Ictus: riabilitazione insufficiente per un paziente su tre

«Tre anni fa a causa di un ictus avevo completamente perso la parola. Per me, che lavoravo come giornalista alla radio, è stata davvero una tragedia. I medici mi avevano dato poche speranze di recupero. Ma ho ricevuto un’assistenza eccellente e con le cure adeguate, i tanti sacrifici e le continue sedute di logopedia, sono riuscito a recuperare perfettamente e ho ripreso il mio lavoro». A raccontare la sua esperienza con una malattia invalidante come l’ictus è Andrea Vianello, oggi direttore di Radio 1 e presidente di ALICe, l’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale. Purtroppo non sempre la malattia viene diagnosticata e curata in tempo. Gli italiani colpiti da ictus vanno incontro a molte difficoltà nella fase di riabilitazione che segue l’evento acuto. L’89% dei pazienti dichiara di aver riscontrato miglioramenti, sia neurologici che fisici, in seguito ai trattamenti riabilitativi. Ma il 34% considera l’esperienza insufficiente e il 17% giudica scarsa la propria qualità di vita. La metà dei malati chiede inoltre più informazioni sulle terapie riabilitative e anche un rapporto più continuativo con lo specialista neurologo. Oltre il 38% inizia il recupero in una struttura sanitaria diversa rispetto a quella in cui è avvenuto il ricovero.

Questi dati sono emersi da un’indagine on line su 250 pazienti, assistiti in  strutture sanitarie dell’intero territorio nazionale. L’indagine, promossa da ISA (Italian Stroke Association) e AII (Associazione Italiana Ictus), è stata presentata al Ministero della Salute, in occasione della Giornata per la lotta alla Trombosi (20 aprile) e rientra nel progetto “Strike on Stroke, realizzato con il contributo di Ipsen SpA.

«L’ictus può essere sconfitto grazie alla prevenzione, a un intervento terapeutico tempestivo e alle cure innovative oggi disponibili», sottolinea Mauro Silvestrini, Presidente ISA-AII. «In Italia riusciamo a garantire un’ottima assistenza grazie alla preparazione dei medici specialisti e a una rete di centri di assoluto livello. Esistono tuttavia ancora margini di miglioramento su alcuni aspetti che sono fondamentali nella gestione di una patologia pericolosa ed invalidante come l’ictus. Fino al 38% dei pazienti presenta spasticità dopo oltre un anno dall’evento e le difficoltà nell’accesso alle terapie specifiche sono state ben evidenziate nella nostra indagine. Ci pare quindi importante proseguire in una campagna di informazione e sensibilizzazione incentrata proprio sulla riabilitazione e la qualità della vita». Tra le iniziative, è stato presentato anche uno spot di grande impatto, con l’attore Massimo Lopez (guarda lo spot e/o scaricalo). Nei mesi scorsi è stata inoltre realizzata una survey su 250 medici. Uno su tre ha ammesso di non avere a disposizione protocolli-linee guida per indirizzare i malati nei reparti di riabilitazione. Il 38% invece lavora in unità neurovascolari dove non viene effettuata una presa in carico riabilitativa, prima della dimissione del paziente. Sei medici su dieci ammettono inoltre di non sapere se esistono normative regionali per la definizione di un percorso riabilitativo.

«Problemi organizzativi e strutturali rendono difficile ottenere terapie in grado di migliorare sensibilmente la qualità di vita», prosegue il professor Danilo Toni, Past President ISA-AII. «Preoccupano anche i ritardi che si accumulano: per il 64% degli specialisti trascorrono in media più di sette giorni dal momento del ricovero in fase acuta all’arrivo nel reparto di riabilitazione. Quest’ultima è davvero una fase complessa della malattia e prevede  diversi possibili trattamenti: si può agire con lo stretching e il rinforzo muscolare, oppure con altri interventi fisici. La gestione del dolore viene controllata con la somministrazione di analgesici specifici. Esistono anche terapie farmacologiche contro la spasticità, come i miorilassanti ad azione periferica, tra cui spicca la tossina botulinica. Oggi viene considerata la cura più efficace contro la spasticità a cui vanno incontro quasi il 30% dei pazienti: ci permette infatti di trattare solo i muscoli interessati dal problema, favorendo così il recupero delle attività motorie. Considerando tutte queste opzioni, e le problematiche inerenti, sono necessari percorsi prestabiliti a livello regionale o nazionale. Solo così si potrà gestire in maniera uniforme la riabilitazione dei malati in tutte le Regioni».

Ogni anno in Italia 185mila persone vengono colpite da ictus che rappresenta la prima causa di disabilità e tra le prime tre di morte, insieme alle malattie cardiache e al cancro. Più di un milione di italiani, inoltre, vive con problemi di disabilità causati dall’ictus. «I più esposti al rischio della patologia sono gli uomini sopra i 65 anni tra i quali registriamo circa il 75% dei casi», interviene Paola Santalucia, Presidente Eletto di ISA-AII. «Ma sono in aumento anche casi di ictus nelle donne, in quanto vivono più a lungo. Il numero di pazienti è dunque destinato a crescere nei prossimi anni, insieme all’incremento dell’età della popolazione. Una riabilitazione organizzata deve essere una priorità assoluta da realizzare».

E’ stato ricordato anche l’impegno per un approccio comune a livello europeo da Francesca Romana Pezzella, Segretario ISA-AII e co-chair Stroke Action Plan for Europe (SAP-E) di ESO | European Stroke Organization. «Incontri come questi, in sedi istituzionali, sono necessari anche per rilanciare il SAP-E Europe che ha la finalità di limitare  entro il 2030 l’impatto della malattia, a partire dalla prevenzione primaria, organizzazione della cura dell’ictus acuto, prevenzione secondaria, riabilitazione, valutazione dei risultati dopo l’ictus. Le raccomandazioni contenute nel documento consentirebbero di ridurre del 10% i nuovi casi all’anno: solo per l’Italia potremmo avere 15 mila pazienti in meno».

Paola Trombetta

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