È una malattia ancora poco riconosciuta e spesso sottovalutata. Eppure sono circa 600 mila gli italiani che soffrono di scompenso cardiaco: di questi circa la metà sono di sesso femminile e la patologia è responsabile del 35% dei decessi per malattie cardiovascolari nelle donne in tutte le classi d’età. Basti pensare che in Italia le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari sono al primo posto come causa di morte nelle donne, con 37 mila decessi all’anno, contro i 12 mila per tumore al seno. Il rischio cardiovascolare non può più essere considerato come un problema maschile. Per questo diventa sempre più importante migliorare tra le donne la conoscenza dei fattori di rischio, dei sintomi legati alle malattie cardiovascolari, in particolar modo allo scompenso cardiaco, sottolineando l’importanza dell’informazione e del dialogo tempestivo con il medico per una corretta e immediata presa in carico.
E’ stato questo il tema del Media Talk “Donne e Salute. L’importanza di seguire il cuore. Rischio cardiovascolare e malattie metaboliche nelle donne: il punto su sintomi e presa in carico” promosso da Boehringer Ingelheim ed Eli Lilly che si è tenuto a Milano in occasione della Giornata mondiale del Cuore (29 settembre). Durante l’evento la Professoressa Nadia Aspromonte, Responsabile UOS “Scompenso Cardiaco”, Dipartimento Scienze Cardiovascolari del Policlinico Gemelli di Roma, ha presentato e commentato un’analisi della letteratura scientifica internazionale che indaga il rischio di scompenso cardiaco nelle donne e compara la tempestività nella diagnosi e nella presa in carico, rispetto agli uomini.
«Lo scompenso cardiaco è una patologia cronica caratterizzata dalla difficoltà del cuore di poter svolgere la sua normale funzione meccanica e fornire una circolazione adeguata a soddisfare le richieste di sangue ossigenato da parte dell’organismo», spiega la professoressa. «E’ in genere causato da una combinazione di patologie e fattori di rischio che danneggiano la funzionalità della pompa cardiaca. Tra queste l’ipertensione arteriosa, l’infarto miocardico, il diabete e l’obesità. Secondo i dati presi in esame, nonostante questa patologia colpisca prevalentemente gli uomini, l’incidenza dello scompenso cardiaco con funzione sistolica mantenuta integra nelle donne è doppia rispetto alla popolazione maschile e la prevalenza della malattia è maggiore nelle donne ultra 79enni rispetto agli uomini nella stessa fascia d’età, ma la diagnosi avviene in ritardo, perché i sintomi sono spesso trascurati». “E’ troppo stressata, affaticata, ansiosa: deve tranquillizzarsi e riposarsi di più”: sono frasi comuni che molte donne con scompenso cardiaco si sentono dire dai medici. Ma non solo. «La diagnosi di questa malattia è più tardiva rispetto agli uomini anche a causa di una sottovalutazione da parte delle pazienti di sintomi comuni come affaticamento e dispnea e altri non specifici che possono essere confusi con quelli legati a comorbidità come obesità, ipertensione arteriosa, diabete, distiroidismo, depressione e fibrillazione atriale», aggiunge la professoressa. «Un motivo in più per informare adeguatamente le donne e convincerle, in presenza di sintomi persistenti, a rivolgersi, senza esitazione al proprio medico o al cardiologo di fiducia. I fattori di rischio per lo scompenso cardiaco sono simili negli uomini e nelle donne ma, in queste ultime e specialmente nelle donne in post-menopausa, includono ipertensione, cardiopatia valvolare, diabete e malattia coronarica».
Dall’analisi dei dati presenti in letteratura emerge che esistono non solo differenze di genere nella diagnosi dello scompenso cardiaco, ma anche diseguaglianze assistenziali nel percorso di cura. In effetti, le donne hanno meno probabilità di ricevere una consulenza specialistica: sia in Europa che negli Stati Uniti, le donne sono più spesso diagnosticate e curate dai medici di medicina generale invece che dagli specialisti cardiologi.
«Anche per quanto riguarda la ricerca, le donne sono spesso sottorappresentate negli studi clinici relativi allo scompenso cardiaco e, negli ultimi 40 anni, la percentuale di donne reclutate negli studi clinici è rimasta intorno al 20-30%», si rammarica la professoressa Aspromonte. «Si rende, quindi, necessario lavorare all’implementazione di un percorso di cura personalizzato per le donne, che metta insieme tutti i passaggi essenziali nella presa in carico di una donna con scompenso cardiaco: dall’identificazione della donna a rischio, in particolar modo con la corretta valutazione dei sintomi, a una maggiore sensibilità verso la prevenzione dello scompenso nelle donne con una diagnosi di obesità, diabete o ipertensione, fino alla personalizzazione della cura con un cambiamento adeguato nello stile di vita. Si è visto ad esempio che l’incidenza dello scompenso cardiaco nelle donne anche giovani con il diabete è doppia rispetto agli uomini. E le donne in sovrappeso hanno il 50% di probabilità in più di ammalarsi rispetto alle donne normopeso. Un altro fattore di rischio da non trascurare è la comparsa dello scompenso cardiaco nelle donne sottoposte a chemioterapia. E’ indispensabile che non vengano sottovalutati sintomi come dispnea prolungata, astenia, ridotta tolleranza alla sforzo, difficoltà a dormire, edemi alle caviglie. In questi casi rivolgersi al medico o allo specialista è d’obbligo. L’ecocardiografia è l’esame diagnostico che consente di distinguere le diverse forme di scompenso, che si differenziano per il valore di disfunzione ventricolare. Se la funzionalità sistolica viene conservata è più difficile individuare lo scompenso cardiaco e questa situazione accade spesso nelle donne, il doppio rispetto agli uomini. Per questo diventa fondamentale le diagnosi precoce e una terapia preventiva. Oggi esistono farmaci come le glifozine, utilizzate inizialmente per i pazienti diabetici, che hanno un buon effetto anche sul deterioramento della funzionalità renale che potrebbe essere un fattore di rischio per lo scompenso cardiaco».
Diversi studi scientifici presentati al recente Congresso ESC (European Society of Cardiology) di Barcellona confermano la capacità delle glifozine di migliorare la qualità di vita dei pazienti con scompenso cardiaco e ridurre anche la mortalità. E questo dovrebbe consentire la prescrivibilità di questi farmaci anche da parte del cardiologo e non solo del diabetologo e la loro rimborsabilità dal Sistema sanitario, come è stato di recente approvato da AIFA per alcune tipologie di glifozine.
di Paola Trombetta
L’importanza della prevenzione e il controllo del colesterolo
Silenzioso, invisibile e sottovalutato, il colesterolo è oggi tra i principali responsabili delle oltre 18,6 milioni di vittime per patologie cardiovascolari nel mondo, che nel nostro Paese fanno registrare il 34,8% dei decessi. Ma oggi, dopo quasi tre anni di pandemia, qual è la percezione degli italiani? A scattare l’allarmante fotografia è l’indagine SWG per Sanofi presentata a Milano in occasione dell’incontro “La prevenzione che sta a cuore. Malattie cardiovascolari e colesterolo nei pazienti ad alto rischio: agire prima, in modo intensivo e efficace, per ridurre la mortalità”. Oltre il 40% degli intervistati sottovaluta i rischi legati ad alti livelli di colesterolo, mentre circa 1 su 3 ritiene che il rischio di mortalità legato all’ipercolesterolemia debba preoccupare solo chi ha problemi cardiaci pregressi. E ancora, meno di 1 su 2 (il 43% del campione) sa che è il colesterolo LDL ad essere dannoso per la nostra salute. Obiettivo della ricerca, condotta su un campione di oltre 1.200 soggetti di età compresa tra i 45 e i 74 anni, è quello di analizzare la conoscenza delle malattie cardiovascolari, la percezione delle conseguenze dell’ipercolesterolemia per offrire spunti di riflessione e stimoli concreti in occasione della Giornata Mondiale del Cuore (29 settembre), l’annuale appuntamento dedicato a rilanciare l’attenzione del dibattito pubblico sulle patologie cardiovascolari e il loro impatto sulla nostra società. Fondazione Italiana per il Cuore, Società Italiana di Cardiologia (SIC), Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e Conacuore intendono, ancora una volta, richiamare l’attenzione su patologie la cui prevalenza è in aumento in diversi Paesi, tra cui l’Italia. Ed è proprio attraverso la prevenzione che per il 92% degli intervistati i problemi cardiocircolatori possono essere evitati. A questa consolidata convinzione, però, non corrispondono azioni concrete di prevenzione e controllo: per il 17% del campione, infatti, è opportuno eseguire periodicamente visite di controllo, mentre solamente il 31% si è sottoposto ad una valutazione del rischio cardiovascolare negli ultimi 12 mesi. A non poter però sottrarsi a controlli regolari sono, più degli altri, i pazienti ad alto rischio cardiovascolare che rappresentano, in base alle linee guida internazionali, la vera e urgente priorità nell’ambito degli interventi preventivi. P.T.