Quest’anno sono solo due le donne, tra i quattordici vincitori dei Nobel, che saranno premiate il 10 dicembre dal Re di Svezia: Carolyn Bertozzi, 56 anni, docente all’Università di Stanford, per il suo contributo alla chimica (condiviso con i colleghi Morten Meldal e K. Barry Sharpless): “per lo sviluppo di un metodo per assemblare nuove molecole”. Appassionata di scienza fin da bambina (il padre famoso ricercatore di fisica nucleare all’Istituto di Tecnologia del Massachussets), da giovane studentessa alla Harvard University era tastierista dei “Bored of Education” con Tom Morello (futura leggenda del rock), una band rock heavy-metal dell’ateneo, e suonava ai party dell’Università. Il Nobel per la letteratura andrà invece ad Annie Ernaux : 82 anni (compiuti il primo settembre), è la prima scrittrice francese a vincerlo, la diciassettesima donna da quando esiste il prestigioso premio. Le è stato assegnato dall’Accademia Svedese “per il coraggio e l’acutezza clinica con cui scopre le radici, gli estraniamenti e i freni collettivi della memoria personale”. Nel 2008 a 68 anni scrive un libro che comincia con una frase lapidaria: “Tutte le immagini spariranno”. A chi chiedesse ad Annie Ernaux la ragione di questo suo libro, la risposta è nell’ultima riga: “Ha paura (l’Io femminile narrante) che, invecchiando, la memoria torni a essere nebulosa e muta come nei primi anni dell’infanzia, anni di cui non si ricorderà più”. La memoria è e rimane il tratto distintivo di tutta l’opera della Ernaux. Scrivere è un modo per far esistere ciò che è stato, lasciare una traccia, ricostruire un ricordo, affinché non scompaia nell’oblio. Romanzo dopo romanzo, che forse hanno ogni tanto il rischio della ripetitività, il microcosmo autobiografico si apre a una riflessione universale, trasformata in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Ed è questo il nodo affrontato anche dal libro “Gli anni”.
L’autrice stessa la definisce una “autobiografia impersonale”: la storia privata si mescola con quella con la S maiuscola dei grandi avvenimenti, in un continuo gioco di rimandi, dove i dettagli di una vita si fondono con i cambiamenti di una società. È come se Ernaux a ogni pagina ci dicesse: quello che è accaduto a me, accadeva anche a migliaia di altre donne, della mia generazione, più o meno nello stesso tempo. Non è un libro facile: richiede pazienza e attenzione. Annie Ernaux ci accompagna lungo circa 300 pagine tra i ricordi del suo passato, dagli anni quaranta fino ai giorni nostri. E mentre racconta di sé, racconta anche il Novecento e la storia di una generazione cresciuta nel dopoguerra fino a oggi. Per capire cosa in fondo è cambiato e cosa è rimasto uguale. Con il suo inconfondibile stile scarno e tagliente, emotivamente telegrafico, spesso è impietosa, trafigge come un coltello, eppure, allo stesso tempo, così capace di colpirci nel profondo. “Sono andata alla ricerca della ragazza che sono stata, che ero: un’estranea per me, ormai, ma un’estranea di cui possedevo la memoria. Tra me e lei c’è tutta la distanza del tempo che ci separa. La posta in gioco era cercare di ritrovarla attraverso la scrittura: per capire tutto quello che è successo poi. Quella ragazza, ho avuto bisogno di farla esistere, in qualche modo di resuscitarla, perché quello che si è vissuto senza capirlo è un errore, una colpa”. È un libro che attraversa il tempo, mostrando la condizione femminile del passato e quella di oggi. Senza retorica, in maniera scarna, potremmo dire fredda, il percorso che viene narrato assume tutte le caratteristiche di una dolorosa presa di coscienza di sé. “Le cose mi sono accadute perché potessi rendermene conto”, scrive in relazione alla società maschilista in cui vive, dei condizionamenti sociali, la gabbia degli stereotipi. Annie Ernaux non consola. “Noi che avevamo creduto che i nostri sforzi per liberarci sarebbero serviti ad altre, noi provavamo una grande stanchezza. Non sapevamo più se la rivoluzione delle donne ci fosse stata davvero”.
Un Nobel ai diritti delle donne, per le donne e a chi fa della propria vita e della scrittura, uno strumento di lotta. Pensavamo che il futuro sarebbe stato fatto solo di progressi e conquiste, e di uno spazio sempre maggiore per le donne. Eravamo sicure che ce l’avremmo fatta e che mai saremmo tornate indietro, ma avremmo corso sempre in avanti, per avere tutto. Non è andata esattamente così, ma come per Annie, nessuna di noi si stancherà mai di credere e lottare. Le sue parole, subito dopo la notizia del premio Nobel, lo ribadiscono: “Lotterò fino al mio ultimo respiro, affinché le donne possano scegliere se essere madri o meno: la contraccezione e il diritto all’aborto sono un diritto fondamentale, la matrice della libertà delle donne”. Celebrata in Francia, In Italia era stata pubblicata la prima volta negli anni Ottanta, senza ottenere il successo meritato e la critica la liquidava con un “non mi piace”. Ripubblicata dalla giovane casa editrice Le Orme, che nel 2014 tradusse “Il posto” e ormai pubblica tutta l’opera della Ernaux, ha finalmente conquistato un nuovo pubblico. È appena uscito, il 9 novembre, Il ragazzo, Le jeune homme, pubblicato in Francia nel maggio 2022. Intenso racconto (scritto in prima persona) della relazione avuta quando aveva cinquant’anni, ormai scrittrice famosa, con un uomo di trent’anni più giovane di lei: “uno studente che mi scriveva da un anno e aveva voluto incontrarmi. Abitava a Rouen, la città in cui anch’io ero stata studentessa negli anni Sessanta. Appena arrivavo, abbandonate in cucina senza nemmeno togliere dai sacchetti le provviste che avevo portato, facevamo l’amore”. Un’esperienza che la ricollega alla “ragazza scandalosa” della sua giovinezza e la riporta a ciò che è essenziale per lei, lo scorrere del tempo. “Scrivendo ho avuto l’impressione di essere eterna e morta allo stesso tempo”.
A chi non la conoscesse, consiglierei di iniziare da queste due opere magistrali: “Une femme”, del 1988 (Una donna, traduzione in italiano, 2018), e “L’Événement”, uscito in Francia nel 2000 (L’Evento, pubblicato in italiano da L’Orma Editore nel 2019).
Nel primo, la femme è la madre: figura centrale nella sua esistenza. Una donna che è “forza e tempesta”. Una donna che cerca di crescere la figlia in un mondo migliore, più ricco di possibilità e senza miseria. È di una tenerezza infinita quando l’autrice ci descrive la madre che l’accompagna nei musei, poco interessata alle statue, ma felice di essere lì perché, consapevole dei propri limiti, spera che la figlia avrà i mezzi per superarli, per arrivare laddove lei si è dovuta fermare. E poi Ernaux ci racconta della mamma chiusa in clinica, sprofondata nel buio della demenza senile… Le ultime pagine sono piene di dolente intensità. “Non ascolterò più la sua voce… Ho perso l’ultimo legame con il mondo da cui provengo. Ora mi sembra di scrivere su mia madre per, a mia volta, metterla al mondo”.
Nel secondo, l’evento a cui la ragazza va incontro è un aborto clandestino. L’unica scelta che ha a disposizione una ragazza desiderosa di diventare indipendente e ben determinata a essere padrona di sé stessa e del proprio corpo nella Francia dei primi anni Sessanta che non le riconosce questo diritto. Per anni Ernaux ha portato dentro di sé il ricordo di quell’evento e giunta sulla soglia della sessantina capisce che il maggiore senso di colpa che prova al riguardo consiste nel non averne mai fatto parola, nel non averne mai scritto (mantiene il segreto con i genitori, lo studente che l’ha messa incinta lo ignora), e decide di scriverne. Dal romanzo è stato tratto il film “L’evenement” che ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia nel 2021.
di Cristina Tirinzoni