«Non sapevo nulla di questo tumore, finchè a 52 anni ho cominciato ad avere problemi di cistiti ricorrenti che non si risolvevano con la terapia antibiotica. L’ecografia risultava negativa. A causa dei forti dolori in zona pelvica, mi sono decisa di rivolgermi a un urologo: dopo aver eseguito la cistoscopia, aveva notato qualcosa di dubbioso. Dalla TAC successiva e dalla TURV, un esame abbastanza invasivo che prevede la biopsia di tessuto dalla vescica, ho scoperto di avere un adenocarcinoma, una formazione tumorale rara che stava tutta intorno all’uretra, restringendo il canale vescicale. Il tumore era a uno stadio molto avanzato e, dopo alcuni cicli di chemioterapia neoadiuvante, ho subito un intervento radicale: asportazione di vescica, uretra, utero e anche una parte della vagina. Un intervento demolitivo che ha richiesto poi l’utilizzo di un sacchetto esterno per raccogliere l’urina. Appena mi hanno comunicato questa eventualità, mi sono sentita morire! Ma poi all’Istituto dei Tumori di Milano ho conosciuto l’Associazione PaLiNUro che è stata la mia salvezza: il mio “faro nel buio”, come dico sempre. Parlando con altre persone nelle mie stesse condizioni, non mi sono persa d’animo e ho reagito. Anche con il “sacchetto” ho continuato a fare la mia vita: camminate in montagna, gite in bicicletta, viaggi all’estero, sport in generale. Sono stata operata a giugno e ad agosto ero già al mare a fare il bagno. Da sei anni sono stomizzata, ma non ne ho mai fatto un problema. Mi sono impegnata nell’Associazione PaLiNUro proprio per dare un messaggio positivo. Anche con la derivazione esterna si può avere una buona qualità di vita: l’intervento non impedisce di tornare a vivere! Ce la si può fare e non bisogna abbattersi. L’importante è conservare la propria vita: se la vescica è malata, va tolta. Ma la vita va conservata!»
L’esperienza di malattia di Laura Magenta e il suo impegno nell’Associazione PaLiNUro, che nasce da un gruppo di pazienti per informare e aumentare la consapevolezza su questa patologia, sono un esempio per tutte le persone con questo tipo di tumore che spesso genera non pochi problemi nella vita di tutti i giorni. E la cui diagnosi è molte volte difficile e arriva con grande ritardo, soprattutto nelle donne, in cui il tumore viene spesso confuso con una cistite ricorrente. «Un consiglio che mi sta a cuore dare, soprattutto alle donne, è che se il sanguinamento nelle urine non passa, soprattutto dopo aver assunto l’antibiotico, occorre rivolgersi all’urologo e non fermarsi al ginecologo», aggiunge Laura Magenta. Per questo un team di specialisti si è riunito i giorni scorsi a Milano per parlare della malattia e delle terapie più innovative in occasione del V Congresso dell’Associazione PaLiNUro, Pazienti Liberi da Neoplasie Uroteliali (www.associazionepalinuro.com), dove è stato presentato il progetto che ha messo al lavoro medici, pazienti e istituzioni per realizzare un’indagine che fotografa il livello di informazione e consapevolezza del quarto tumore più diffuso per incidenza dopo i 50 anni. Il 61% dei pazienti non ha mai segnalato al medico sintomi come sangue nelle urine o bruciore durante la minzione. Il 44,4% si informa su questo tipo di tumore consultando siti online o social media con il rischio di imbattersi in fake-news. ll 34% non sa qual è lo specialista che si occupa di questa patologia. Solo il 52% sa che la causa principale è il fumo, mentre quasi il 50% è convinto che il principale fattore di rischio sia la predisposizione genetica. Sono alcuni dati emersi dal sondaggio condotto da Nume Plus di Firenze, con il contributo di Astellas Pharma SpA, nell’ambito del progetto U-Change su mille persone dai 18 anni in su, per capire quanto ne sanno i cittadini sul tumore della vescica. Al progetto hanno partecipato 21 esperti tra clinici (medici, società scientifiche, specialisti di settore in ambito oncologico ed urologico), pazienti (associazioni dei pazienti, caregivers, infermieri, giornalisti) e istituzioni (farmacisti ospedalieri, direttori di ASL e di strutture ospedaliere, economisti della sanità nazionale, regionale e locale).
«Nell’ambito del progetto U-CHANGE abbiamo dato vita ad una Consensus multidimensionale, con l’ambizioso obiettivo, per la prima volta, di mettere sullo stesso piano i diversi attori che intercettano il paziente colpito da carcinoma avanzato della vescica nelle varie tappe del suo viaggio», ha dichiarato Sergio Bracarda, direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni e Presidente SIUrO, Società Italiana di Uro-Oncologia. «Clinici, associazioni di pazienti, caregivers, fisioterapisti, infermieri, giornalisti di settore, farmacisti ospedalieri, direttori di ASL e di strutture ospedaliere, economisti della sanità nazionale, regionale e locale: tutto il panel di esperti ha esplorato le diverse dimensioni, discutendo e concordando le attuali limitazioni dei modelli di cura e le proposte di miglioramento per la costruzione di un futuro modello di cura ancora più efficace».
Quello della vescica è il quarto tumore per incidenza dopo i 50 anni. In Italia nel 2021 questa neoplasia è stata diagnosticata in 25.500 persone e ha causato oltre 6.000 decessi. «Questo tumore si sviluppa inizialmente nel rivestimento interno della vescica (urotelio), ma può diffondersi alla parete muscolare che la circonda e raggiungere i linfonodi o altri organi come polmoni, fegato, ossa», ha spiegato il professor Bracarda. «Per questo motivo, una diagnosi tempestiva è fondamentale, perché influenza la sopravvivenza futura, così come l’approccio terapeutico che, a seconda dello stadio del tumore, prevede interventi combinati tra chirurgia, chemioterapia, radioterapia e immunoterapia».
«È necessario promuovere efficaci campagne informative per aumentare il livello di conoscenza sia dei fattori di rischio che delle nuove possibilità terapeutiche», dichiara Edoardo Fiorini, presidente APS Associazione PaLiNUro. «Il progetto U-Change conferma la necessità che Società Scientifiche e Associazioni Pazienti coinvolgano le Istituzioni e gli altri professionisti sanitari in campagne informative sull’importanza della diagnosi precoce, dei fattori di rischio e delle opportunità di terapie attraverso strumenti di comunicazione e target differenziati. Coniugi, partner e familiari sono spesso poco informati, addestrati e supportati nelle diverse fasi del percorso della malattia. E’ importante, quindi, fornire servizi di conoscenza della patologia, gruppi di ascolto, materiale educazionale».
I principali risultati della Survey
Dieci le domande a cui hanno risposto online i mille partecipanti. L’88,6% sa che questo tumore colpisce la vescica (secondo il 4% riguarda la prostata e il 6,5% non lo sa). Tra il 60% dei partecipanti che hanno dichiarato di sapere qual è il medico che si occupa di questa neoplasia, il 62% ha indicato l’urologo, il 31,4% l’oncologo, il 6,8% l’andrologo e il 4% il ginecologo. C’è una buona consapevolezza dei primi segnali d’allarme per il tumore alla vescica: l’80% indica il sangue nelle urine (ematuria), il 35% bruciore e dolore durante la minzione, il 26% minzione frequente, ma il 61% dichiara di non essersi mai recato dal proprio medico per uno di questi sintomi e chi ci è andato nel 17% dei casi ha ricevuto la prescrizione di un antibiotico generico (17%), di analisi del sangue (13%) o di bere due litri di acqua al giorno (12%).
Il 52% sa che il fumo di sigaretta è il fattore di rischio più importante del tumore alla vescica, ma c’è anche un 50% che ritiene responsabile la familiarità e il 20% che non lo sa. «Il fumo di sigaretta – chiarisce il dottor Bracarda – è da solo responsabile del 50% circa dei tumori della vescica, ma ci sono anche altri fattori di rischio come quello professionale, per esempio l’esposizione a coloranti, responsabile del 5-6% dei casi, e la dieta in cui sembra chiamato in causa l’alcol. Tra i cancerogeni ambientali va ricordata la presenza di arsenico nell’acqua potabile, le amine aromatiche e i pesticidi agricoli».
La Survey ha indagato anche le fonti di informazioni: il 44,4% si informa su questo tipo di tumore consultando siti online o social media con il rischio di imbattersi in fake-news. Alla domanda su quali siano le conseguenze più impattanti del tumore alla vescica, il 64% risponde l’incontinenza, il 56% la disabilità lavorativa e una ridotta qualità di vita e il 35% difficoltà sessuali. Poche le conoscenze dei partecipanti sulle possibilità di cura e di una diagnosi precoce.
«Grazie all’innovativo Progetto U-CHANGE per la prima volta, per una patologia oncologica così impegnativa come il tumore uroteliale, è stato possibile mettere a punto a 360 gradi i numerosi aspetti che riguardano i vari attori coinvolti», commenta Emanuela Omodeo Salé, Direttore di Farmacia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e responsabile scientifico della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera (SIFO). «Oggi anche il farmacista ospedaliero è sempre più coinvolto con i farmaci oncologici, perché può dare un supporto concreto al clinico sulle modalità di migliore acquisizione, preparazione e distribuzione delle terapie nel setting intraospedaliero e nella fase successiva dalla dimissione in poi». Per la completezza di questo approccio, il progetto U-Change ha ricevuto il patrocinio di AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), SIUrO (Società Italiana di Uro-Oncologia), SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle Aziende Sanitarie), FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e PaLiNUro (Pazienti Liberi dalle Neoplasie Uroteliali).
di Paola Trombetta