L’80% delle donne prende decisioni sulla salute dei propri cari, rischiando a volte di trascurare se stesse. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ogni dollaro speso per la salute della donna genera 20 dollari in benefici economici. Per questo avere a cuore il benessere femminile significa anche incidere positivamente sul tessuto sociale ed economico di un Paese. A richiamare l’attenzione sul tema “Salute della Donna” è stato l’evento “Her Promise: le aspirazioni di lei, il nostro impegno”, promosso all’Auditorium Parco della Musica di Roma da Organon, unica azienda farmaceutica dedicata esclusivamente alla salute femminile in ogni fase della vita, nel primo anniversario del lancio della sua attività. I principali argomenti in discussione sono stati il progressivo calo delle nascite, che ha raggiunto il record negativo con soli 385 mila nati lo scorso anno, e lo scarso uso dei contraccettivi rispetto ad altri Paesi europei dove un maggior impiego di contraccettivi favorisce paradossalmente un incremento di natalità. La programmazione di una gravidanza, usando una contraccezione responsabile, è un tema su cui ancora molto si deve fare in Italia, soprattutto educando le giovani generazioni.
Una strategia di ampia visione, finalizzata a sostenere le donne e le ragazze di tutto il mondo nelle loro aspirazioni di benessere per mettere a disposizione una proposta di valore innovativa a tutela della loro salute e in coerenza con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU. Cardini della strategia di sostenibilità sono un più ampio accesso alla contraccezione, per evitare 120 milioni di gravidanze indesiderate nel mondo entro il 2030, lotta alle disparità ed equa rappresentanza di genere anche all’interno dell’azienda, dove è donna quasi il 50% dei dipendenti e il 65% della leadership team.
«Sono stati 12 mesi di grande impegno, ma anche molto stimolanti e di grande soddisfazione, nei quali abbiamo raggiunto l’obiettivo di essere l’azienda leader nella salute riproduttiva della donna anche grazie a importanti accordi di partnership che ci permetteranno di rispondere con efficacia a molteplici bisogni di salute al femminile non ancora pienamente soddisfatti», ha affermato Alper Alptekin, Presidente e Amministratore Delegato di Organon Italia. «La salute della donna è un potente indicatore di prosperità di un Paese e volano di benessere sociale e crescita economica: siamo orgogliosi di averla scelta come nostra area terapeutica prioritaria, in una visione ampia che la considera come epicentro della salute di tutta la comunità e la vede quindi connessa anche con le grandi sfide collegate alla cronicità e alla sostenibilità».
Sul fronte della salute femminile, i temi della natalità e della fertilità sono tra quelli che hanno le maggiori ricadute a livello socio-economico. L’emergenza Covid, che ha indotto circa due coppie su tre a rinviare il progetto di una gravidanza o addirittura a rinunciarvi (Osservatorio Giovani), ha acuito il problema, innescato da fattori di lungo periodo: la mancanza di una corretta pianificazione familiare, la scarsa informazione sulla contraccezione e le difficoltà legate all’accesso tempestivo ai percorsi di fertilità e di procreazione medicalmente assistita (PMA).
I dati di una recente analisi denominata NERAD dicono che nel nostro Paese una gravidanza su 4 non è pianificata e il 50% di queste esita in un’interruzione volontaria di gravidanza, con i conseguenti effetti importanti sulla salute psicofisica della donna. Pesano soprattutto la carenza di informazioni sulle possibili scelte contraccettive e la quasi totale assenza di programmi educazionali sull’argomento che limita l’accesso alla contraccezione e il suo uso consapevole, mentre è in aumento l’impiego della contraccezione d’emergenza che già nel 2018 ha portato 548.684 donne a farne uso. L’Italia, come rivela l’ultimo Atlante Europeo della Contraccezione redatto dall’European Parliamentary Forum for Sexual & Reproductive Rights (EPF), si posiziona al 22° posto in Europa per accesso e informazione alla contraccezione.
Scarso uso della contraccezione e difficoltà alla pianificazione familiare
Secondo la ricerca “Lo stato dell’arte, i bisogni di formazione e informazione delle donne italiane in area contraccezione”, realizzata da DoxaPharma su un campione di 1.000 donne italiane tra i 18 e i 40 anni e presentata nel corso dell’evento, una donna italiana in età fertile su tre non ha mai chiesto al proprio ginecologo informazioni sulla contraccezione, mentre il 48% si è informata attraverso Internet. «La conseguenza è che le donne si affidano soprattutto alle opzioni a loro note (pillola ormonale e preservativo), mentre è ancora limitata la conoscenza dei metodi contraccettivi non giornalieri che possono favorire la compliance della donna alla terapia, come ad esempio i contraccettivi reversibili a lunga durata d’azione (LARCs): quasi la metà delle donne è poco o per nulla informata sull’anello vaginale a durata mensile, sul cerotto e solo il 25% conosce l’impianto a lunga durata da posizionare nel braccio», puntualizza Silvano Costa, ginecologo del Centro Medico Caravelli di Bologna. «Quest’ultimo metodo sta gradualmente diffondendosi per la sua efficacia di lunga durata e potrebbe prevenire aborti volontari e ricorso alla pillola d’emergenza».
«La pianificazione familiare in Italia continua comunque ad essere un problema privato delle coppie e soprattutto delle donne. I consultori familiari, presidi deputati alla presa in carico delle donne e delle coppie desiderose di pianificare il loro progetto riproduttivo, sono andati via via diminuendo di numero, riducendo progressivamente l’organico», fa notare Rosetta Papa, Ginecologa, Docente Master I e II Livello “Management e Coordinamento dei Servizi Sanitari e Socio-Sanitari”, Dipartimento di Scienze Sociali, Università Federico II, Napoli. «Inoltre, sappiamo che i giovani hanno poche informazioni sulla sessualità e sui metodi contraccettivi e che sarebbero invece desiderosi di ricevere informazioni da esperti. Con questi presupposti non bisogna meravigliarsi se in Italia una gravidanza su 4 è imprevista o indesiderata, e comporta, in circa la metà dei casi, l’interruzione volontaria di gravidanza a cui ricorrono, il 62% delle donne di età compresa tra 25 e 40 anni. E’ indispensabile una campagna d’ informazione a partire dalle scuole e dal territorio. A Napoli stiamo avviando un progetto di educazione, che si estenderà a circa 2 mila persone, con incontri rivolti in particolare alle specializzande nelle università, nelle scuole superiori e medie e sul territorio, radunando piccoli gruppi di donne, soprattutto nei quartieri periferici della città, ma anche a livello di alcune aziende. E’ poi fondamentale agire in sinergia con i consultori, più attivi nelle zone di maggiore disagio sociale».
Una buona educazione alla contraccezione potrebbe favorire un incremento anche della natalità, ovvero della maternità più consapevole, come avviene del resto in molti Paesi europei.
«Il crollo delle nascite in Italia è legato a molteplici ragioni a partire da motivazioni sociali ed economiche e alla carenza di tutele della famiglia che inducono le giovani coppie a rinviare, a volte in maniera indefinita, la decisione di avere un figlio», fa notare Nicola Colacurci, Presidente SIGO, Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia. <Se si vuole riuscire a invertire questa tendenza bisogna che i vari attori, incluse le Società scientifiche, vadano ad agire su diversi piani come ad esempio, una maggiore informazione sulla capacità riproduttiva della donna in rapporto all’età, sugli stili di vita connessi con la sfera riproduttiva, l’implementazione di servizi sociali, l’interruzione del percorso lavorativo della donna durante la gravidanza, la facilitazione di accesso a tecniche avanzate di procreazione assistita e il supporto sociale ai primi mille giorni».
«In Italia stiamo assistendo a un fenomeno definito “trappola demografica”: pochi genitori che a loro volta mettono al mondo pochi figli, a cui va aggiunta la circostanza che il desiderio di genitorialità è frenato da tanti fattori», afferma Francesca Moccia, Vice Segretario Generale Cittadinanzattiva. «Oggi le donne fanno il primo figlio ad un’età molto più avanzata rispetto al passato, attorno ai 35 anni. Bonus, detrazioni fiscali e agevolazioni sono iniziative utili che però non creano quel generale clima di fiducia e quella facilità di accesso che servirebbero. Sono urgenti misure universali come asili nido, trasporto scolastico, gestione del tempo lavorativo; ma anche strategie di supporto all’occupazione, allo smart working, alle coppie giovani con bambini, alla previsione di spazi più a misura di bambino, all’abitazione, ai libri scolastici».
Per una maternità più consapevole, si ricorrere poco alla PMA
Lo scarso ricorso alle tecniche che favoriscono la fertilità è poi l’altra faccia del percorso a ostacoli verso un’adeguata pianificazione familiare, che penalizza le donne nelle loro scelte di vita: 1/3 dei trattamenti di PMA viene avviato in coppie in cui il partner femminile ha più di 40 anni, diminuendo notevolmente il tasso di successo dei trattamenti, che passa dal 21,6% per le pazienti con meno di 35 anni al 4,1% per quelle con più di 43 anni. «Riguardo all’accesso alla PMA, esistono forti disomogeneità a livello regionale, con una diversa distribuzione dei Centri pubblici e privati convenzionati dal Nord al Sud, lunghe liste di attesa, ostacoli burocratici», fa notare Luca Mencaglia, presidente della Fondazione PMA. «Un impulso verso la diffusione dei percorsi di PMA potrebbe arrivare, oltre che da campagne di sensibilizzazione sul tema della fertilità e delle tecniche di PMA, anche dall’approvazione definitiva del Decreto interministeriale che rende uniformi le tariffe per le prestazioni di PMA sull’intero territorio nazionale. Oggi in Italia si eseguono circa 100 mila prestazioni di PMA all’anno, nel 40% dei casi nei Centri pubblici o convenzionati col SSN, mentre il restante 60% privatamente a carico della coppia che deve sopportare un carico di spesa ingente che ammonta a circa 6/10 mila euro».
Questi temi sono stati oggetto del confronto tra rappresentanti del mondo della sanità, delle Istituzioni, delle Associazioni, nell’ambito del progetto Camerae Sanitatis, il format promosso dall’Intergruppo parlamentare Scienza & Salute e Sics-Società Italiana di Comunicazione Scientifica e Sanitaria, con il contributo incondizionato di Organon Italia, dal quale sono scaturite delle Raccomandazioni per identificare le azioni più utili e urgenti atte a promuovere il rilancio della natalità in Italia.
In età avanzata, aumenta l’incidenza di malattie croniche
Oltre alla diminuzione della natalità, l’invecchiamento della popolazione è il fattore che disegna quella “piramide rovesciata” caratterizzata dalla prevalenza nella popolazione di persone in età avanzata (in Italia un quinto della popolazione è over 65). Una delle maggiori conseguenze è il crescente impatto delle malattie croniche non trasmissibili, come patologie cardiovascolari, dislipidemie, patologie respiratorie, malattie della pelle, osteoporosi, malattie osteoarticolari ed emicrania, responsabili del 93,3% dei decessi. Tra le persone di 55 anni, un individuo su due soffre di almeno una patologia cronica, mentre nella popolazione over 75 l’incidenza aumenta: a convivere con una patologia cronica in questa fascia d’età sono 9 persone su 10. Tra le malattie croniche non trasmissibili le malattie cardiovascolari sono quelle che hanno il maggiore impatto in termini di letalità, con circa 18 milioni di decessi l’anno a livello globale.
Organon, attraverso un portfolio diversificato che vanta anche di soluzioni terapeutiche di consolidata efficacia nella gestione delle patologie croniche a più alto impatto sociale, si pone come partner delle Istituzioni per migliorare la gestione di queste malattie, tenendo conto di tutte le caratteristiche della popolazione, incluse le differenze di genere, spesso sottovalutate. In questa prospettiva supporta lo studio WECARE (Women Effective CArdiovascular Risk Evaluation): un’analisi di Health Technology Assessment (HTA) che ha coinvolto circa 850.000 pazienti con l’obiettivo di rilevare potenziali differenze di trattamento esistenti tra pazienti di sesso maschile e femminile affetti da dislipidemie e dalla quale emergono importanti aspetti sui quali intervenire, come la minore aderenza terapeutica delle donne rispetto agli uomini nelle terapie ipolipemizzanti. La donna, in conclusione, è più attenta alla cura dei familiari, trascurando spesso sè stessa.
di Paola Trombetta