La forza del teatro per dire NO alla violenza sulle donne

Niente di quanto fatto finora sembra bastare. A testimoniarlo sono i numeri delle violenze ancora drammaticamente alti. A documentarlo è il nuovo report del Viminale: tra il primo gennaio e il 30 ottobre 2022, sono state uccise 91 donne, di questi 79 omicidi sono stati compiuti in ambito familiare. In tutto il 2021 sono state uccise 103 donne. E ogni volta ci si interroga: cosa non ha funzionato? A che punto siamo nel contrasto alla violenza di genere? Le norme ci sono: però i loro effetti stentano a manifestarsi. Quello che non funziona è la loro applicazione, tra polizia che minimizza la denuncia e giudici che vanno a rilento o decidono di archiviare. Quindi ritardi nelle indagini (eppure nel 2019 la legge del Codice rosso ha imposto tempistiche più stringenti: entro tre giorni, dopo la querela, il PM deve procedere ad assumere sommarie informazioni dalla vittima). Verbali di polizia in cui si archiviano violenze come “turbolenze familiari”. Sentenze che minimizzano atti gravissimi, in cui il “delirio di gelosia” può essere un’attenuante e motivo di assoluzione. È questa la posizione di legali, magistrati, associazioni ed esperti. Punto cruciale su cui tutti sono concordi è la necessità di un’adeguata formazione delle forze dell’ordine, necessaria pure per gli avvocati, i magistrati inquirenti e quelli giudicanti, per rimuovere pregiudizi e consentire di qualificare correttamente certe condotte maschili come violenza (disprezzo, umiliazione, controllo, prima di arrivare alle coltellate). Anche il linguaggio ha un ruolo centrale. Nella pubblica opinione, sui media: le parole hanno il potere di rafforzare stereotipi e il modello maschilista fortemente radicato del possesso, per cui gelosia è amore, delitto è raptus. Una giornata, quella del 25 novembre, per dire ancora una volta: basta!

Barbablù 2.0

«Le vie che percorre il discorso teatrale sono altre rispetto a quelle della sola razionalità, più complesse e profonde. Il teatro è un formidabile mezzo di comunicazione basato sulle “onde emozionali. Non è solo una performance, è una vera e propria esperienza collettiva: ci aiuta a connetterci in un’unica emozione e apre una serie di domande, di interrogativi a cui, insieme, possiamo dare delle risposte», puntualizza Laura Negretti, attrice e direttore artistico di Teatro in Mostra, impegnata in un lungo tour teatrale che la sta portando in giro per i teatri della Brianza e dell’Hinterland milanese (24 novembre a Civate, 25 a Caronno Pertusella, 26 a Mandello Lario, 27 a Corsico, 2 dicembre a Mariano Comense, 3 dicembre a Cogliate), con la pièce Barbablù 2.0 che ha ormai superato il traguardo delle 300 repliche. Ispirata alla favola Barbablù di Charles Perrault, il marito orco per eccellenza, che colleziona mogli assassinate non appena osano trasgredire all’ordine di non aprire una porta nella stanza segreta del suo palazzo. «Chi è Barbablù, oggi? Sono tutti gli uomini che hanno ucciso le donne, in tutte le forme: dalla mortificazione, al negar loro la parola, al sangue», continua Negretti. Lo spettacolo nasce dal desiderio di raccontare quella forma sottile e invisibile di violenza, mascherata d’amore, che crea lividi sull’anima; la violenza psicologica da parte di mariti, fidanzati, compagni, che talvolta le vittime stesse non riconoscono. E quasi sempre anticipa la violenza fisica. Eppure per molte donne, soprattutto giovani, trovarsi incastrate nei meccanismi di una relazione affettiva “abusante” è molto più frequente di quanto si possa immaginare. La storia, scritta da Magdalena Barile, è ambientata in una ricca provincia del Nord Italia, in un mondo all’apparenza di assoluta armonia, come una fiaba appunto, dove, dietro la porta di casa, regnano meccanismi implacabili di violenza e sudditanza psicologica. Lui manager, lei moglie casalinga. Lui non ha una barba dai terribili riflessi blu; anzi sembra così dolce, tenero e premuroso. Lei così innamorata da non accorgersi che forse quei riflessi blu ci sono davvero. «La porta chiusa rimane come nella fiaba; perché l’orrore che si consuma tra le mura domestiche è così terribile che non tutte le donne trovano il coraggio di spalancarla. È una gabbia all’interno della quale sia i carnefici che le vittime finiscono per rimanere chiusi. Per narrare il nostro Barbablù abbiamo scelto il “thriller”, il genere del mistero per eccellenza. Di cosa si nutre ancora, nei tempi del progresso e delle pari opportunità, quell’incantesimo che ancora affossa volontà e ragione e trasforma le donne in vittime? Come in un giallo, in un crescendo di inquietudine a mano a mano che la storia si snoda, la protagonista si troverà a ricostruire la dinamica di un omicidio: l’omicidio è quello della sua identità, una volta forte, che si è persa, sfilacciata tra violenze e soprusi che sono diventati la norma», racconta ancora Laura Negretti. «Perché ogni relazione tossica inizia con quello che si pensava fosse amore: gelosia scambiata per coinvolgimento, volontà di controllo scambiata per dedizione. Come reagisce il pubblico in sala? «Barbablù 2.0 scuote gli animi, genera un silenzio assordante. Mi sorprende sempre la commozione profonda e quasi catartica che si genera in chi assiste e che, poi, sfocia in un abbraccio silenzioso, quando vengono in camerino».

Riconoscere i segnali in adolescenza significa prevenire la violenza domestica e i femminicidi
Lo spettacolo viene proposto anche ai ragazzi e ragazze delle scuole di primo grado del territorio. «Per dialogare e riflettere insieme», replica Negretti. «Il lavoro più importante che si possa fare è prevenire. Ancora troppe ragazze giustificano gesti come controllo, possessione, gelosia ossessiva e divieti, credendo siano segno di interessamento e amore. La violenza si manifesta anche attraverso il controllo digitale, con attacchi, abusi verbali, manipolazione di foto e video revenge porn (diffusione non consensuale di materiale sessualmente esplicito). Si pensa che “online e offline” siano dimensioni opposte: c’è invece una continuità. Chi fa esperienza di violenza online riporta nella vita reale conseguenze sia sul piano emotivo che fisico. Per sradicarla è fondamentale un’educazione all’affettività che insegni loro a vivere i sentimenti con equilibrio e rispetto per l’altro. A riconoscere i primi campanelli d’allarme, fin dalle prime relazioni affettive.

“Lentamente ci uccidono”

Il 27 novembre va in scena Lentamente ci uccidono al Politeatro di Milano (ingresso libero con prenotazione: performer@gmail.com). Figura centrale è un uomo, un commissario di polizia, che farà da collante alle quattro storie. «Uno spettacolo che mi sta a cuore, da tempo», commenta Ketty Capra, attrice, autrice, regista e produttrice (dopo una vita passata come manager nel mondo finanziario). «È un’opera finalizzata al confronto: stimola, smuove, fa pensare, ed è per questo che abbiamo deciso di inserire un dibattito al termine dello spettacolo. Il teatro è un’arma potentissima per creare coscienza e consapevolezza». Perché quel “lentamente” nel titolo? «Di solito si parla di raptus improvviso. In realtà è l’atto finale di un atteggiamento di possesso, di un crescendo di vessazioni, soprusi fisici e psicologici che precedono l’escalation verso il femminicidio. Abbiamo bisogno di parole che non siano denigratorie e lesive, ma in grado di restituire rispetto alle donne uccise. Abbiamo bisogno di parole che non le uccidano ancora, ma che le facciano rivivere, dando voce alle loro storie. Purtroppo le platee sono ancora troppo spesso a prevalenza femminile, ma il linguaggio teatrale ha la capacità di parlare anche a quegli uomini che vogliono vivere al loro fianco. Il grande lavoro che andrebbe fatto è far capire a questi uomini quanto sia determinante la loro disponibilità ad uscire da una zona grigia, prendendo posizione», conclude Ketty Capra.

“Secondo atto”: il progetto europeo Never Again

Un altro spettacolo teatrale va in scena il 25 novembre a Monza con “Secondo atto”, la performance scritta e diretta da Giulia Morello del collettivo MASC-Aps. Lo spettacolo, ideato e realizzato nell’ambito del progetto europeo Never Again approderà in altre città: Cosenza (6 dicembre), Brescia (12 dicembre) e Aosta il (14 dicembre). «La violenza è la punta di un iceberg di una cultura profondamente maschilista, purtroppo ancora persistente. Lavoriamo per una nuova narrazione della cultura», dichiara Giulia Morello, autrice e regista, presidente di Dire Fare Cambiare. Quante volte, a fronte di una denuncia, le donne vengono ritenute poco credibili? Quante volte la violenza sulle donne viene raccontata come un gesto incontrollabile e improvviso che deresponsabilizza chi lo commette? Il linguaggio ha un ruolo centrale nel cambiamento culturale necessario per avere uno sguardo diverso sul fenomeno della violenza di genere. Quando si descrive l’omicidio di una donna da parte del coniuge o del compagno come un “delitto passionale”, un gesto folle dovuto al “troppo amore” si tende ad attenuare la gravità del delitto, a giustificare la violenza, riducendola a episodica follia, ad azione imprevedibile o patologica così come in alcune cronache giornalistiche. Il pregiudizio di genere nei tribunali inquina sia i processi, sia le sentenze. Con il collettivo MASC Asp  (Movimento Artistico Socio Culturale), fondato con Silvia Vallerani e Giulia Morello, che è anche la referente del progetto europeo Never Again – Contro la vittimizzazione secondaria (co-finanziato dal programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione europea e realizzato assieme a D.i.Re-Donne in rete contro la violenza, Il Sole 24 ore-Alley Oop, Maschile plurale e Prodos Consulting-European Projects and Funds). Di cosa si tratta? «ll progetto Never-Again, lanciato proprio due anni fa, il 25 novembre 2020, vuole dare una risposta al fenomeno della vittimizzazione proponendo una campagna di sensibilizzazione nazionale e un modello innovativo di formazione rivolto a forze dell’ordine, avvocati, magistrati e giornalisti. Quando una donna denuncia una violenza, rischia di essere vittima una seconda volta e subire un ulteriore trauma. Il problema della vittimizzazione secondaria è sottovalutato ed è l’ostacolo che impedisce un vero contrasto alla violenza. A tale proposito La Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha di recente condannato l’Italia per aver violato i diritti di una “presunta vittima di stupro” con una sentenza, emessa dalla Corte d’appello di Firenze, che contiene “passaggi che non hanno rispettato la sua vita privata e intima, con commenti ingiustificati”: sentenza che assolse i sette imputati in un processo per stupro di gruppo. Per questo, con il progetto Never Again abbiamo portato il teatro dentro i corsi di formazione. Uno spettacolo interattivo integrato al percorso formativo: la pièce teatrale Secondo atto, testo e regia di Giulia Corradi, racconta tre storie di donne – Viola, Patrizia e Samira – che subiscono violenza e non vengono credute, bensì giudicate, accusate, colpite ancora una volta. I partecipanti ai workshop in presenza, dopo aver assistito allo spettacolo, sono chiamati a cambiare il testo, le battute, gli atteggiamenti dei protagonisti, a riscrivere insomma le storie. In questo modo ognuno è costretto a interrogarsi su quanto ancora si sia condizionati da stereotipi. Lo spettacolo è già andato in scena a Udine, nell’ambito del festival Vicino/Lontano, a Cosenza, a Napoli, a Pisa, e a settembre al Cadmi, la Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano. Nelle città dove lo abbiamo già rappresentato la sfida è stata accolta con grande serietà dai professionisti del settore e questo ci fa ben sperare. Abbiamo promosso anche un concorso, rivolto a giovani tra i 18 e i 39 anni, premiando produzioni video-contest, della durata massima di 5 minuti, capaci di raccontare il fenomeno in modo efficace.  Ha vinto UNHEARD scritto da Francesca Giunta e Liliana Rubbino. Sono state premiate a ottobre, durante il Festival Alice nella Città – Festa del Cinema di Roma».

di Cristina Tirinzoni

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