«Mio figlio ha cominciato a stare male fin dai primi mesi di vita, con reazioni riconducibili a possibili reazioni allergiche. Non è stato comunque facile diagnosticarle. A sei mesi, ha avuto anche sintomi gravi, con edema severo simile a quello tipico dello shock anafilattico, dopo aver mangiato un po’ di lenticchie. L’ho portato di corsa in farmacia dove gli hanno somministrato cortisone. Da lì abbiamo cominciato a peregrinare da vari specialisti che, dopo anni, sono finalmente riusciti a individuare la proteina a cui è allergico: LTP (Lipid Transfer Protein) presente nel mais, nella frutta, verdura, pesce. La sua condizione era tra quelle più severe ed è stato nutrito per tanto tempo con un integratore esclusivo per poter alleviare la sua situazione infiammatoria. Ha avuto problemi di vomito, mal di testa, astenia, rifiuto del cibo: tutti sintomi che solo adesso la comunità scientifica considera campanelli d’allarme da indagare, ma all’epoca erano considerati quasi condizioni normali. Abbiamo dovuto aspettare ben dieci anni prima di avere una diagnosi. Finché Gianmarco un giorno ha vomitato sangue e questo ci ha indotti a prendere la drastica decisione di fare una gastroscopia, unico modo per poter avere una diagnosi sicura. E siamo stati fortunati perché ci siamo rivolti a una struttura ospedaliera d’eccellenza dove sono riusciti, attraverso una biopsia del tessuto esofageo, a individuare la malattia. In molti casi, infatti, la questa malattia si confonde con altro. Addirittura durante una partita di pallone, mio figlio è stato colto da forti dolori retro-sternali che avevano persino fatto pensare a un infarto… Si trattava invece di “esofagite eosinofila”, una malattia rara che si può riconoscere solo attraverso una biopsia del tessuto esofageo. Da qui è iniziato un lungo percorso: finalmente abbiamo trovato una struttura d’eccellenza, come l’ospedale Bambino Gesù di Roma, dove un’équipe specialistica ha preso in carico mio figlio e lo ha curato con terapie mirate. Da questa mia esperienza personale è nata nel 2017 l’idea di fondare un’Associazione (ESEO- www.eseoitalia.it) per dare informazioni su questa patologia e aiutare le mamme a rivolgersi ai centri di cura adeguati. Noi siamo stati fortunati: oggi mio figlio ha 23 anni e segue una terapia cronica personalizzata, essendo pluriallergico: oltre ai farmaci specifici per l’esofagite, deve seguire anche una dieta particolare per non irritare l’esofago con allergeni». Così Roberta Giodice, oggi presidente dell’Associazione ESEO APS Italia, racconta il vissuto della malattia del figlio, evidenziando soprattutto le difficoltà nella diagnosi.
«Oggi i pazienti effettivamente diagnosticati in Italia sono circa 6 mila, ma si stima un’incidenza più del doppio», conferma Edoardo Vincenzo Savarino, professore associato di Gastroenterologia – DISCOG Università di Padova. «Questa malattia, considerata rara, colpisce prevalentemente i soggetti maschi, tra i 10 e i 50 anni. Poiché i sintomi sono spesso sovrapponibili a quelli delle allergie, soprattutto alimentari, ma si associano anche a rinite, asma, dermatite atopica, la diagnosi diventa difficile e possono trascorrere anni prima di approdare al centro specialistico dove, con una gastroscopia in cui deve essere incluso il prelievo bioptico di piccole porzioni di tessuto esofageo, si arriva a identificare quel particolare tipo di citochine (4-13) che sono la causa di questa infiammazione all’esofago. A volte si possono individuare anche papule biancastre o lesioni che possono interferire con il passaggio dei cibi e causano sintomi molto fastidiosi, come difficoltà a deglutire il bolo alimentare, con conseguente rigurgito o addirittura vomito: il 60% dei pazienti si deve alimentare con cibi morbidi (frullati, omogeneizzati) per evitare questi spiacevoli inconvenienti. E sono soprattutto i bambini a utilizzare questi alimenti, in quanto sono più soggetti a nausea, vomito e conseguente rifiuto di cibo solido. Una diagnosi accurata permette oggi una presa in carico del paziente nei Centri specializzati dove le cure sono mirate, in funzione dell’età e delle patologie correlate». L’approccio terapeutico attuale all’esofagite eosinofila prevede tre tipi di intervento, in modalità 3D: Diet, Drugs, Dilatation.
«In primo luogo occorre intervenire sulla dieta, eliminando completamente gli allergeni alimentari e i cibi che scatenano la reazione allergica, identificati con uno specifico test allergologico», puntualizza il professor Giorgio Walter Canonica, responsabile del Centro di Medicina personalizzata Asma e Allergologia- IRCCS Humanitas Research Hospital di Milano. «Quello che accade a livello esofageo è che le sostanze contenute in certi alimenti o pollini vengono a contatto con le cellule del sistema immunitario che si attivano in modo non fisiologico, determinando infiammazioni, con richiamo di eosinofili a livello della mucosa dell’esofago. Questa infiammazione può causare anche importanti processi fibrotici. Solitamente vengono eliminati i cibi più allergenici, come latte, uova, grano, soia, nocciole, molluschi, crostacei; a volte anche fragole, pesche. Per non parlare di alcuni pollini, come quelli delle betulle e di altre piante, che possono essere agenti allergizzanti. E persino gli acari domestici potrebbero scatenare questa infiammazione a livello esofageo, come di recente confermato da un articolo pubblicato sul “New England Journal of Medicine”. In ogni caso per ottimizzare la cura, la valutazione del paziente deve essere fatta da un team di specialisti: gastroenterologo, allergologo, reumatologo».
«Se la dieta non è sufficiente a eliminare il problema, si utilizzano farmaci anti-allergenici, antistaminici e cortisonici», aggiunge il professor Savarino. «Una novità specifica nella cura di questa malattia è l’utilizzo di budesonide in compresse oro-dispersibili, molto più efficaci della stessa molecola somministrata in formulazione spray. È dimostrato che questa nuova terapia determina la remissione della malattia nel 90% dei casi. Infine, nei casi più gravi dove sono presenti fistole esofagee, si può intervenire meccanicamente con la dilatazione endoscopica tramite un palloncino o piccolo dilatatore. In ogni caso, le terapie oggi esistenti, somministrate per uso cronico, consentono oggi di controllare la malattia, con un netto miglioramento della qualità di vita di questi pazienti».
di Paola Trombetta