Diabete: un piccolo sensore sul braccio per misurare la glicemia

«Ho ricevuto la diagnosi di diabete quando avevo 12 anni, dopo un periodo in cui ero dimagrita moltissimo (pesavo 35 chili ed ero già alta 1 metro e 70): avevo molti disturbi, come fame insaziabile, sete infinita, continuo bisogno di urinare, secchezza della bocca, alito dolciastro. Il mio medico pensava si trattasse di problemi ormonali. Invece un’amica di mia mamma, medico anche lei, mi aveva fatto fare l’esame della glicemia, che registrava già valori elevati, e la diagnosi di diabete era finalmente diventata una certezza. Da lì il ricovero in ospedale e l’avvio della terapia con insulina. Da dieci anni sono in cura, ma il problema più grosso per me era la misurazione della glicemia e la dipendenza continua dalle iniezioni sottocute di insulina. Intorno ai 16 anni ho avuto una crisi di totale ribellione dalla malattia e mi sono rivolta a uno psicologo. All’epoca avevo iniziato a fare la modella e il condizionamento causato da questa malattia era davvero molto fastidioso. Ricordo addirittura un giorno, appena arrivata all’aeroporto di New York, in cui non riuscirono nemmeno a prendermi le impronte digitali, poiché la pelle dei miei polpastrelli si era talmente irrigidita a causa dei continui prelievi per la glicemia. Finalmente nel 2016 ho potuto applicare sul braccio il sensore (Free Style Libre 2) per il monitoraggio della glicemia: un vero sollievo dai continui e assillanti prelievi sui polpastrelli. Sono stata una delle prime persone a indossarlo, perché voglio sempre provare le novità, e mi sono trovata molto bene, anche se ho dovuto combattere contro il pregiudizio di alcuni stilisti che non volevano vedermi sfilare con il sensore, pretendendo addirittura che lo togliessi. Dieci giorni fa ho cambiato il dispositivo e ora indosso il Free Style Libre 3, di ultima generazione, più piccolo e meno visibile del precedente. Mi sento assolutamente libera e per nulla condizionata. E posso finalmente dormire sonni tranquilli, perché, in caso di crisi ipoglicemica, il sensore mi avverte. Il massimo per il futuro sarebbe di poter collegare questo sensore con un microinfusore di insulina, in grado di iniettare la quantità necessaria all’organismo in quel momento. Penso che tra qualche anno questo desiderio potrebbe diventare realtà».

È l’augurio di Prisca Hartmann Gulienetti, oggi 23 enne, fotomodella con diabete che è diventata la testimonial di questo dispositivo: non lo nasconde nemmeno durante le sfilate di moda; ma anzi lo esibisce senza timore come spunto per parlare della sua malattia.
Con l’aiuto di alcuni specialisti, cerchiamo di capire cos’è questo dispositivo e come funziona. FreeStyle Libre 3 è l’ultimo nato e si affianca agli altri due dispositivi (Flash glucose monitoring) ampliando il ventaglio delle soluzioni disponibili per il monitoraggio del glucosio con sensori nelle persone con diabete tipo 1 e tipo 2. «Questi dispositivi bio-indossabili, permettendo un controllo accurato e continuo dei valori, possono aiutare il medico e le persone con diabete, in particolare di tipo 1, a interpretare meglio l’andamento delle glicemie ed evitare episodi di ipoglicemia», dichiara il dottor Riccardo Schiaffini, diabetologo dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. «Sono indicati in particolare per bambini e adolescenti, per gestire al meglio il monitoraggio del glucosio, da parte dei genitori, anche a distanza, ed evitare crisi ipoglicemiche. I pazienti stessi possono visualizzare il proprio glucosio con una rapida occhiata al cellulare, senza necessità di scansionare il sensore e possono prendere decisioni più velocemente».
«I dispositivi medici per il monitoraggio del diabete con sensori entrano sempre più nella nostra pratica clinica, anche tra i pazienti con diabete tipo 2 in terapia insulinica, con evidenti vantaggi rispetto ai sistemi convenzionali», aggiunge il professor Emanuele Bosi, diabetologo dell’Ospedale San Raffaele di Milano. «Lo conferma anche un nostro recente studio condotto in 16 centri italiani su persone con diabete di tipo 2 in terapia insulinica multiiniettiva. I pazienti che utilizzavano il sensore indossabile per il monitoraggio flash della glicemia avevano un miglior controllo sull’emoglobina glicata rispetto ai pazienti che usavano il metodo convenzionale di auto-monitoraggio glicemico mediante glicemia capillare. Con queste tecnologie le persone acquistano maggiore consapevolezza e avere la glicemia sotto controllo aiuta a gestire meglio il diabete».

La tecnologia FreeStyle Libre 3 fornisce letture in continuo del glucosio, inviate automaticamente minuto per minuto via bluetooth agli smartphone, grazie al sensore piccolo (è come una moneta da 5 centesimi). Il sensore è semplice da applicare sulla parte posteriore del braccio, fino a un massimo di 14 giorni, grazie a un apposito applicatore, eliminando la necessità di dolorose punture sui polpastrelli. Oltre al sensore, il sistema include l’app FreeStyle Libre 3, concepita per consentire agli utenti di ricevere e visualizzare in tempo reale i dati del glucosio, lo storico della glicemia e le frecce di tendenza. Gli utilizzatori possono anche impostare allarmi opzionali e notifiche che avvisano nel momento in cui si oltrepassano i livelli di glucosio impostati. L’app si integra con l’ecosistema digitale FreeStyle Libre, che permette agli utilizzatori di condividere i dati del glucosio con il proprio medico e i caregiver. «Il diabete è un esempio perfetto di come la tecnologia digitale possa aiutare nel migliorare la gestione e contribuire a un beneficio sugli esiti clinici, e questo si è visto bene durante i due anni di pandemia», puntualizza il dottor Cesare Berra, diabetologo dell’IRCCS MultiMedica di Milano. «Grazie all’impiego di soluzioni sempre più connesse e semplici da usare, anche per persone non particolarmente “digitali”, l’utilizzo di FreeStyle Libre permette di caricare automaticamente sul cloud i dati relativi alla glicemia, permettendo al medico di visualizzarli da remoto in telemonitoraggio e tramite il servizio di telemedicina: il paziente e il diabetologo possono comunicare e interagire anche a distanza, con la possibilità di alternare visite, sia da remoto che in presenza nel corso dell’anno. Tutti strumenti che, se correttamente impiegati, possono davvero permettere di gestire meglio una patologia cronica e complicata come il diabete».

di Paola Trombetta

In aumento la rinuncia delle cure, soprattutto tra le donne

Il diabete è sempre stata una malattia più diffusa tra i maschi, ma nel 2020 la percentuale di donne con diabete ha raggiunto quella degli uomini, attestandosi al 5,9%. A dispetto di questo aumento, sono proprio le donne a rinunciare più spesso alle prestazioni sanitarie, anche in presenza di diabete e di altre malattie croniche, ovvero il 22,7% contro il 17,2% degli uomini. Lo documenta la quindicesima edizione dell’Italian Diabetes Barometer Report La pandemia del diabete tipo 2 e il suo impatto in Italia e nelle regioni”. Questo andamento è spiegabile con una pluralità di motivi, tra cui un ruolo importante lo gioca sicuramente la maggior longevità delle donne, tanto che il tasso aggiustato per età fa sì che la prevalenza tra le donne sia più bassa, ovvero del 4,7% rispetto al 5,5% tra gli uomini. Oltre alla maggior longevità, nelle donne hanno un maggior impatto le disuguaglianze socioeconomiche; considerando il titolo di studio, per esempio, nella fascia di età 45-64 anni, è stata riscontrata una prevalenza tre volte più elevata tra le donne con bassa istruzione: il 5,8% rispetto l’1,8% tra le più istruite. Negli uomini la differenza è sempre marcata, ma più contenuta, ovvero si passa dal 7,4% al 4,3%. Lo stesso per il reddito: nelle donne over 45 la percentuale con basso reddito che soffre di diabete si attesta all’11%, rispetto al 6,4% tra chi ha un reddito maggiore.

«Dati analoghi sono stati presentati anche in ambito oncologico relativamente agli Stati Uniti, durante il recente congresso dell’American Society of Clinical Oncology», commenta la Professoressa Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology Italy. «Sono dati che indicano il peso delle disparità sociali per l’insorgenza di malattie croniche, come il diabete, dove le persone maggiormente colpite sono quelle in condizioni socioeconomiche più disagiate e spesso si tratta di donne. Bassa istruzione e scarso reddito si associano spesso a stili di vita non salutari, come cattive abitudini alimentari, sedentarietà, insufficiente ricorso alla prevenzione primaria e secondaria, maggior rischio di obesità e di insorgenza di malattie metaboliche”. Inoltre, continua la Professoressa Berardi. Tali condizioni possono ridurre le opportunità di accesso a servizi e prestazioni sanitarie di qualità, o causare il ritardo nell’accesso ai servizi per la presenza di lunghe liste di attesa». Ovviamente anche i motivi legati al Covid-19 sono stati causa di rinuncia a prestazioni sanitarie negli ultimi anni, anche in questo caso più frequentemente nelle donne rispetto agli uomini. Se è vero che le donne vivono più a lungo degli uomini, è anche vero che trascorrono meno anni in buona salute. Per esempio, le disparità salariali o pensionistiche di genere mettono le donne anziane in particolare a rischio di povertà ed esclusione sociale, fattori che creano ostacoli per l’accesso alle cure. P.T.

Investire di più nei trattamenti su tutto il territorio

Il diabete è una pandemia in continuo aumento: in Europa colpisce 62 milioni di persone ed è la quarta causa di morte; in Italia sono quasi 4 milioni le persone con diabete ed è la causa iniziale o concausa di oltre 80 mila morti ogni anno. La qualità dell’assistenza diabetologica italiana è tra le migliori a livello mondiale, ma ci sono dei margini di miglioramento; è giunto il momento di investire per garantire un trattamento uguale per tutti sul territorio. Si tratta di una pandemia silenziosa con importanti costi sociali che è destinata a crescere: basti pensare che dal 2000 ad oggi i casi di diabete sono raddoppiati nel nostro Paese. Attualmente la qualità dell’assistenza diabetologica italiana è tra le migliori a livello mondiale, ma ci sono dei margini di miglioramento, per questo è giunto il momento di investire per garantire un trattamento uguale per tutti sul territorio. Su questi temi si sono confrontati esponenti di Istituzioni, società scientifiche ed esperti durante il 15° Italian Diabetes Barometer Forum, dal titolo “Diabete e PNRR: prima le cure”, organizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation (IBDO Foundation) e Intergruppo Parlamentare “Obesità e Diabete”, in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e con il contributo di Novo Nordisk, nell’ambito del programma Driving Change in Diabetes.

«La salute è stata al centro delle attenzioni del nostro paese negli ultimi due anni e, mai come adesso, sono emerse nettamente le disuguaglianze assistenziali, di presa in carico e di accesso alle cure delle singole Regioni», commenta Ketty Vaccaro, Vicepresidente IBDO Foundation. «Si è capito che non è stato fatto abbastanza: occorre investire molto di più e meglio per ridurre drasticamente le differenze, perché tutti i cittadini, soprattutto i malati cronici come chi ha il diabete, hanno diritto di ricevere cure e terapie omogenee sul territorio nazionale. È necessario ripensare alla rete specialistica italiana e definire un piano di gestione delle malattie croniche più moderno ed efficace».

«Il diabete, essendo una malattia cronica, necessita di sostegno continuo. È stato dimostrato che avere un’adeguata assistenza specialistica multiprofessionale può portare a una riduzione del 19 per cento della mortalità per tutte le cause legate al diabete, considerando che questa malattia provoca in Italia ogni anno il 3 per cento delle morti totali, è allarmante e preoccupante sapere che solo il 30 per cento di chi ne è affetto riceve un’assistenza adeguata», afferma Agostino Consoli, Presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID). «Per questo motivo, la Società Italiana di Diabetologia e l’Associazione Medici Diabetologi (AMD), hanno proposto un nuovo modello di assistenza con azioni che rafforzino i presidi territoriali con team multi-funzionali».

«L’assistenza diabetologica è il fiore all’occhiello del nostro Sistema Sanitario Nazionale, ma è sempre possibile e, in seguito all’emergenza da Covid-19 necessario, potenziarla migliorando il rapporto tra l’assistito e il territorio», aggiunge Graziano Di Cianni, Presidente dell’Associazione Medici Diabetologi. «Dobbiamo garantire una migliore collaborazione tra strutture diabetologiche e la medicina generale e investire nella formazione del personale e nello sviluppo di teleconsulti e teleassistenza per facilitare il dialogo medico-paziente e il confronto tra professionisti». P.T.

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