una graphic novel “La sostituta”, curata e pubblicata nella versione italiana per le edizioni Becco Giallo, dalla ginecologa/sessuologa Chiara Gregori, consulente presso l’Ambulatorio di Ginecologia per le donne migranti dell’Ospedale San Paolo di Milano, alla quale abbiamo rivolto qualche domanda.
Com’è nata l’idea di far conoscere in Italia questo libro?
«Ho trovato questo libro mentre mi aggiravo in una splendida libreria di Bordeaux. La copertina ha subito risvegliato la mia curiosità di ginecologa e donna. È infatti raffigurata una donna sfinita, seduta accanto a una culla. E sullo sfondo c’è invece una donna che guarda con serenità il suo bimbo in culla. In pratica: due facce della stessa medaglia. È come se avessi sentito una sorta di campanello che diceva “questo libro mi riguarda”: è bastato sfogliarlo rapidamente per averne conferma. Mi ha entusiasmato la leggerezza e l’intensità con cui le autrici entrano nel vissuto di Marketa, la protagonista. Il brusco passaggio da una maternità idealizzata alla realtà, è trattato con naturalezza. Le fatiche del parto, lo spaesamento del puerperio e lo sconcerto di fronte alla differenza tra ciò che si riterrebbe giusto sentire e ciò che si prova in realtà, vengono svelate delicatamente pagina dopo pagina. Trovo che l’immagine in copertina sia efficacissima: un’idea di donna pienamente appagata e a suo agio nel ruolo di neo-madre da una parte, e una donna reale, spaventata e piena di senso di inadeguatezza dall’altra».
In Italia esiste ancora lo stereotipo della maternità secondo il quale una donna dovrebbe sentirsi finalmente appagata, completa?
«L’idealizzazione della maternità è ancora diffusa, complici anche i commenti di parenti, amici, conoscenti che guardano con stupore o con riprovazione la donna che non si mostra impaziente di diventare madre. Credo che questa idealizzazione sia la peggiore nemica di una libera interpretazione del ruolo di neomamma e impedisca alle donne di scoprire dentro di loro l’amore per questo nuovo essere che hanno sentito muovere nella propria pancia come parte di sé, e che improvvisamente devono imparare a conoscere, guardandolo negli occhi e riconoscendone i bisogni. Trovare poi l’equilibrio tra le proprie necessità di donna e persona e quelle dei figli, sarà il lavoro di una vita, oggetto di continui correttivi e rimaneggiamenti. Anch’io ho sperimentato tre gravidanze e ho vissuto le fatiche e le ansie che queste hanno comportato. E capisco perfettamente le donne che si rivolgono a me e manifestano timori e preoccupazioni, non solo legate ai cambiamenti della propria immagine corporea o alla paura del parto, ma soprattutto alle fatiche del dopo, ai timori di non essere adeguate alla cura dei figli».
Ogni anno nel nostro Paese il 10-15% delle partorienti (circa 50 mila donne) manifesta una depressione post-partum. Come affronta nella sua pratica clinica questo problema?
«Il mio approccio con le partorienti è improntato all’ascolto e al dialogo. È fondamentale parlare con le donne della gravidanza e far loro esprimere tutte le ansie e le difficoltà che vivono nel quotidiano, senza minimizzare o trascurare il loro vissuto. Ho voluto portare in Italia questo libro anche per donarlo alle mie pazienti, per far loro capire che provare un senso di angoscia o inadeguatezza non è fuori luogo. Le espressioni del volto di Marketa sono efficacissime e rispettose al tempo stesso: esprimono le gioie, le fatiche e i timori in un modo che è universale e rispecchia il vissuto di molte donne. Credo che ogni donna possa in fondo trovare una sfumatura delle proprie emozioni negli occhi e nelle posture della protagonista del libro. E questo potrebbe essere uno stimolo per chiedere aiuto ad affrontare il proprio disagio».
Parlare col proprio ginecologo è fondamentale, ma anche il partner e la famiglia dovrebbero aiutare di più la donna in difficoltà…
«Le famiglie sembrano quasi vergognarsi del disagio che certamente vedono, ma solo raramente accolgono, non per aridità di sentimenti, ma per mancanza di conoscenza del fenomeno. Spesso la reazione dei partner e dei parenti è di sdrammatizzare la situazione. “Cosa vuoi che sia una gravidanza! È un evento naturale per le donne!”, dicono spesso i mariti che non colgono la sofferenza delle puerpere. Nel libro invece il marito della protagonista aiuta e conforta la moglie, la solleva dell’incombenza di curare di continuo la piccola Zoe, proponendo addirittura un soggiorno in una Spa per riprendersi dalla fatica del parto e offrendosi di curare lui la bambina. Per questo consiglio alle future mamme, ma anche ai partner e ai familiari, di leggere questo libro: per cogliere spunti su possibili modi per affrontare le difficoltà».
Purtroppo anche i messaggi della pubblicità raffigurano la neo-mamma avvolta da un alone di “beatitudine”…
«Spesso i messaggi pubblicitari raffigurano donne che allattano i propri neonati con totale padronanza della situazione (capelli ben curati, abbigliamento elegante) e contribuiscono a creare un senso di inadeguatezza nelle neo-mamme, che sono invece alle prese con i dolori della montata lattea, delle ragadi del capezzolo, spossate dalla carenza di sonno ristoratore ma, soprattutto, stupite. Ecco, credo che riuscire ad agire sullo stupore e prevenirlo, possa essere davvero importante. Sarebbe prezioso aiutare le donne e le coppie a trovare tutte le soluzioni possibili per affrontare le fatiche dei primi mesi da genitori in modo umano, per fare da “bàlia” al proprio figlio senza esserne in “balìa”. Il brusco calo ormonale del post partum ha finalità ben precise, come favorire la montata lattea, ma è sicuramente un terremoto per le emozioni. Potrà capitare di sentirsi fragili, tristi, spaesate e sole anche quando si è circondate da affetto e sostegno. Ma la capacità di adattamento del nostro corpo è grandiosa, se non viene ostacolata da aspettative irrealistiche di super efficienza».
Come si ritrova l’equilibrio?
«Dopo aver riconosciuto ed accettato le difficoltà, l’equilibrio viene ritrovato. Bisogna parlarne, far sapere che è normale, cosicché nessuna donna si senta meno degna di essere diventata madre a causa dei sentimenti contrastanti che sperimenta sulla sua pelle. Le emozioni riconosciute non fanno generalmente danni: ci informano di un disagio e ci chiedono di occuparcene. È il negarle che li crea, perché allora le emozioni si fanno insistenti, prepotenti e rumorose… E allora la tentazione di fuggire dalla realtà prende il sopravvento. E diventa assillante il sogno “… di poter assumere una ‘sostituta’ che allatta sorridente, una Marketa in versione ‘wonder mother’”, come cita la protagonista nel libro».
di Paola Trombetta