I casi di epatite nei bambini: a che punto siamo

Il primo allarme risale ad aprile: a inizio del mese, l’Oms notifica nel Regno Unito 10 casi di epatite acuta grave di origine sconosciuta in bambini di età inferiore ai 10 anni, precedentemente sani. La preoccupazione dilaga quando alcuni casi si manifestano anche in Italia: 4 bambini nel giro di poco tempo. Ma gli esperti tranquillizzano: può essere un evento “normale”, perché ogni anno si attendono fino a 8 diagnosi di epatite. Siamo al momento entro la “soglia di sicurezza”: sarebbe critico, dicono, se venisse superato questo numero e in tempi rapidi: un segnale che qualcosa sta succedendo, che occorre prendere le adeguate misure, che il contesto va studiato e monitorato.

Cos’è innanzitutto l’epatite? Si tratta di una infiammazione del fegato dovuta nella maggior parte dei casi a una infezione virale, che può dipendere da diversi fattori: genetici, dall’esposizione ad agenti ambientali o chimici tossici, alcol e droghe. Nei bambini l’epatite fulminante (acuta) è un evento raro, pertanto le informazioni ad oggi raccolte tendono a confermare che le manifestazioni si associano a una componente virale, un adenovirus, e non presumibilmente a altre cause come cibi consumati, abitudini e luogo di provenienza dei piccoli pazienti. Ad oggi non è ancora noto quale sia l’agente patogeno che ha provocato i casi, tuttavia sarebbe scorretto parlare di epatiti “mai viste prima”. «Categorizziamo questa epatite – spiega Giuseppe Indolfi, epatologo dell’Ospedale Meyer di Firenze e professore associato di Pediatria all’Università cittadina – come “epatite non-A e non-E”. Essere arrivati a questa esclusione, significa che dal punto di vista diagnostico è stato fatto tutto il possibile, ma di cui ancora non si è identificata una causa specifica all’origine. Rientra tuttavia in una condizione che ben conosciamo, non nuova alla medicina».

Allarme, dunque, rientrato? Non è ancora possibile dirlo e ci si trova ad affrontare una situazione difficile: da un lato il persistente timore da parte di genitori e della comunità verso quest’epatite di causa ignota, dall’altro la maggiore fiducia dei medici, stante l’assenza di nuovi casi, dopo la decina circa di sospetti, segnalati come probabili in Italia dal direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza poi diventati appunto 4 accertati: «Al momento – ha dichiarato Anna Maria Staiano, presidentessa della Società italiana di pediatria (SIP) – non ci sono ulteriori segnalazioni rispetto a quelle indicate ufficialmente e la situazione è sotto controllo, grazie anche alla sorveglianza messa in campo dalle società di pediatria». Intanto si sta lavorando per comprendere la causa dell’epatite a insorgenza ignota: gli adenovirus, infatti, molto diffusi nell’uomo e soprattutto nei bambini, in genere causano sintomi lievi, tipicamente respiratori  come laringite, tonsillite, tosse, altre volte provocano congiuntiviti, disturbi gastrointestinali o cistiti, difficilmente esitano in una epatite, come precisa anche il Ministero della Salute in una nota, che è una complicazione rara, più possibile tra gli individui immunocompromessi. «Potrebbe esserci un legame con il Covid – aggiunge Staiano – ma non in tutti i casi è stata confermata la presenza del virus». Al momento, quindi, resta una ipotesi: si parla della comparsa di una nuova variante in circolazione che causa una grave epatite nei bambini, o di una variante comunemente in circolazione che sta colpendo i bambini più piccoli forse immunologicamente non protetti per la minore circolazione di Adenovirus durante la pandemia Covid-19.

Le ipotesi al vaglio sono diverse: «Si esclude l’origine alimentare – chiarisce Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) – perché non si è registrato un cluster familiare o ristretto a una città, ma diversi casi sparsi in giro per il mondo. Anche sull’ipotesi che possa esserci un’origine immunologica o autoimmune, la numerosità dei casi eccede quella attesa. Resta dunque l’origine infettiva ma va dimostrata, soprattutto quella che punta sull’adenovirus, visto che non in tutti i casi oggi confermati c’è la presenza dell’adenovirus. Infine c’è anche la possibilità, difficile però, che possa esserci dietro un adenovirus mutato». Si esclude anche un collegamento con i vaccini anti-covid: anche se alcuni (in Italia AstraZeneca e Janssen) utilizzano adenovirus inattivati come vettori per consegnare all’organismo le informazioni per produrre la proteina spike, i vettori stessi sono stati geneticamente modificati in modo da non essere in grado di proliferare o dare luogo infezioni.

Nel frattempo si stanno prendendo i giusti provvedimenti: il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, ha riferito che è stata costituita un’unità di crisi cui partecipano oltre al ministero, Istituto superiore di sanità, Regioni, Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), Nas e società scientifiche – i maggiori esperti del settore – al fine di monitorare attentamente la situazione e poter uniformare e coordinare le misure di controllo e sanità pubblica sul territorio nazionale. In attesa delle decisioni ufficiali, ciascuno può fare la propria parte: per un’autotutela, restano valide le raccomandazioni diffuse dagli esperti. Ovvero provvedere all’igiene costante delle mani, come ormai abitudine in epoca di Covid e il monitoraggio di possibili sintomi e segnali di epatite: urina scura, feci chiare, colorito giallognolo degli occhi, dolori muscolari, perdita di appetito in bambini che presentino i sintomi di un’influenza gastrointestinale. Al primo sospetto è bene comunque parlarne con il medico/pediatra di famiglia o con il medico di riferimento.

di Francesca Morelli

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