Giovanna Parravicini, 66 anni, laureata in Lettere Moderne, è ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana fondata nel 1957 da Padre Romano Scalfi con sede a Seriate (Bergamo) e direttore dell’edizione russa della rivista “La Nuova Europa”. Vive da più di 30 anni a Mosca dove lavora presso il Centro culturale “Biblioteca dello Spirito”. Ha scritto diversi libri, tra cui “Il cielo nel Lager”, la storia di una donna che ha vissuto tre anni in un lager sovietico e poi tre anni di confino in Siberia per le sue idee liberali. Ha anche curato numerose pubblicazioni sulla storia della Chiesa in Russia e una Storia dell’Icona in 5 volumi. Attualmente è in Italia e per il momento non può rientrare in Russia per il blocco dei voli, in seguito alla guerra contro l’Ucraina. L’abbiamo intervistata di passaggio dalla sua città natale, Seregno, dove è rientrata per motivi di salute della mamma. E in questi giorni sta tenendo conferenze in molte zone della Lombardia e anche in altre Regioni italiane per spiegare in prima persona cosa sta realmente accadendo in Russia.
Prima di partire, c’erano avvisaglie che si potesse scatenare una guerra di questa entità?
«Quando ho lasciato Mosca il 18 febbraio per venire in Italia, mai più avrei pensato che la situazione sarebbe precipitata a tal punto da rendere impossibile il mio ritorno in Russia. E soprattutto mai avrei immaginato che si potesse scatenare una guerra tanto crudele in così poco tempo. In realtà si sentivano voci su possibili interventi militari, ma si pensavano localizzati, tipo guerriglia, in alcuni territori limitati. Quello che sta accadendo non era certo immaginabile! Le immagini trasmesse dai telegiornali in Occidente sono veramente terrificanti: migliaia di morti, anche civili e bambini, edifici sventrati, ospedali bombardati, monumenti distrutti. Eppure la propaganda russa ha censurato molte di queste notizie e continua a diffondere messaggi di “operazione militare” per fermare le bande di “nazisti” ucraini…».
Cosa pensa la gente in Russia di questa guerra?
«Da quello che sento da colleghi e amici, la situazione è davvero molto preoccupante. Molti russi, soprattutto giovani professionisti e intellettuali, stanno lasciando la nazione e si stanno rifugiando in Georgia, Armenia, Bulgaria. Sta diventando difficile lavorare liberamente: molti giornali sono stati costretti a chiudere. La Novaja Gazeta, giornale indipendente russo diretto dal Premio Nobel per la Pace, Dimitrij Muratov, ha dovuto chiudere per le censure da parte del Governo. Ho saputo da un’amica docente universitaria di alcuni colleghi che stavano parlando della tragica situazione in Ucraina e sono stati richiamati e ammoniti dal rettore dell’università, rischiando la perdita del lavoro. Agli studenti vengono addirittura controllati i messaggi sui social e molti di questi, come Facebook e Instagram, sono stati oscurati. Daisondaggi sembra che la maggior parte dei russi sia favorevole a questa “operazione militare”, ma quanta libertà ha la gente di esprimere la sua reale opinione?Sugli autobus e per le strade di Mosca compaiono cartelloni con slogan propagandistici che inneggiamo a questa operazione contro gli estremisti ucraini. Nelle scuole si trasmette un messaggio di totale solidarietà alle scelte di Putin di “denazificare” l’Ucraina. Persino nelle scuole elementari si illustra la guerra dei russi con fumetti propagandistici in favore di questa “operazione militare”. Ed è incredibile come molti, soprattutto anziani che vivono in Russia e hanno magari i figli in Ucraina, approvino questa “missione militare” e non credano alle parole raccontate dei loro stessi figli, che parlano invece di omicidi, distruzioni, deportazioni, come se fossimo ritornati all’epoca di Stalin. Addirittura Putin ha fatto approvare una legge che punisce fino a 15 anni di reclusione chi osa parlare di “guerra” in Ucraina. Ma i massacri della popolazione inerme, i bombardamenti a tappeto di edifici civili, ospedali, scuole, addirittura depositi di generi alimentari non possono certo essere definite operazioni di pace…».
Sembra paradossale che proprio alla vigilia della Pasqua cristiana, che dovrebbe essere un periodo di riflessione e soprattutto di pace, sia scoppiata questa guerra crudele e ingiustificata, tra “fratelli”, dal momento che russi e ucraini appartengono alla stessa cultura e addirittura non molti anni fa allo stesso Stato… Come è possibile questo repentino cambiamento?
«Russi e ucraini sono sempre stati paesi confinanti, appartenenti quasi a uno stesso popolo. È come parlare degli abitanti di Lugano e di Como. C’erano treni da Mosca a Kiev come ci sono treni da Milano a Roma. La popolazione ucraina, però, ha sempre avuto una propria identità, in parte differente da quella russa. E tale identità è esplosa in questa guerra, come forma di autentico patriottismo e anelito alla libertà e all’indipendenza. Tra russi e ucraini ci sono comunque sempre stati rapporti di amicizia. E ancora adesso molti russi dicono agli amici ucraini di rifugiarsi in Russia che è più sicuro piuttosto che rimanere in una terra dove ci sono bande di “briganti ucraini”. Ma le persone che muoiono in Ucraina sono soprattutto civili inermi: donne, bambini, giovani, magari mentre stanno cercando di scappare e vengono colpiti di proposito dai soldati russi. E come possono le madri di questi soldati credere che i propri figli stiano partecipando a una “operazione di pace”? Pare addirittura che sia stata varata un’altra legge in cui si attesta che questa operazione sia “secretata” e quindi quando una famiglia viene a sapere della morte dei propri figli durante queste operazioni, non solo non viene loro restituito il corpo, ma addirittura non devono nemmeno riconoscere il decesso del proprio congiunto, come se mai fosse esistito. E questa è una crudeltà inaudita! Molte persone in Russia sono convinte che siamo ritornati in pieno clima staliniano: e anche quando parlo con i colleghi al telefono, c’è sempre il timore che la telefonata sia “intercettata”».
Nel Centro culturale dove lavori, ci sono anche molti sacerdoti, sia cattolici che ortodossi. Come sono i rapporti tra queste due fedi religiose? È vero che la domenica del perdono (6 marzo) il Patriarca della Russia Kirill ha fatto un intervento a sostegno di questa “iniziativa militare”?
«Il Centro culturale dove lavoro è cattolico/ortodosso: abbiamo tre membri fondatori, di cui due cattolici e uno ortodosso. Abbiamo proprio voluto nascere “ecumenici”. In realtà in Russia gli ortodossi sono l’80% della popolazione, ma solo il 2% è praticante. L’ortodossia è considerata un simbolo dell’essere russo. La gente comunque si ritiene ortodossa: magari fanno battezzare i figli, seguono le festività come la Pasqua che da loro si celebra una settimana dopo rispetto alla nostra. Gli ortodossi condividono con i cattolici tutti simboli di fede: i Dogmi, la Trinità, la Madonna, i Sacramenti e poi hanno mille anni di storia comune. La differenza è la guida spirituale che per noi cattolici è il Papa, mentre per la Chiesa russa ortodossa c’è il Primate. E proprio il Patriarca Kirill ha giustificato l’operazione di Putin considerandone il senso “metafisico”, ovvero “un’azione che vuole riportare i valori della tradizione religiosa ortodossa, contro il permissivismo e la corruzione del mondo occidentale”. Non tutti i sacerdoti per fortuna la pensano in questo modo e si stracciano le vesti di fronte a quello che sostiene Kirill. Lo stesso metropolita della Chiesa Ortodossa ucraina, che fa comunque parte della Chiesa Ortodossa russa, Onufrij, ha una posizione completamente diversa. Anche perché, quello che i russi stanno facendo, è di combattere una realtà che non esiste. Putin parla di “denazificare” l’Ucraina! Ma dove sono in realtà i nazisti? Forse ci saranno dei piccoli gruppi di estremisti, come ci sono del resto in molti altri Paesi europei. In ogni caso l’Ucraina non è certo uno stato nazista, e questa espressione di Putin è sicuramente un pretesto…».
Ma allora qual è il motivo reale di questa volontà di occupare l’Ucraina?
«Penso che il motivo reale sia l’idea imperialista: la Russia zarista non si è mai rassegnata ad essere una Federazione russa. Ci sono state le guerre cecene, la guerra lampo in Georgia nel 2008, c’è stata l’occupazione della Crimea nel 2014, il conflitto nel Donbass, iniziato nel 2014 e non ancora concluso. Durante la seconda guerra mondiale Stalin mise in atto un vero e proprio genocidio della popolazione in Crimea e, ripopolandola di russi e ucraini, la fece diventare parte della Repubblica sovietica russa. Nikita Krusciov decise poi di annetterla all’Ucraina, essendo molto più vicina geograficamente, rimanendo però parte dell’Unione Sovietica, dove governava Mosca. Ma nel 1991 l’Unione Sovietica si è sciolta e la Crimea è rimasta parte dell’Ucraina che nel frattempo era diventata uno stato indipendente. Si tratta comunque di situazioni politiche molto complesse, che hanno radici storiche nel passato. Oggi l’Ucraina è considerata il granaio d’Europa e possiede anche miniere di carbone, uranio e materie prime, soprattutto nella zona del Donbass. L’interesse economico è dunque fondamentale per la Russia. Come pure il timore che l’Ucraina possa entrare a far parte della Nato. Per questo la richiesta principale di Putin è quella di “denazificare e demilitarizzare” l’Ucraina: eliminare Zelenskyj, mettere un governo fantoccio filo-russo e avere il controllo totale del Paese, un’Ucraina “russificata”. Per l’Ucraina invece entrare nella Comunità Europea e nella Nato significa avere una maggiore garanzia di protezione: non è certo una scelta aggressiva contro la Russia, come invece è stata interpretata da Putin. L’Ucraina comunque è un pretesto per impostare un nuovo riequilibrio di potere a livello mondiale, i cui protagonisti sono la Russia, la Cina e gli Stati Uniti d’America».
A tuo parere si intravedono spiragli per risolvere la situazione? Come vedi il futuro della Russia e dell’Ucraina dopo questo conflitto?
«Penso che da parte della Russia non ci sia alcuna volontà di fermarsi, per lo meno in tempi brevi. I politici e gli oligarchi sono d’accordo con Putin. Non sembrano esserci reali segni di voler trovare accordi diplomatici. Addirittura pochi giorni fa è stato approvato in Parlamento un nuovo disegno di legge che dice di cambiare il concetto di “compatriota” che diventa chiunque sia “russofono” e bisogna dunque proteggere i suoi diritti. Se ci sono russofoni in Lettonia, Lituania, Estonia, i russi rivendicano il diritto e il dovere di ingerirsi. E questo fa venire in mente la questione dei Sudeti (1938), quando Hitler ha smembrato la Cecoslovacchia perché c’era una zona germanofona… Un pretesto da cui poi è partita l’occupazione di tutti gli altri territori. Sicuramente c’è alla base questa idea imperialista e ci sono le capacità militari per poterla attuare, avendo anche armi non convenzionali come la bomba atomica. Ma dal punto di vista economico la situazione della Russia è molto dipendente dall’Occidente… E poi ci sono trattati internazionali che devono essere rispettati. Per esempio col trattato di Budapest del 1994 l’Ucraina si era impegnata a demilitarizzarsi, eliminando le testate nucleari russe che erano sul territorio ucraino. Aveva garantito la restituzione di tutte le testate, purché la Russia si impegnasse a non infrangere i confini. E invece la Russia ha violato anche questo impegno internazionale».
A questo punto forse solo un “miracolo” potrebbe far cessare il fuoco e far riprendere seriamente le trattative diplomatiche. Le voci su una possibile visita di papa Francesco in Ucraina potrebbero indurre Putin a desistere dai suoi intenti distruttivi?
«Il Papa ha fatto tantissimo. Fin dai primi giorni si è recato all’Ambasciata russa presso la Santa Sede. Poi ha voluto parlare con il Patriarca Kirill. E l’ipotesi di recarsi personalmente in Ucraina sarebbe davvero un gesto estremo di sostegno all’Ucraina e totale condanna a Putin. Già il Papa ha inviato a Kiev il cardinale Krajewski per solidarietà con il popolo ucraino. Bisogna però capire se questo viaggio possa essere positivo oppure controproducente. A questo punto, per far cessare la guerra, occorre riprendere la via diplomatica ed avere garanzie internazionali che gli accordi vengano rispettati: forse entrambe le parti in gioco dovranno rinunciare a qualcosa. Putin del resto non può ritornare a mani vuote, perché all’inizio pensava a una resa senza condizioni da parte dell’Ucraina. Mai più si aspettava una resistenza così coraggiosa e continua. Io stessa non pensavo che l’Ucraina potesse resistere così tanto militarmente. Mi sono resa conto nel concreto quando ho telefonato alla ex-badante di mia mamma, a pochi giorni dall’inizio della guerra, per esprimere solidarietà a lei e ai suoi parenti che vivono vicino a Kiev. E lei mi ha risposto: “È davvero una situazione terribile: cadono missili, sentiamo continui spari e dobbiamo scendere nei rifugi sotterranei. Ma io credo che l’Ucraina resisterà e vincerà!”».
di Paola Trombetta