“Noi nasciamo tutti come piccoli esploratori, facendo mille domande; poi però, pian piano, con l’ansia di sembrare inadeguati, ci ritraiamo e la scienza comincia a diventare qualcosa per pochi. Ragazze, studiate Fisica: vi dà dei superpoteri! Le materie Stem (Scienze, Tecnolgia, Ingegneria, Matematica) rappresentano la straordinaria occasione di occupare spazi dove si rende possibile il futuro e si può contribuire alle grandi sfide di domani”. Parola di Ersilia Vaudo Scarpetta, 58 anni, sposata, con due figli (Francesco 22 anni e Caterina 21, ) astrofisica e Chief diversity officer all’Agenzia Spaziale Europea (ESA) dove lavora dal 1991. La sua missione è portare le ragazze nello spazio (passando per le lauree Stem) e raggiungere pari opportunità in lavori strategici. Nata e cresciuta in una piccola città sul mare, Gaeta, ha trascorso parte della sua vita professionale negli Stati Uniti e ora vive a Parigi, sede centrale dell’ESA. Una storia, la sua, che dimostra come si possa e si debba “puntare più in alto, fino alle stelle”.
Le è stata affidata l’organizzazione della 23ª Esposizione Internazionale: “Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries. Cosa aspettarci?”, fino al 20 novembre alla Triennale di Milano.
«L’esposizione vuole essere un invito ad assumere un nuovo atteggiamento rispetto allo sconosciuto. Ha l’obiettivo di far riflettere, incuriosire, porsi domande. Il tutto mettendo a sistema competenze, culture e punti di vista diversi: designer, architetti, artisti, drammaturghi e musicisti. Conosciamo soltanto il 5 % dell’universo; il resto, l’immensità di questo simbolico 95% di sconosciuto, si offre come una magnifica occasione di conoscenza. E’ una promessa di emozioni e stupore. Confrontarsi con “lo sconosciuto” ci porterà ad uscire dalla zona di comfort e scoprirci piccoli e fragili davanti alla vastità di ciò che ci sfugge e ci aiuterà magari a rovesciare la nostra idea del mondo ed aprire la mente. Per secoli di fronte allo sconosciuto abbiamo reagito con uno spirito di conquista che ha inaugurato un lungo ciclo di colonizzazione e di mortificazione di spazi, ambienti e culture. Oggi l’urgenza è cambiare prospettiva: dobbiamo superare la nostra visione antropocentrica e avere l’umiltà di sentirci parte di qualcosa di più grande, senza essere in una posizione dominante. Ricominciamo a interrogarci, a cercare, a imparare. Dobbiamo coltivare dubbi e non rinchiuderci nelle certezze».
Da anni lei è in prima linea nel sostenere l’inclusione e la parità di genere nel mondo della scienza. Il suo lavoro all’ESA è incentrato soprattutto sulla valorizzazione delle diversità e dell’inclusione in ambito spaziale.
«Come organizzazione internazionale europea siamo consapevoli del valore della diversità, cruciale per promuovere innovazione e per incoraggiare lo sviluppo di nuove idee: diversità di geografia, di background culturale, di genere. Abbiamo 22 paesi che parlano più di 14 lingue diverse, che mettono insieme competenze varie. E’ solo grazie al contributo del tesoro di talenti europei che si realizzano obiettivi straordinari, impossibili da raggiungere con lo sforzo di singole nazioni, come far atterrare un piccolo robot su una cometa che gira su se stessa a 500 milioni di chilometri o mandare sonde su Marte. Una delle sfide più importanti oggi è quella di incoraggiare le ragazze a perseguire studi nelle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) che saranno sempre più indispensabili non solo nel mondo del lavoro ma anche per una cittadinanza più consapevole. Sono queste competenze che, negli anni a venire, faranno la differenza e non è possibile pensare ad un futuro che non includa i talenti di tutti. Che le donne siano sotto-rappresentate nelle discipline tecno-scientifiche è purtroppo, ancora oggi, un dato di fatto. Benché costituiscano ormai la maggioranza dei laureati, sono ancora troppo poche le ragazze (il 39% nei Paesi OCSE) che scelgono le STEM, materie che continuano a essere percepite come “poco adatte” al genere femminile. Risulta evidente che siamo di fronte a un problema culturale, non certo di competenze».
Cosa frena le ragazze nella scelta di queste discipline?
«Gli stereotipi di genere pesano ancora: le materie scientifiche continuano infatti a essere percepite dalle ragazze come “poco adatte” a loro. Purtroppo su questo tema l’Italia ha un altro record poco invidiabile: la diversità di competenze in matematica tra i ragazzi e le ragazze adolescenti è la più grande di tutti i Paesi OCSE. Questo senso di inadeguatezza comincia a formarsi molto presto: il tessuto sociale, le famiglie e il mondo dell’istruzione, a partire dai primi anni della scuola d’infanzia, porta a promuovere percorsi, suggerire inclinazioni e legittimare atteggiamenti differenti in base al genere, e non alle singole potenzialità. Una volta che le ragazze restano fuori, poi non vanno a scegliere fisica all’università. A questo bisogna porre rimedio. Sono convinta che solo una presenza più forte di donne nelle discipline tecnico-scientifiche, a cui sono associate le professioni a più alto impatto economico, con elevati tassi occupazionali e progressioni salariali significative, possa garantire le pari opportunità e mettere in moto una rivoluzione, profonda. Non è solo una questione di destini individuali: sono gli stessi settori economici e della ricerca che perdono e continuano a perdere l’apporto e il contributo unico delle donne, della loro visione e analisi».
Lei perché ha scelto di studiare Fisica?
«Devo dire che in casa l’interesse per la scienza non è mai mancato. Figlia di un capitano di marina mercantile e mamma laureata in Chimica e Biologia, una rarità per l’epoca, ha sempre cercato di incoraggiare me e i miei fratelli a sperimentare e sviluppare un’autentica passione per le questioni scientifiche. Lasciava scritte in cucina sui barattoli le formule chimiche di quello che ci poteva servire. Il sale, lo zucchero, l’acqua, tutto era una formula chimica; in pratica un linguaggio con il quale abbiamo familiarizzato fin da piccoli. Ero appassionata di Filosofia e Letteratura, ma ho deciso di dedicarmi allo studio di quella che mi pareva la disciplina più impegnativa e stimolante, ma che mi consentiva di pormi delle domande, di sapere di più, di conoscere altro: la Fisica. Mi esaltava l’idea di essere solo un puntino, un istante, in un cosmo indifferente e muto che, comunque, avrei provato a scoprire. Sono cresciuta a Gaeta, guardavo il mare e mi interrogavo rispetto a cosa ci fosse oltre l’orizzonte. Mi sono laureata con una tesi in Astrofisica all’Università La Sapienza; ho lavorato successivamente su esperimenti di Cosmologia per la misura della radiazione di fondo cosmico».
Anche nelle missioni spaziali, la parità di genere è una chimera. Al momento solo circa il 15% degli astronauti sono donne.
«Come ESA siamo fortemente impegnati a promuovere le carriere spaziali, che rappresentano un’enorme ricchezza di possibilità di contribuire alle sfide di domani, in tanti campi diversi. Di recente abbiamo chiuso la prima fase della nuova campagna di selezione astronauti, che ha registrato una maggiore inclusività rispetto al passato: al bando, aperto nel marzo 2021, hanno partecipato oltre 23mila aspiranti da tutta Europa, tra cui circa 5400 donne: il 24% sul totale. Questo risultato, seppur possa sembrare ancora lontano dall’obiettivo della parità di genere, ha superato le più rosee aspettative dell’Agenzia: è una percentuale più alta rispetto alle precedenti selezioni in cui avevamo un rapporto di uno a sei rispetto agli uomini. Oggi siamo una su tre. Un bel risultato. Dopo la prima scrematura, il 39% delle candidate è stata ammessa alla seconda fase della selezione. L’annuncio dei risultati finali è previsto in autunno».
Intanto i riflettori mediatici sono puntati su Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana a entrare negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea. Lo scorso aprile è tornata per la seconda volta nello spazio con la missione Minerva sulla Stazione Spaziale Internazionale…
«Nel corso della missione (il rientro è previsto a settembre) nei laboratori della Stazione Spaziale Internazionale, Samantha porterà avanti diversi progetti di ricerca di primaria importanza in diversi settori della medicina, in particolare quello legato allo studio delle conseguenze dello stress ossidativo, potenzialmente utili anche per patologie “terrestri” come l’invecchiamento e il morbo di Parkinson, fino allo sviluppo delle cellule ovariche».
Lo scorso febbraio ha fondato, insieme ad Alessia Mosca (già europarlamentare ), l’Associazione no profit “Il Cielo Itinerante” sostenuta dall’ Unicef..
«Un pullmino e 4 telescopi in viaggio in tutte le regioni d’Italia per accendere la curiosità e l’immaginazione di ragazze e ragazzi. La possibilità di scoprire il cielo grazie a telescopi professionali può mettere in atto una trasformazione profonda».
Lei quando oggi guarda il cielo stellato, che emozione prova?
«Un senso di appartenenza a qualcosa di più grande».
di Cristina Tirinzoni