Tumori dell’ovaio e della prostata: approvata una nuova terapia mirata

Sono due tumori che hanno in comune l’alterazione di alcuni geni coinvolti nella riparazione del DNA, come BRCA1 e BRCA2: quello dell’ovaio che colpisce circa 5200 donne all’anno e quello della prostata, con 36 mila nuove diagnosi. Oggi la medicina di precisione segna una svolta nel loro trattamento. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha infatti approvato la rimborsabilità di olaparib, la molecola capostipite della classe dei PARP inibitori, nel trattamento dei pazienti affetti da tumore della prostata metastatico con mutazione dei geni BRCA1/2, dopo una precedente terapia, senza successo, con un agente ormonale. Olaparib, in combinazione con bevacizumab, è stato anche approvato nel trattamento di mantenimento di prima linea del carcinoma ovarico avanzato, che presenti un difetto nel meccanismo della  riparazione della doppia elica del DNA (HRD) presente in circa il 50% dei casi.

«La sopravvivenza a 5 anni nel tumore dell’ovaio è del 43%, anche perché troppe donne, circa l’80%, scoprono la malattia in fase avanzata», fa notare Giovanni Scambia, Direttore scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli di Roma. «Si tratta di uno dei tumori più aggressivi fra le neoplasie ginecologiche. Fortunatamente oggi abbiamo a disposizione terapie efficaci che permettono di tenere sotto controllo la malattia metastatica. Oltre alla chemioterapia, sono disponibili farmaci antiangiogenetici, che impediscono la crescita del tumore ed i PARP inibitori, tra cui olaparib, in grado di agire in maniera selettiva sulle cellule mutate che causano il tumore ovarico. La chirurgia rappresenta comunque la prima arma contro questa neoplasia. Negli stadi iniziali del tumore, si è assistito a un progressivo incremento dell’utilizzo di tecniche mininvasive, laparoscopiche e robotiche, con un vantaggio in termini di tollerabilità. Nella malattia avanzata, si pone la scelta tra la chirurgia primaria, cioè subito dopo la diagnosi, se il tumore è completamente asportabile, e quella di intervallo, preceduta dalla chemioterapia neoadiuvante, se la neoplasia non può essere eliminata in modo ottimale alla diagnosi. In caso di recidiva, è stato dimostrato che la chirurgia citoriduttiva, nella malattia platino sensibile, migliora la prognosi».

A novembre 2020, la Commissione Europea aveva approvato olaparib, in combinazione con bevacizumab, come terapia di mantenimento dopo la chemioterapia di prima linea, in base ai risultati dello Studio di fase III PAOLA-1, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “New England Journal of Medicine”. «Olaparib, in combinazione con bevacizumab, ha ridotto il rischio di progressione della malattia o morte del 67%», puntualizza Nicoletta Colombo, Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e Professore Associato all’Università Milano-Bicocca. «L’aggiunta di olaparib ha portato la sopravvivenza libera da progressione a una media di oltre 3 anni, cioè a 37,2 mesi rispetto a 17,7 con bevacizumab da solo, nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato HRD-positivo. Sappiamo che il 70% delle donne con malattia avanzata va incontro a recidiva entro due anni: per questo motivo è importante utilizzare terapie di mantenimento in grado di ottenere una remissione a lungo termine. I dati ottenuti con un follow-up a 36 mesi hanno mostrato un miglioramento significativo nel tempo alla seconda progressione di malattia, con una mediana di 50,3 mesi rispetto a 35,3 mesi con solo bevacizumab».

In Italia quasi 50 mila donne convivono con una diagnosi di carcinoma ovarico. «L’esecuzione del test HRD al momento della diagnosi assume un ruolo fondamentale – aggiunge la professoressa Colombo – poiché permette di identificare tempestivamente le pazienti che possono beneficiare di un trattamento in grado di controllare la malattia a lungo termine, ritardando la ricaduta, con buona qualità di vita. Le mutazioni dei geni BRCA rappresentano solo una parte dei difetti del sistema di ricombinazione omologa, e si ritrovano nel 50% delle pazienti con tumore ovarico avanzato e predicono la sensibilità agli inibitori di PARP. Conoscere lo status di HRD è fondamentale per la selezione delle pazienti che possano beneficiare del trattamento di prima linea personalizzato con olaparib in combinazione con farmaci antiangiogenici. Purtroppo però questo test non è ancora rimborsabile: insieme a molte Società scientifiche ci stiamo adoperando per renderlo tale e consentire a tutte le pazienti che hanno questa mutazione di poter accedere alla terapia con olaparib».

L’AIFA ha anche approvato la rimborsabilità di olaparib come monoterapia nei pazienti con carcinoma prostatico metastatico con mutazioni BRCA1/2, dopo l’insuccesso di una precedente terapia con un agente ormonale (enzalutamide o abiraterone). «Questa approvazione apre l’era della medicina di precisione anche nel tumore della prostata», afferma Giuseppe Procopio, Responsabile Oncologia Medica genito-urinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e coordinatore nazionale dello studio PROfound. «Nello Studio di fase III PROfound,pubblicato sul “New England Journal of Medicine”, olaparib ha più che triplicato la sopravvivenza libera da progressione, con una media di 9,8 mesi rispetto a 3 mesi con enzalutamide o abiraterone. Olaparib, inoltre, ha ridotto il rischio di morte del 31%, con una sopravvivenza globale media di 19,1 mesi rispetto a 14,7 mesi con l’agente ormonale. E sono favorevoli anche i dati sulla qualità di vita, aspetto molto importante da considerare soprattutto nella fase metastatica». In Italia gli uomini con una diagnosi di carcinoma prostatico sono 564 mila. «Lo sviluppo della malattia è spesso guidato dagli ormoni sessuali, gli androgeni, tra cui il testosterone», continua il professor Procopio. «La forma metastatica si manifesta quando il tumore cresce e si diffonde alle altre parti del corpo, nonostante la somministrazione della terapia di deprivazione androgenica per bloccare l’azione degli ormoni sessuali maschili. Il test BRCA, eseguito su sangue periferico o su tessuto tumorale, rappresenta uno step fondamentale nella diagnosi e nella decisione del trattamento del carcinoma prostatico metastatico, come stabilito anche nelle Raccomandazioni dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). Circa il 10% degli uomini presenta infatti una mutazione dei geni BRCA, consentendo di pianificare un percorso terapeutico adeguato, grazie alla disponibilità di una cura mirata ed efficace come olaparib».

«L’identificazione di queste varianti nei geni BRCA1/2 e della mutazione HRD in un uomo con carcinoma prostatico o in una donna con tumore dell’ovaio – conclude il professor Scambia– permette inoltre di intraprendere un percorso di consulenza oncogenetica nei familiari per identificare i portatori ad alto rischio e riuscire ad ottenere una “prevenzione a cascata”. A questi ultimi possiamo proporre programmi mirati di diagnosi precoce dei tumori associati alle sindromi a trasmissione familiare e strategie finalizzate alla riduzione del rischio, come l’asportazione chirurgica di tube e ovaie. È stato stimato che, in una neoplasia come quella dell’ovaio, priva di efficaci strumenti di screening, questo approccio possa portare nei prossimi 10 anni a una riduzione dell’incidenza del 40%».

di Paola Trombetta 

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