Non ne siamo fuori: né dalla pandemia, né dallo stress che ci sta accompagnando fin dalla prima ondata, pur tuttavia avendo acquisito caratteristiche differenti. Da uno stress inizialmente “positivo”, che ci metteva in allerta, accettando di stare al riparo per difendersi da importanti rischi di salute, a uno “negativo” che alimenta ansia, tensione, facendo percepire la costrizione delle limitazioni e degli “obblighi”. Se in parte attenuati con la fine dello stato d’emergenza, questi stanno comunque mettendo ancora a dura prova umore, stati d’animo, vita socio-relazionale. Stress, o comunque un disturbo ad esso riconducibile, confessato da otto cittadini su 10 nell’ultimo anno: è quanto emerge dalla ricerca “Stress e Covid-19: un equilibrio precario tra restrizioni e relazioni”condotta da Human Highway per Assosalute, Associazione nazionale farmaci di automedicazione.
«Lo stress – spiega Piero Barbanti, docente di Neurologia presso l’Università IRCCS San Raffaele di Roma – è una reazione fisiologica che l’organismo attiva a propria difesa di fronte a ostacoli, pericoli o situazioni che ne modificano l’assetto. Se avviene in maniera controllata, consente di affrontare e superare i problemi creando una nuova situazione di equilibrio. Nella vita quotidiana, però, il termine stress ha una connotazione diversa e si riferisce a una condizione psicofisica logorante per la quale l’organismo è sempre in condizioni di allerta e fatica “a staccare l’interruttore”». Le ripercussioni si sono così sentite anche in termini di sintomi, in aumento nell’ultima ondata di Covid: mal di testa (48%), ansia, nervosismo, irritabilità (42,8%), tensioni muscolari (39,6%), disturbi del sonno (32,2%), di cui sono soprattutto le donne a soffrire.
Nel corso delle ondate non è cambiata solo la qualità dello stress – da positivo a negativo – ma anche la fonte scatenante: nella prima ondata è stata la salute a farla da padrone; attualmente è il lavoro a preoccupare gli adulti, soprattutto gli uomini di mezza età, e lo studio per i più giovani (34,3% vs 24,7% nel 2020). La salute resta un “pensiero”, ma in minor percentuale (14,8% nel 2022 vs 32,3% nel novembre 2020), al pari della socialità e delle relazioni (12,6% vs 14,6%).
«Durante il lockdown – continua Barbanti – era aumentato il burnout, l’esaurimento psicofisico legato al lavoro, perché alle normali situazioni che lo determinano, si erano aggiunte modalità lavorative stressanti come il lavoro agile, il telelavoro e la mancanza delle relazioni umane tangibili, compresi quei momenti di pausa che scandiscono la normalità di una giornata di lavoro, come il caffè al bar con i colleghi. È innaturale per l’essere umano ridurre i contatti sociali e familiari per preservare parenti fragili o anziani (verso i quali vanno le nostre maggiori attenzioni e affetti), per non parlare della maggiore prudenza nei confronti di bambini e ragazzi. È emerso così uno stress relativo alla necessità innaturale di erigere un muro di prudenza verso le persone che amiamo di più, per evitare di contagiarli ed esserne contagiati».
Come gestire questo contesto critico? Puntare su qualche rimedio di automedicazione e cercare di conoscere meglio il proprio stress, percepire i sintomi per saperlo gestire: sono i mezzi migliori per fronteggiarlo e superarlo.
Secondo l’indagine gli italiani, soprattutto over 65, si sono rivolti in primis al consiglio del medico e del farmacista (16,3%), al web (13,7%), a amici e parenti (8,7%), comportamenti sempre meno diffusi con l’aumentare dell’età. Ma in crescita, rispetto al 2020 (21% verso 11%), è la percentuale di chi non chiede consiglio a nessuno e non fa nulla per alleviare i sintomi: passata la fase più difficile della pandemia, anche la determinazione e l’attenzione con cui si curano i disturbi da stress perdono di intensità.
«Lo stress può essere curato – chiarisce il professore – anzitutto conoscendolo, e poi facendo un atto di buona volontà, modificando lo stile di vita e approcciando l’automedicazione mirata al sintomo: melatonina e valeriana contro i sintomi neuropsichici dello stress, ad esempio i disturbi del sonno, analgesici di automedicazione per contrastare la cefalea di tipo tensivo, farmaci da banco ad azione antiacida per i disturbi gastrointestinali di tipo funzionale. Anche quelli ad azione antidiarroica o i probiotici possono essere preziosi alleati per combattere la diarrea su base emotiva. Infine, gli antinfiammatori sono indicati per contrastare la sensazione di tensione muscolare, uno dei disturbi prevalenti per chi soffre di stress. Da non dimenticare l’utilità di polivitaminici e minerali per l’apporto, ad esempio, del complesso vitaminico B, della vitamina D e del magnesio, essenziali per la funzionalità dell’attività nervosa».
Ma soprattutto il professor Barbanti suggerisce 5 buoni comportamenti anti-stress:
- Fare ammissione. Riconoscersi stressati e rilevarne i sintomi è il primo passo.
- Rispettare i bioritmi. Occorre evitare il social jet-lag (fuso orario sociale), lo sfasamento del ritmo sonno-veglia e di quello alimentare rispetto alle esigenze fisiologiche legate a stili di vita nuovi e più domestici.
- Non trascurare il sonno.Dormire almeno 9 ore a notte favorisce la funzionalità dei processi cerebrali.
- Mangiare sano. Consumare una dieta mediterranea a basso indice glicemico ed essere morigerati con l’uso di sostanze psico-attive, quali alcol e caffè, sono ottime abitudini (sempre).
- Mettersi in pausa. Rallentare il proprio ritmo, lasciare spazio a creatività e immaginazione: mettere il cervello in “modalità relax” è fondamentale per stemperare l’imposizione di nuovi ritmi. Compreso quelli dei ragazzi con ritorno da scuola magari dopo le 15: riconosciuti dall’indagine fra i maggiori “portatori” di stress.
di Francesca Morelli
I più coinvolti? I giovani
Lo stress durante la pandemia ha colpito gli adulti, ma soprattutto i più giovani. Ne è convinto il 58,3% degli italiani secondo cui sono i ragazzi la fascia di popolazione che ha risentito maggiormente delle conseguenze della pandemia. Per sette italiani su 10, sempre secondo l’indagine condotta, anche i bambini più piccoli, seppure con livelli minori, hanno vissuto momenti di stress e ansia durante la pandemia, provocati dalla confusione generata dal continuo cambio di regole e abitudini, dalla didattica a distanza, alla riduzione delle attività e occasioni di gioco extra-scolastiche. «Seppure i ragazzi manifestino lo stress in occasioni e modalità differenti rispetto agli adulti – spiega il professor Barbanti – le loro reazioni sono irritabilità, impulsività, irrequietezza, nervosismo, disturbi del sonno e dell’alimentazione. Nei bambini, i sintomi da stress compaiono in maniera più sfumata e possono rendersi evidenti nei cambiamenti nel rendimento scolastico o nelle difficoltà nel dormire. Anche la mancanza di socialità durante la pandemia (DAD, abolizione delle pratiche sportive di gruppo per i non agonisti) ha influito profondamente sullo sviluppo della personalità dei più piccoli e di conseguenza sull’incidenza di disturbi legati allo stress». Spezziamo però una lancia a favore: la drammatica esperienza della pandemia ha portato con sé qualche raro aspetto positivo, aiutandoci a prendere coscienza dei nostri limiti. «In particolare, i ragazzi hanno appreso che esiste la frustrazione, la complessità, e non solo la soddisfazione del bisogno. L’elemento drammatico per loro – conclude il professore – è stato rinunciare alla scuola e alla vita comunitaria che sono occasioni di conoscere gli altri e di affrontare il mondo esterno, condividendo le emozioni con gli altri. Nello specifico, per i ragazzi, è necessario ritornare alle vecchie regole: nutrirsi bene, dormire adeguatamente, giocare, e soprattutto frequentare la scuola… e hanno ripreso con vero entusiasmo, cercando di recuperare quella creatività che è mancata durante il periodo di isolamento». F.M.